
Contenuto tratto dal numero di novembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Il dubbio è che alcuni degli uomini più potenti del mondo si informino a casaccio, per sentito dire, magari rincorrendo cospirazioni negli angoli del web. Come spiegare altrimenti la conversazione sulla longevità tra Putin e Xi Jinping? Tutti e due vorrebbero allungare la vita, forse in eterno, non c’è da stupirsi; ma la ricetta di Putin è una fantasia di serie C, tanto rozza da farci immaginare l’amico cinese che maschera un sussulto di imbarazzo.
A settembre i due passeggiavano prima di una grande parata militare a Pechino, e una frase è stata catturata dai microfoni: “Gli organi umani possono essere continuamente trapiantati. Più a lungo si vive e più si diventa giovani. E si può perfino raggiungere l’immortalità”. Xi, diplomaticamente, non lo ha contraddetto: “Alcuni prevedono che in questo secolo gli esseri umani potranno vivere fino a 150 anni”.
I capi autoritari vogliono più tempo per accumulare potere e perfezionare il loro lascito. Il caso più surreale in Camerun: il presidente Paul Biya, 92enne, corre, o meglio trascina i piedi, verso l’ottavo mandato. Xi avrebbe dovuto rispondere: “Caro Vladimir, non essere villano, non è strappando gli organi a cavie che vivrai più a lungo”. Lo zar crede nei suoi scienziati, ma sente anche, dicono certe fonti, il richiamo di stregonerie e misticismi. Secondo Proekt, un sito d’inchiesta russo, il capo del Cremlino si è sottoposto a un’usanza sciamanica della tundra: il bagno di corna di cervo, che consiste nell’immersione in infusi di sangue di giovani cervi. I siberiani dicono che faccia bene alla pelle e al cuore. Chissà, forse è vero: Putin, 72enne, ha già vissuto quattro anni in più della media dei suoi compatrioti maschi.
La longevità non è esattamente il punto di forza della Russia. Per la massa degli abitanti basterebbe curarsi meglio, bere meno e non essere spediti in Donbas a combattere gli ucraini. Ma un’élite che se la passa bene esiste, e chi ne fa parte evita la guerra. Putin forse pensava a loro quando ha aumentato i fondi pubblici per la ricerca anti-invecchiamento. Sono stati spesi, dal 2021 a oggi, l’equivalente di 1,8 milioni di euro, secondo un articolo di Novaya Gazeta Europe. Non molto, però il grande capo ha fatto in modo di piazzare la figlia al timone di uno dei progetti: una ricerca su rinnovamento cellulare e longevità. Maria Vorontsova è sì endocrinologa, ma il suo Hirsch index (l’indice di impatto scientifico) è molto più basso di altri ricercatori che non hanno ottenuto finanziamenti, denuncia Novaya Gazeta, e la sua sovvenzione è anche più alta della media.
I soldi veri scappano dal familismo di Stato (e dai bagni di corna). Cercano trasparenza e competizione. Oggi la frontiera della longevità parla, in larga parte, americano. Gli Stati Uniti restano il sistema capitalista più efficiente al mondo. Le loro startup si contendono miliardi di dollari e usano qualcosa di più raffinato del bisturi: l’ingegneria del dna. Obiettivo: rallentare, e poi invertire, il processo biologico dell’invecchiamento. Anche lì le sperimentazioni vanno a braccetto con potere e ricchezza. Ciò significa che il denaro arriva dai soliti titani della Silicon Valley: Jeff Bezos di Amazon, Sam Altman di OpenAI, Brian Armstrong di Coinbase, più un esercito di venture capitalist e scienziati usciti da Stanford e dal Mit. L’idea, in fondo, è simile a quella che anima l’intelligenza artificiale: se capiamo il codice, possiamo manipolarlo, riscriverlo.
Altos Labs, la creatura finanziata da Bezos con oltre 3 miliardi di dollari, è il simbolo di questa nuova corsa. Lavora sulla ‘riprogrammazione cellulare parziale’, una tecnica che mira a far tornare giovani le cellule esponendole per brevi periodi ai cosiddetti fattori di Yamanaka, le molecole che riportano le cellule adulte allo stadio quasi embrionale. Il trucco, spiega chi si intende di scienza, è esporre le cellule a cicli di trattamento ben modulati: bisogna modificarne l’età epigenetica (cioè ringiovanirle un po’), ma senza passare il limite. C’è un punto di non ritorno in cui la cellula perde l’identità e ottiene una pluripotenza, con il rischio di comportamenti simili a certi tumori. Un balletto cellulare millimetrico: un passo falso, e invece di rifiorire ti becchi un cancro.
Il dato incoraggiante è che il metodo Altos ha già funzionato bene sui topi: segni di vitalità in più, tessuti ringiovaniti, cicatrici guarite più in fretta. Ma negli esseri umani è ancora tutto sperimentale. Ci sono studi su cellule in vitro (cioè fuori dall’organismo) che mostrano alcuni segnali di rinnovamento epigenetico, ma ancora nessuna evidenza che la tecnica funzioni in un corpo umano vivo.
Un’altra stella del settore è Retro Biosciences, fondata e finanziata da Altman, che ha messo sul tavolo 180 milioni di dollari e sta raccogliendo fino a un miliardo. Altman vuole estendere di dieci anni la durata della vita in salute, non necessariamente quella cronologica. Retro lavora su tre linee parallele: la rigenerazione del sangue, il trattamento dell’Alzheimer e il ringiovanimento delle cellule cerebrali. Trial clinici sull’uomo sono attesi per i prossimi anni.
Poi ci sono player più piccoli, ma molto specializzati: ad esempio New Limit, la startup di Armstrong, che a maggio ha detto di aver raccolto 130 milioni di dollari in un round di finanziamento di serie B. Anche Armstrong punta sulla riprogrammazione parziale delle cellule, ma con obiettivi più circoscritti rispetto ad Altos. Le applicazioni si concentrano su fegato, sistema immunitario e vascolare. Cambrian Biopharma, invece, fa da incubatore di startup che studiano farmaci anti-senescenza, cioè molecole capaci di eliminare cellule vecchie che si accumulano nei tessuti favorendo infiammazione e malattie croniche. Unity Biotechnology sperimentava sugli stessi farmaci, ma alcuni suoi trial sono andati male, ed è finita molto ridimensionata. È stata anche cacciata dal Nasdaq: un monito per tutto il settore. Altre startup puntano sul plasma sanguigno: il magnate tech Bryan Johnson, due milioni di seguaci su Instagram, si è fatto iniettare il sangue del figlio dopo che alcuni studi sui topi hanno suggerito effetti ringiovanenti.
Una sfida chiave per le biotech che cercano terapie nuove è l’approvazione regolatoria. Nessuna autorità sanitaria riconosce l’invecchiamento come condizione medica e non esistono indicatori biologici universalmente accettati. Questo rende impossibile disegnare trial clinici con l’invecchiamento come obiettivo principale. L’approccio alternativo, seguito da molte biotech, è puntare su malattie specifiche legate all’età. La metformina, ad esempio, è usata per il diabete, ma sembra ridurre la mortalità complessiva (cioè derivante da tutte le cause) nei pazienti che la assumono. Ed è per questo che anche le big pharma cominciano a parlare il linguaggio dell’anti-ageing.
Alcuni manager di Eli Lilly e Novo Nordisk, scrive il Financial Times, sono stati di recente a una conferenza sull’invecchiamento a Copenaghen. Le due società producono una classe di farmaci di straordinario successo per la perdita di peso. Ecco cosa dice uno di loro, Andrew Adams, direttore dei Lilly Institutes of Genetic Medicine: “Se somministri Glp-1 (il farmaco in questione), non vedi solo i cambiamenti attesi in glicemia e peso corporeo, ma un sacco di altre trasformazioni interessanti: può diventare una potente terapia multisistema”.
A questo punto si intuisce che siamo di fronte a due filoni paralleli, che in realtà si intrecciano. Da una parte curare meglio le malattie che arrivano con la vecchiaia: diabete, problemi cardiaci, infiammazioni croniche, eccetera. Dall’altra invertire l’età biologica intervenendo direttamente sui meccanismi cellulari. Quest’ultima branca è il Santo Graal della longevità.
Il denaro non manca: nel 2024 il settore della longevity biotech ha raccolto 8,5 miliardi di dollari, con la maggior parte dei soldi (84%) finita in società statunitensi. Tra tutti i potenti del mondo, ce n’è uno curiosamente disinteressato. Elon Musk dice di non aver paura di morire. Anzi, teme un pianeta popolato da vecchi dove, secondo lui, l’umanità smetterebbe di guardare le stelle per contare le rughe.

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