Dalle auto elettriche alle armi, i metalli strategici rafforzano l’influenza di Pechino e alimentano la nuova guerra economica con Washington.
La cosa interessante della rivalità tra Cina e Stati Uniti – una rivalità ideologica, tecnologica e geopolitica – è che si tratta di due superpotenze litigiose quanto economicamente intrecciate. Dipendono l’una dall’altra, e nelle trattative cercano di usare questa dipendenza a proprio vantaggio. Chi dei due ha più potere sull’altro? Washington blocca l’accesso ai microchip di ultima frontiera, Pechino risponde con restrizioni sull’export di terre rare, quei minerali critici usati in tutto: dalla tecnologia verde agli strumenti medici, fino alle armi – e agli stessi microchip. Persino le macchine litografiche dell’olandese ASML, cruciali per produrre i chip di ultima generazione, funzionano grazie a magneti di terre rare.
Ci si domanda chi cederà per primo. Alcuni danno in vantaggio la Cina, altri l’America. Ma la sensazione è che nel breve periodo la leva più pesante sia in mano cinese. Mentre la Cina si barcamena anche senza i chip più avanzati, un blocco prolungato delle terre rare manderebbe in tilt parti essenziali dell’industria occidentale. Europa e Stati Uniti stanno investendo per rendersi autonomi, ma siamo ancora lontani anni dal poter sostituire la Cina.
Il dato sorprendente, e controintuitivo, è che il settore delle terre rare (dall’estrazione alla raffinazione) è fatto di numeri molto piccoli. Un giro d’affari tra i 3 e i 5 miliardi di dollari l’anno, dicono gli esperti. Le quantità limitate aumentano il controllo: un mercato ristretto implica meno attori e più facilità a individuare chi estrae, chi raffina e dove vanno i carichi. La Cina trae ulteriore vantaggio dalla concentrazione verticale della filiera: è lei che estrae i metalli di terre rare, li raffina e con essi produce i magneti permanenti che muovono tutto – il mercato dei magneti più potenti, quelli fatti col neodimio, vale circa 30 miliardi di dollari l’anno.
In ogni veicolo elettrico (EV) entrano quantità minime di terre rare, con un valore che non supera le decine di dollari, ma senza quegli elementi la macchina funziona peggio. Secondo fonti recenti (ad esempio un report del CEPS), la quota della produzione globale di magneti permanenti ad alte prestazioni attribuibile alla Cina è stimata tra l’85 e il 94%; ciò significa che quasi tutto il mercato – almeno per applicazioni critiche come motori elettrici, turbine eoliche e sistemi militari avanzati – dipende fortemente dalla capacità produttiva cinese.
E qui si entra nel vivo dello scontro. Pechino sta imitando le stesse tattiche usate finora dagli Usa. I dazi non sono l’unica arma economica americana: ci sono anche i controlli alle esportazioni. I funzionari statunitensi possono trattenere una vasta gamma di tecnologie sofisticate di cui la Cina ha bisogno. Nella zuffa commerciale dello scorso maggio, l’America ha bloccato la vendita di software EDA (Electronic Design Automation), strumenti per la progettazione di chip avanzati, un settore in cui le principali aziende – Cadence, Synopsys e Siemens EDA – sono americane. Gli Stati Uniti già collaborano con l’Europa per limitare l’accesso della Cina ai dispositivi per produrre chip – un esempio è ASML (olandese), che ha smesso di esportare in Cina le sue macchine più avanzate.
I nuovi controlli cinesi copiano queste restrizioni, facendo leva sul potere nella catena produttiva delle terre rare. I requisiti di licenza ora comprendono prodotti stranieri realizzati con materie prime, strumenti e tecnologia made in China. Possono far rispettare regole così estese? “Assolutamente sì”, risponde Mel Sanderson, che siede nel consiglio di amministrazione di American Rare Earths. “Il governo cinese sa molto bene chi produce cosa, con cosa e a chi vende. Seguono tutto da tempo”.
Ma chiedere le licenze per l’export – specifica il ministero del Commercio cinese – non è lo stesso che vietare le esportazioni. Il problema è che le regole si applicano anche a prodotti con tracce minime di terre rare cinesi. Quindi le aziende dovranno inviare le loro richieste a Pechino, e rischiano di finire in un pantano di carte burocratiche. La cautela di funzionari di basso livello, avverte l’Economist, potrebbe rallentare le licenze più di quanto previsto dai vertici politici. Nei colloqui con Xi Jinping, che dovrebbero tenersi alla fine del mese in Corea del Sud, Trump chiederà di allentare la morsa sulle terre rare. Xi prometterà buona volontà (per evitare nuovi dazi americani), ma difficilmente cancellerà i nuovi controlli. La speranza di tutto il mondo è che siano il meno invasivi possibile.