Negli ultimi anni, il concetto di vino naturale ha guadagnato popolarità, dividendo appassionati e professionisti del settore. Alcuni lo vedono come un ritorno alle origini, un vino autentico e privo di artifici, mentre altri ne criticano l’approccio poco rigoroso e il rischio di difetti qualitativi. Ma cosa significa veramente vino naturale? E soprattutto, è sinonimo di qualità?
Un concetto inesistente
Il termine “naturale” nel contesto del vino è profondamente problematico. L’Unione Europea ha vietato l’uso di questa espressione in etichetta proprio perché considerata fuorviante. Il vino non è un prodotto che nasce spontaneamente in natura; esso richiede l’intervento umano in ogni sua fase, dalla selezione dei vitigni alla fermentazione, dalla vinificazione all’affinamento.
Il mito del “vino naturale” gioca sulla contrapposizione tra naturale e artificiale, ma questa dicotomia è ingannevole. “Naturale” significa qualcosa che si verifica senza intervento umano, come un frutto che cade da un albero e fermenta da solo. Ma il vino è il risultato di una serie di decisioni tecniche: la gestione del vigneto, l’uso di pratiche agronomiche, la selezione dei lieviti, il controllo della temperatura di fermentazione. Anche nei vini definiti “naturali”, l’uomo interviene costantemente per guidare il processo, evitando alterazioni indesiderate o difetti che ne comprometterebbero la qualità.
Inoltre, la vinificazione è un processo biologico e chimico controllato. Il vino non è mai semplicemente “uva fermentata”, ma il frutto di un equilibrio complesso tra natura e conoscenza enologica. Senza intervento umano, il rischio di deviazioni organolettiche e microbiologiche sarebbe elevatissimo, portando alla produzione di liquidi instabili e spesso imbevibili.
Le problematiche
Un esempio emblematico della confusione attorno ai vini naturali è il caso del sentore di cavolo, o meglio, la presenza di mercaptani. Questi composti solforati possono svilupparsi a causa di una cattiva gestione della fermentazione in riduzione e portare a difetti olfattivi sgradevoli. Se un consumatore meno esperto può trovare affascinante un vino che profuma di cassœula, un enologo riconosce subito un problema tecnico.
Il punto cruciale è il confine tra accettazione di alcune caratteristiche peculiari di un vino e la tolleranza di difetti che compromettono la qualità e la salubrità del prodotto. Alcuni produttori e appassionati di vini naturali accettano note di brettanomyces, volatile elevata o rifermentazioni in bottiglia come parte del “carattere” del vino. Ma fino a che punto un vino può essere considerato espressivo e non semplicemente difettato?
Alcuni sostengono che la presenza di lieviti indigeni e fermentazioni spontanee conferiscano maggiore autenticità al vino, ma senza un attento monitoraggio possono insorgere problemi come ossidazioni indesiderate, accumulo di acidità volatile e contaminazioni batteriche. La mancanza di solfiti aggiunti, spesso venduta come una virtù, può trasformarsi in un serio problema di stabilità del prodotto, esponendo il consumatore a rischi di alterazioni organolettiche e sanitarie.
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Conoscere la chimica del vino
Il problema principale nel dibattito sui vini naturali non è tanto la loro esistenza, quanto la scarsa educazione del pubblico e, talvolta, degli stessi produttori. Chi decide di limitare gli interventi enologici dovrebbe avere una conoscenza approfondita della chimica del vino, per evitare rischi per la salute legati, ad esempio, alla presenza di ammine biogene in concentrazioni elevate. Queste sostanze, sviluppate in condizioni di fermentazione poco controllate, possono avere effetti negativi sull’organismo.
Allo stesso tempo, i comunicatori del vino hanno la responsabilità di spiegare il processo produttivo con rigore scientifico, senza cadere in narrazioni semplicistiche che oppongono “naturale” a “industriale”. Un consumo consapevole e informato è essenziale per apprezzare il vino per quello che è: un prodotto culturale, tecnico ed etico.
Un altro aspetto da considerare è la comunicazione del vino naturale nei mercati internazionali. Mentre in alcuni paesi si cerca di enfatizzare l’aspetto più romantico della produzione, in altri si richiedono garanzie di qualità e sicurezza alimentare. Questa disparità di approccio crea una frattura tra i consumatori e i produttori, che rischiano di non essere sempre compresi o accettati in contesti diversi.
Il futuro dei vini naturali
Non si tratta di demonizzare i vini naturali, ma di chiedere maggiore trasparenza e competenza nella loro produzione e promozione. Un vino può essere prodotto con interventi minimi, ma deve comunque rispettare standard di salubrità e stabilità. L’assenza di solfiti aggiunti, ad esempio, non deve tradursi in un vino instabile o potenzialmente dannoso.
L’innovazione nel settore enologico permette di limitare l’uso di additivi senza compromettere la qualità del prodotto. Tecniche avanzate di filtrazione, controllo delle fermentazioni e monitoraggio microbiologico consentono di ottenere vini più “naturali” senza sacrificare la sicurezza e il piacere della degustazione.
Il futuro del vino naturale dovrebbe quindi passare attraverso un equilibrio tra idealismo e pragmatismo: rispetto per la materia prima, conoscenza scientifica e una comunicazione chiara e onesta con il consumatore. Solo così si potrà garantire che la ricerca della naturalità non diventi un alibi per la scarsa qualità, ma piuttosto un’opportunità per un vino più espressivo, sano e consapevole.
Infine, il vero obiettivo non dovrebbe essere quello di creare una contrapposizione tra “naturale” e “convenzionale”, ma di educare il consumatore alla diversità e complessità del mondo del vino. Più che di etichette, il futuro del vino dovrebbe parlare di conoscenza e consapevolezza, permettendo a ognuno di scegliere in modo informato e senza preconcetti.
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