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18 dicembre 2025

Come il wealth management si reinventa tra tecnologia e nuove generazioni

L'intervista a Luca Bonansea di Bnl Bnp Paribas
Come il wealth management si reinventa tra tecnologia e nuove generazioni

Forbes.it
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Contenuto tratto dal numero di dicembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

Da qui al 2033, ben 300 miliardi di euro passeranno da una generazione all’altra. È il più grande passaggio intergenerazionale di ricchezza della storia recente. In questo scenario private banking e wealth management si trovano davanti a un salto di paradigma: non basta più difendere e valorizzare il capitale.

Bisogna tradurre il patrimonio in qualcosa che le nuove generazioni riconoscano come proprio. I nuovi eredi chiedono obiettivi diversi dai loro padri: più trasparenza, più misurabilità dell’impatto (esg, filantropia attiva, investimenti tematici), più flessibilità e servizio digitale. La tecnologia, ‘invadente’ perché riduce l’asimmetria informativa, sposta il valore aggiunto del private banker dalla mera allocazione all’interpretazione: non è più l’uomo del prodotto, ma l’architetto di progetti patrimoniali e imprenditoriali.

Media tra generazioni, traduce visioni diverse in strategie investibili, seleziona strumenti e governa la complessità regolatoria e fiscale che un algoritmo non può presidiare. Forbes Italia ne ha parlato con Luca Bonansea, a capo del private banking & wealth management di Bnl Bnp Paribas e membro dell’executive committee di Bnp Paribas Wealth Management.

Il contesto internazionale è piuttosto instabile, tra inasprimento delle politiche commerciali, persistenti tensioni geopolitiche, prospettive di sviluppo incerte. Cosa chiedono i clienti oggi?

La propensione al risparmio delle famiglie italiane è risalita al 9% secondo l’Istat, favorendo l’aumento degli investimenti finanziari. Il valore della ricchezza finanziaria degli italiani si sta gradualmente avvicinando ai 6mila miliardi di euro. Negli ultimi mesi, inoltre, è apparsa chiara l’esigenza delle famiglie di modificare la composizione del proprio portafoglio, alla ricerca di un migliore equilibrio tra rischio e rendimento. Ma molto è ancora da fare, perché in Italia gli investitori di patrimoni importanti sono ancora prevalentemente posizionati sui tassi e poco sui mercati. Occorre provare a guardare oltre il breve termine, superando la complessità, per sfruttare al meglio le opportunità di investimento e cogliere fino in fondo i trend di mercato.

Secondo il vostro osservatorio, come si stanno muovendo i mercati?

A fronte di una prospettiva incerta e instabile, l’economia degli Usa ha rallentato, con la doppia tematica della Fed che cerca di controllare l’inflazione e, al contempo, di rilanciare l’economia. Comunque, le attese indicano un’ulteriore riduzione dei tassi nei prossimi mesi e non mancherà slancio. La Cina cresce meno che in passato, tra consumi interni che soffrono di più rispetto a qualche tempo fa e la tecnologia che avanza. Quanto all’area euro, un’inflazione su livelli contenuti e una crescita moderata fanno immaginare una stabilità dei tassi nel breve periodo. Certo l’elevato costo delle imprese, se accompagnato da una bassa redditività netta, può ostacolare gli investimenti a medio e lungo termine, perché riduce il capitale disponibile per l’espansione e l’innovazione. L’Europa poi, si sa, ha dei distinguo: da una parte vediamo un potenziale sui mercati finanziari, dall’altra ci sono velocità sulla crescita dell’economia reale molto diverse. Ma il vero tasto dolente è il prezzo della burocrazia.

E l’economia italiana?

Ha elementi di complessità che si uniscono a segnali di miglioramento. Nella prima metà del 2025, la crescita ha rallentato, mostrando anche un segno negativo nel secondo trimestre. La ripresa successiva alla crisi del 2020 rimane, comunque, consistente, con una crescita del 6,5% del Pil reale, maggiore di quella di Francia e Germania, ma minore di quello della Spagna. L’economia italiana continua a trarre spinta dall’aumento degli investimenti, interessando, oltre alle costruzioni, anche la spesa in macchinari e nuove tecnologie. Nonostante una redditività in calo, risultato del permanere dei costi produttivi su livelli elevati, le imprese investono, traendo beneficio da una solida posizione finanziaria e patrimoniale, risultato di un lungo processo di rafforzamento del capitale. La dinamica delle esportazioni riflette le evoluzioni del commercio internazionale.

Come è costruito il vostro wealth management globale e di che tipo di consulenza ha bisogno il cliente oggi?

Occorre lavorare sulla governance dell’impresa più che sull’asset allocation. Nella nostra esperienza sarà sempre più distintiva la capacità di offrire una consulenza strategica globale goal-based, ovvero orientata agli obiettivi di vita da raggiungere per il cliente, la sua famiglia e la sua impresa. Solo in seguito sarà possibile creare un piano d’azione che tenga conto degli aspetti relativi alla gestione del patrimonio personale e che fornisca le competenze specialistiche necessarie per il supporto alle operazioni strategiche d’impresa, come m&a, lbo, leverage finance, governance. Questa modalità di lavoro è basata su specializzazione della linea di business (wealth management, ma anche corporate & investment banking), competenza e formazione continua dei professionisti, velocità decisionale, efficacia del management. L’integrazione con il wealth management di Bnp Paribas e la posizione di leadership del gruppo nel private banking ci consentono, da un lato, di portare ai clienti la strategia globale di investimento di Bnp Paribas, dall’altro, la piattaforma di wealth management del gruppo, che dispone delle soluzioni di offerta della banca private leader dell’Eurozona.

Arriviamo al passaggio generazionale. Come vi state muovendo?

Per prima cosa, attraverso la capacità di pianificare in maniera strutturata e strategica l’evoluzione del patrimonio. Oggi in Italia non c’è una vera cultura della pianificazione e questa è un’opportunità che non è stata ancora colta. Inoltre, dobbiamo essere capaci di sfruttare le nuove tecnologie per dialogare con le nuove generazioni. Si va quindi verso un modello ibrido che vede l’IA come fattore abilitante e non come sostitutivo del professionista. Questo è un mestiere fatto di specializzazione, capacità di aggiornamento continua, imprenditorialità e curiosità. Il lavoro che stiamo facendo è di formare banker che dialogano con imprenditori. Sull’asse della tecnologia serve una nuova leadership che sappia orchestrare ecosistemi ibridi dove umani e agenti IA collaborano, quelle che nel nostro approccio definiamo hybrid resources: l’unione tra competenze umane e intelligenza artificiale. Servono esperti che sappiano far dialogare algoritmi e strategia pensata da una persona, dati e pensiero critico. Stiamo investendo molto su questo, anche attraverso academy dedicate, in partnership con business school italiane e internazionali. Tutto ciò è molto importante anche per i banker che ci scelgono. Oggi chi decide di entrare in questa industria dà molta importanza al valore del brand. Del resto, solo realtà molto strutturate sono in grado di investire su tecnologia, strumenti finanziari e formazione delle risorse.

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