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Sono 46 donne di 13 Paesi, tutte alla guida di aziende familiari di primo piano. Tre quarti di loro, se chiudono gli occhi e visualizzano la leadership di un business di famiglia, immaginano un uomo di mezza età. Perché se le presenze femminili al vertice delle aziende sono sempre più numerose, gli stereotipi sopravvivono. E perfino le donne stesse faticano a liberarsene. È questo uno dei risultati a cui è arrivato un sondaggio su leader di imprese nei settori alberghiero, food & beverage, tessile, farmaceutico, edile, siderurgico, manifatturiero e bancario. Le interviste sono state condotte tra l’agosto e il dicembre 2020 da Nadine Kammerlander, professoressa della business school Whu, Elizabeth Bagger, director general di Ifb Uk, Sasha Lund, founder di Core Values Consulting, e Doris Sommavilla, direttore di Stonehage Fleming.
“Avevo 24 anni quando è mancato mio padre. Lavorare al fianco dei miei fratelli è stata la mia scuola di vita”, afferma Sommavilla. “È rimasto il rammarico di non avere trovato un confronto autentico con donne che avevano avuto esperienze simili. Avrei capito prima che l’abilità di comunicare in modo disteso e privo di giudizi mi avrebbe aperto un’autostrada in famiglia. L’ho imparato sbagliando”.
“Noi donne siamo capaci di dare equilibrio alle dinamiche familiari con la nostra lungimiranza, capacità di ascolto e resilienza’’, dice Bagger. “Ho incontrato donne e uomini con intelligenza emozionale straordinaria, che tuttavia non sapevano comunicare. Soprattutto con i propri familiari”, aggiunge Lund.
Sulla base dei risultati della ricerca, del loro vissuto e degli anni da consulenti di altre famiglie imprenditoriali, le ricercatrici, assieme ad altre donne di Stonehage Fleming, hanno dato vita a Women Supporting Women: uno “spazio protetto e aperto per chi è convinto che diversità e unione siano la vera forza in famiglia. Qui si investe in comunicazione e si parla di quello che gli anglofoni chiamano ‘l’elefante nella stanza’. Ripercorrere il vissuto familiare con gli occhi di altre donne aiuta a comprendere meglio se stesse e a promuovere l’equilibrio in famiglia”.
Tra le leader intervistate nella ricerca c’è la ceo di un’impresa quotata al Nasdaq. “Per i miei genitori, il fatto che ambissi a un ruolo in azienda era causa di preoccupazione”, ha ricordato. “Si dava per assodato che mio fratello fosse più adatto a un ruolo di leadership”. L’ad di un’altra multinazionale ha avuto la stessa esperienza, nonostante fosse “la prima ad arrivare in ufficio e l’ultima ad andarsene”, mentre il fratello “si disinteressava”.
Le dinamiche familiari rappresentano il principale ostacolo per le donne al vertice delle imprese. Molte intervistate hanno addirittura pensato di rinunciare al loro ruolo per evitare tensioni tra parenti. “All’inizio preferivo passare inosservata e occuparmi solo di raggiungere gli obiettivi di crescita prefissati”, ha raccontato la ceo di un’azienda di elettrodomestici tedesca. “Solo in seguito ho capito che occorreva appianare gli attriti per continuare ciò che i miei nonni avevano iniziato. Per aiutarci abbiamo coinvolto mediatori e consulenti esterni”. Il ricorso agli esperti è ritenuto più efficace del confronto tra parenti.
Proprio all’interno della famiglia, però, molte donne trovano anche i loro modelli. Accanto a mentori e personaggi famosi, infatti, tra le figure di riferimento più gettonate ci sono le nonne, descritte come fonti di valori e ispirazione. Per alcune donne, la chiave sta nel modo in cui le nonne hanno colmato i vuoti lasciati dai genitori, spesso assenti o disinteressati. Per altre, nell’avere saputo rielaborare le vicende dell’azienda familiare sotto una luce diversa. “Quando mi sedevo accanto a mia nonna, lei mi ricordava quanta fatica le fosse costato guadagnarsi un posto in famiglia e nella società”, ha spiegato una delle intervistate. “Ho ereditato il suo atteggiamento: sono ambiziosa e utilizzo la delicatezza per farmi spazio”.
“Solo una minoranza”, dice Sasha Lund, “indica nei genitori il proprio punto di riferimento”. È il caso di una ceo statunitense, che afferma di avere imparato da loro a “gestire un’attività di successo senza sacrificare la famiglia”.
Molte donne riportano di avere avvertito, in gioventù, pressioni maggiori rispetto a quelle riservate ai fratelli. “Le leggerezze di mio fratello venivano tollerate con un sorriso”, ricorda una ceo inglese. “L’errore ‘gli sarebbe servito d’esperienza’, si diceva. Per me, invece, era impossibile uscire dagli schemi e soddisfare le aspettative dei miei genitori”. Secondo la maggioranza delle intervistate, la severità nascondeva un tentativo di proteggerle. Una ceo francese, per esempio, ha dichiarato che “una donna ha bisogno di qualifiche eccezionali per essere credibile agli occhi dei dipendenti, o addirittura dei suoi stessi familiari”. Secondo una minoranza, invece, l’atteggiamento riflette l’insoddisfazione dei genitori, che proiettano sui figli ambizioni che non hanno saputo concretizzare in prima persona.
Una volta arrivate in azienda, poi, molte donne hanno incontrato l’ostilità di colleghi e dipendenti, portati a reagire con la chiusura ai commenti negativi. “Venivo tenuta a distanza e trattata quasi come una minaccia”, spiega una dirigente con più di 30 anni di carriera. “Quando ho provato a cambiare il modo di operare della società, ho trovato forte resistenza, riconducibile al solito ‘abbiamo sempre fatto così’”. Molte raccontano di avere trovato difficoltà a farsi accettare anche da fornitori e consulenti abituati a lavorare con uomini della generazione precedente.
Nonostante le tendenze individuate dal sondaggio abbiano portata internazionale, sono emerse differenze significative a seconda delle aree geografiche. La maggioranza delle intervistate provenienti da paesi latini o mediterranei, inclusa l’Italia, hanno dichiarato di essere state incoraggiate a scegliere carriere alternative a quelle nell’azienda di famiglia. Quando hanno assunto posizioni di leadership, hanno dovuto combattere lotte di potere e hanno subito critiche riguardo al loro stile di vita, prediche sull’incompatibilità tra il ruolo professionale e quello di madre e addirittura intromissioni sulla scelta del marito, per via di una presunta inadeguatezza al contesto familiare.
Le leader provenienti da Svizzera, Canada e Svezia hanno invece affermato di avere avuto le stesse opportunità dei parenti maschi. “La chiave è avere regole predefinite”, ha commentato l’amministratrice di un’azienda svizzera. “Solo così si possono calibrare le aspettative e contenere lotte di potere e tensioni”.
Le differenze esistono anche tra regioni dello stesso paese. In Italia, il contesto più favorevole alla leadership femminile risulta essere quello di Veneto e Lombardia. Le ragioni sono storiche: la leadership femminile, in queste regioni, è un fenomeno radicato sin dal dopoguerra.
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