Contenuto tratto dal numero di ottobre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Può un semplice videogioco farci intuire dove va l’industria dell’auto? Un robottino alato acchiappa sfere luminose al ritmo del K-Pop, una macchina fa lo slalom tra cerchi infiniti, sempre saettando sulle note musicali. Davanti allo stand di Renault Corea, allestito per la grande fiera tecnologica NextRise a Seul, si è formato un capannello di persone: attendono pazientemente, giocano, poi restano nei paraggi a commentare. A un certo punto il personaggio clou del videogioco – un robot munito di zaino propulsivo – vola e si trasforma in una nuova macchina Renault. Ma l’idea del videogame non è di qualche gigante asiatico dell’intrattenimento; dietro c’è una piccola startup italiana, SmashLabs.
Il suo fondatore, Niccolò Cappon, racconta: “Abbiamo presentato le prime demo a febbraio. Renault Corea ci ha incluso tra i quattro partner selezionati per la nuova piattaforma di infotainment, insieme a colossi come Naver, l’equivalente coreano di Google”. SmashLabs, dice Cappon, immagina un portafoglio di giochi con personaggi cartooneschi sul genere Funko Pop, clown, ballerini, piloti, astronauti, che verranno rilasciati periodicamente per mantenere alto l’interesse dei passeggeri. Il pilota continua a tenere le mani sul volante (chissà ancora per quanto?), ma il resto dell’abitacolo va intrattenuto.
L’idea su cui ragionano gli operatori del settore è creare uno spazio digitale senza interruzioni tra salotto di casa e interno della macchina. Così le auto diventano oggetti tecnologici sempre più orientati a software, connessioni, intrattenimento. Insomma: l’abitacolo come incubatore di servizi. Per un gruppo come Tesla, che da anni opera alla frontiera dell’innovazione, i ricavi da servizi software crescono più velocemente di quelli automotive, con tassi annui attorno al 20-30%. Il dato cruciale è che nei servizi il margine di utile è più alto rispetto alla manifattura meccanica. Dunque le case automobilistiche si sforzano di generare reddito dal software.
Che cosa significa esattamente? C’è l’offerta di funzioni premium a pagamento, tipo guida assistita avanzata, cruise control evoluto, poi musica, giochi, app, infine aggiornamenti ‘over the air’ che aprono funzioni presenti ma bloccate (Tesla lo fa benissimo: paghi e la tua macchina ‘guadagna’ nuove capacità senza cambiare hardware). L’altra prateria di guadagno è la gestione dei dati (guida, consumo energetico, preferenze del conducente, etc.), una miniera d’oro per assicurazioni, aziende di logistica, servizi di mobilità. Un costruttore potrebbe monetizzarli vendendoli o integrandoli in pacchetti dedicati. L’approdo finale è un sistema operativo che gestisce tutto, come avviene su smartphone.
I produttori tradizionali faticano a tenere il passo, nonostante anche loro investano molto. L’indice che misura la capacità di monetizzare dal software è impietoso. Ogni anno Gartner, multinazionale di consulenza strategica, fa un confronto tra i costruttori: la top five del 2025 è dominata da Tesla e da marchi cinesi come Nio, Xiaomi e Xpeng. General Motors è nona, Mercedes-Benz 13sima, Toyota 21esima. Quest’ultima, in particolare, si è sforzata parecchio di risalire la china. Ma il suo software operativo, chiamato Arene, gestisce ancora funzioni limitate – solo infotainment e alcune tecnologia di sicurezza avanzate. Gli stessi ingegneri Toyota ammettono che il loro sistema è pieno di bug, si legge in un articolo del Financial Times. Le difficoltà sono comuni un po’ a tutti. Però altre case, come Volkswagen, Mercedes e Renault, hanno scelto di non fare da sole (per il momento), appoggiandosi all’industria del tech. Ma queste partnership hanno aperto nuove tensioni in una lotta con Apple e Google sul controllo dei dati.
In un’auto ‘classica’ ogni funzione (freni, sterzo, aria condizionata) è gestita da una centralina elettronica ad hoc; i cosiddetti veicoli definiti da software (Sdv), invece, sono governati da una piattaforma centrale, che può essere aggiornata a distanza con nuovi gadget, modalità di guida e infotainment. Il vero punto è capire se le nuove macchine richiedano davvero tutta questa tecnologia. C’è davvero bisogno di un cervellone centrale che governa tutto? Molti esperti dicono di sì. In Cina nel 2024 il 65% delle auto elettriche vendute era dotato di funzionalità Sdv. Aumenta la sofisticazione, ma aumentano anche i costi. Che cosa ne pensano gli automobilisti?
È interessante andare a spulciare la sezione commenti di un articolo recente del Financial Times sulle auto definite da software. Ecco cosa dice un lettore: “Apple CarPlay e Android Auto bastano e avanzano. Attacco il cellulare, parto e ho la stessa esperienza in qualsiasi auto guidi, che sia a noleggio o la mia. Perché mai io – o chiunque altro – dovrei interessarmi alle ambizioni delle case automobilistiche di costruire un sistema software che costa miliardi? Gli Sdv sono una bolla che resterà tale finché non scoppierà”. Un altro: “Guido una Mg Roadster del ‘68. Ha la radio. In tasca ho un cellulare. Funzionano benissimo”. Ci siamo imbattuti in due snob luddisti? Forse. Ma è vero anche questo: stanno nascendo startup innovative che puntano su architetture più semplici.
Una di queste produce il pick-up elettrico Slate Truck, pensato per essere minimalista e super accessibile (costa circa 25mila dollari). Due posti, finestrini manuali, plancia scarna, motore da 210 cavalli. La startup, finanziata da Jeff Bezos, ha già ricevuto più di 100mila prenotazioni. Quest’auto non sarà mai connessa a internet, non riceverà aggiornamenti, non avrà un software centralizzato. Il suo cervello è lo smartphone, in tasca al guidatore o attaccato al cruscotto. Anche la Grande Panda Pop adotta la stessa soluzione. Al posto dello schermo centrale ha un semplice supporto per il telefono. Così si risparmiano 1.500 euro rispetto alla più ricca Icon.
L’altra questione dirimente è la sicurezza. Le auto nuove montano una serie di migliorie tecnologiche notevoli: la frenata automatica d’emergenza, il mantenimento in corsia, l’avviso anti-colpo di sonno. I dati dicono che queste funzioni rendono le auto tendenzialmente più sicure. Ma non sostituiscono il pilota e per installarle non c’è bisogno di un Sdv, che invece è necessario per la guida autonoma: lì serve un cervellone centrale per gestire tutto contemporaneamente.
Tesla afferma che il suo Autopilot aumenta la sicurezza media. Fonti indipendenti (la no-profit Insurance Institute for Highway Safety e l’agenzia governativa National Highway Traffic Safety Administration) invece avanzano dubbi: secondo i loro report, gli incidenti continuerebbero e il sistema avrebbe limiti strutturali evidenti. E allora cosa dire dei robotaxi? In Europa se ne parla come di oggetti venuti da Marte, però in Stati Uniti e Cina cominciano a diffondersi parecchio. Waymo (Google) ha pubblicato uno studio (2023) sui suoi robotaxi a Phoenix e San Francisco. Sette milioni di miglia percorse senza conducente umano. Risultato: tasso di incidenti con danni molto più basso rispetto al guidatore medio americano. Però ci sono ancora casi di taxi automatici andati in tilt per colpa di imprevisti o, forse, traffico troppo caotico. In Cina come in America, i robotaxi si muovono solo in aree delimitate. È necessaria ancora più tecnologia o forse il vero problema è far convivere sulle strade robot ed esseri umani? Alla fine, come in un videogioco, sta al conducente scegliere diversi livelli di sofisticazione. Per alcuni, meno chip, meno software non significano solo meno costi – forse anche più libertà.
Questo articolo è stato notarizzato in blockchain da Notarify.
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