General Fusion fusione nucleare
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Come Bill Gates, Jeff Bezos e altri miliardari stanno spingendo la fusione nucleare verso una nuova era

Questo articolo di Christopher Helman è apparso su Forbes.com

Dopo avere raccolto più di tre miliardi di dollari nel 2021 da investitori come Bill Gates e Jeff Bezos, le aziende che lavorano alla fusione nucleare affermano che questa fonte di energia a zero emissioni di carbonio potrebbe diventare realtà entro dieci anni.

È chiaro che la fusione nucleare può funzionare anche su vasta scala: basta guardare le stelle. Da 70 anni i fisici sognano di imbottigliare quella energia e di costruire reattori a fusione che potrebbero alimentare la rete elettrica con lo stesso processo che fa splendere il sole. Da tempo questo Sacro Graal viene presentato come distante 20 o 30 anni, ma i suoi sostenitori rifiutano di perdere la speranza. E hanno valide ragioni. La fusione (che consiste nell’unire di atomi di idrogeno per trasformarli in elio) promette energia elettrica senza limiti e senza emissioni di carbonio, senza rischi di incidenti nucleari e quasi azzerando i rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali atomiche esistenti, che funzionano a fissione (cioè spaccano atomi di uranio).

Questo sogno ha ispirato Ajay Royan, cofondatore di Mithril Capital (assieme al miliardario Peter Thiel), che nel 2013 ha investito due milioni di dollari in Helion Energy, un’azienda con sede a Redmond, nello stato di Washington, per permetterle di costruire un prototipo di “macchina di potenza a impulsi ripetuti”. Mithril ha continuato a investire in Helion da allora. Tra le altre cose, ha partecipato a un recente round di finanziamento da 500 milioni (che ha portato la valutazione di Helion a tre miliardi di dollari). Con la promessa di ulteriori 1,7 miliardi se il settimo prototipo funzionerà come si spera. Il round in questione è stato guidato da Sam Altman di Y Combinator.

Il 2021 è stato un anno fondamentale sia per il finanziamento di aziende che lavorano alla fusione, sia per le previsioni del settore. Gli sviluppatori hanno raccolto più di tre miliardi di dollari da destinare alla prossima generazione di macchine e alcuni promettono ora di rendere la fusione sostenibile dal punto di vista commerciale in soli cinque anni. Royan è felice di vedere come la fusione stia ottenendo maggiore attenzione: “Certo, il 2021 potrebbe essere un punto di svolta per la fusione in base ai Google analytics. Il vero snodo, però, è stato dieci anni fa, quando l’elettronica di potenza ha superato una certa soglia”.

L’amministratore delegato, David Kirtley, spiega che il lavoro iniziale di ricerca e sviluppo alla base di Helion è stato svolto nei laboratori federali, da cui l’azienda è nata nel 2013. Liberata dalla burocrazia che caratterizza l’attività di ricerca e sviluppo federale, da allora la società ha costruito un nuovo prototipo dietro l’altro. “La mentalità da startup non è solo una bella cosa: è un requisito. Ed è ciò su cui ci siamo concentrati fin dall’inizio”.

Nel 2020 Helion ha completato il suo sesto prototipo di reattore, soprannominato Trenta. Sta ora costruendo il settimo, Polaris, mentre già progetta l’ottavo, Antares. Secondo i piani, Polaris dovrebbe essere la prima macchina a fusione in grado di assicurare una produzione netta positiva di elettricità – in altre parole, di produrre più di quello che consuma -. Oltre che dai rapidi progressi, Helion trae beneficio anche dalle competenze locali. Sta infatti costruendo Polaris a Everett, nello stato di Washington, vicino alle più grosse fabbriche della Boeing, dove può attingere a un ecosistema di ingegneri e lavoratori di precisione. Kirtley afferma che i dipendenti passano la mattinata ad armeggiare con gli strumenti, ad aggiornare i sistemi e a caricare condensatori. “Alle tre del pomeriggio”, dice, “cominciamo con la fusione”.

Per capire l’approccio di Helion, bisogna considerare prima di tutto la repulsione che si riscontra quando si prova ad avvicinare i poli positivi di due magneti. È lo stesso principio che permette la cosiddetta lievitazione magnetica, sfruttata, per esempio, dai famosi bullet train giapponesi, che riescono così a ‘galleggiare’ su un cuscino d’aria.

I ricercatori che si occupano di fusione cercano da decenni di progettare gli elettromagneti più potenti del mondo. Vorrebbero così creare camere di reazione con campi magnetici così forti da poter contenere e comprimere un flusso di protoni con carica positiva, fino a farne una palla di plasma così caldo da poter fondere quegli stessi protoni per ricavare atomi di elio.

Nel nuovo sistema di Helion, l’energia rilasciata nelle reazioni di fusione continua a spingere contro il campo magnetico di contenimento, che spinge a sua volta in senso contrario. In questo modo si provocano delle oscillazioni (“come quelle di un pistone”, spiega Kirtley) che generano una corrente elettrica, che Helion cattura direttamente dal reattore. (Per ulteriori informazioni, a questo link si può approfondire la legge dell’induzione di Faraday).

Royan di Mithril dice che, forse, ciò che più rende attraente il metodo di Helion per generare direttamente elettricità è la sua semplicità. Altri approcci alla fusione mirano a generare calore, in modo da portare a ebollizione una certa quantità d’acqua e alimentare turbine a vapore, che producono poi l’elettricità. Vale a dire, ciò che avviene nelle centrali nucleari tradizionali. “Possiamo farcela senza turbine a vapore o torri di raffreddamento. Ci sbarazziamo della centrale”.

A dire il vero, Kirtley capisce lo scetticismo che circonda la fusione e, in particolare, la sua ambiziosa tabella di marcia. Aveva iniziato la sua carriera nel campo della fusione, ispirato dagli scienziati dei laboratori nazionali che, negli anni ’60, fecero grandi progressi sul fronte del contenimento magnetico (gareggiando con gli scienziati russi nella progettazione di reattori a forma di ciambella chiamati ‘tokamak’), prima ancora dell’invenzione dei transistor. Ma Kirtley aveva perso la fiducia dopo avere stabilito che i primi approcci al problema non potevano evolversi in tempi abbastanza rapidi da produrre una soluzione commerciale. Decise allora di andare a lavorare a progetti avanzati per la propulsione delle astronavi, che utilizzano getti di plasma controllati da elettromagneti. È tornato poi alla fusione nel 2008, per contribuire a commercializzare la tecnologia di Helion.

Immagina, per il futuro, di produrre generatori a fusione in una fabbrica. Un sistema da 50 MW, collocato in tre unità delle dimensioni di un container, alimenterebbe 40mila case. “Tra dieci anni potremo sicuramente vendere elettricità sul mercato”.

Helion è in corsa con Commonwealth Fusion Systems (Cfs), società con sede a Boston, nata come spin-off del Mit, che ha raccolto 1,8 miliardi di dollari da investitori come Bill Gates e George Soros. L’amministratore delegato, Bob Mumgaard, dichiara che l’azienda avrà un reattore in funzione entro sei anni. Il suo ottimismo è sostenuto dal successo di un test estivo con nuovi elettromagneti che usano superconduttori ricavati da ossido di rame bario e terre rare.

Mumgaard afferma che questi potentissimi magneti permetteranno a Commonwealth di perfezionare il suo approccio alla fusione, più tradizionale. L’idea è di costruire un reattore tokamak a forma di ciambella – Mumgaard lo chiama “una grande bottiglia magnetica” – in cui forti campi magnetici controllano palle di plasma a 100 milioni di gradi (“roba da stelle”).

Ci sono circa 150 tokamak in tutto il mondo. Il più grande è in fase di costruzione in Francia, per un costo di 30 miliardi di dollari. A realizzarlo è un consorzio internazionale chiamato Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor, ma anche nel senso latino di “percorso”, ndt). La macchina peserà 20mila tonnellate, avrà le dimensioni di un palazzetto dello sport e dovrebbe essere completata entro il 2035.

Mumgaard, però, vuole che Commonwealth Fusion renda Iter obsoleto prima ancora che venga completato. La sua innovazione è l’applicazione di superconduttori “ad alta temperatura” realizzati con ossido di rame bario e terre rare (conosciuto anche come ReBCO).

I superconduttori riescono a portare corrente elettrica con perdite quasi nulle (con efficienza molto più alta del rame, per esempio). E sono la chiave per creare potenti elettromagneti. Commonwealth ha scoperto che, realizzando i magneti con una speciale pellicola di ossido di rame bario e terre rare (simile al nastro di una cassetta vhs), può ottenere campi magnetici più intensi di quelli previsti da Iter, ma con dispositivi di dimensioni venti volte minori.

Se i magneti principali di Iter peseranno circa 400 tonnellate e otterranno campi da 12 tesla, Commonwealth ha in mente magneti da 15 tonnellate, ognuno dei quali userà 300 km di sottilissima pellicola ReBCO, capaci di generare 20 tesla (per avere un raffronto, una macchina per la risonanza magnetica arriva a 1,5 tesla).

“Questa soluzione risolve il problema della macchina per la fusione”, afferma Mumgaard. Cfs ha testato i magneti la scorsa estate e li ha definiti “la prova” che la parte scientifica è stata quasi completata. Tutto ciò che resta da fare è costruire il reattore. “Conosciamo bene il materiale e pensiamo di poterci riuscire in tre anni”, dice Mumgaard. “Entro il 2030 la fusione nucleare farà la sua comparsa nella rete elettrica”.

Cfs è pronta a costruire la sua macchina da fusione su un sito di 47 acri nel Massachusetts. E sta già pensando a come procurarsi migliaia di chilometri di pellicola ReBCO. È possibile che la disponibilità di terre rare diventi un fattore di limitazione per il lancio della fusione? Secondo Mumgaard, il pericolo non esiste. “Una centrale a fusione richiederà meno terre rare di una turbina eolica. La fusione non è una questione di risorse che devi estrarre o pompare. È una questione di una tecnologia”.

Sul mercato della fusione nucleare dovrebbe esserci spazio per più di un vincitore. Tra gli altri leader c’è General Fusion, società con sede in Canada sostenuta da Jeff Bezos, che ha raccolto 130 milioni di dollari quest’anno. Altri miliardari famosi che hanno preso parte alla gara sono Neal e Linden Blue, proprietari di General Atomics, azienda con sede a San Diego che da decenni svolge ricerche sul tokamak per conto del dipartimento dell’Energia statunitense. Quest’anno General Atomics ha consegnato a Iter l’elemento centrale dei suoi elettromagneti tokamak: un solenoide da mille tonnellate. E poi c’è la californiana Tae Energy, che ha speso un miliardo di dollari per vari esperimenti negli ultimi dieci anni e ha raccolto 130 milioni durante la pandemia.

La tecnologia della fusione potrà anche essere partita dai laboratori finanziati dal governo, ma la sua messa in atto dovrà fare affidamento su finanziamenti privati. Amy Roma, partner di Hogan Lovells a Washington, spiega che l’Infrastructure Act federale, approvato di recente, include finanziamenti per un Advanced Reactor Demonstration Program, che sostiene però solo progetti legati alla fissione, non alla fusione. Roma ipotizza che, se il governo federale volesse sostenere il progresso nel campo della fusione, un buon posto per farlo potrebbe essere il neonato Office of Clean Energy Demonstration, creato all’interno del dipartimento dell’Energia proprio dall’Infrastructure Act. L’energia ricavata dalla fusione, che è a zero emissioni, beneficerebbe anche del recente ordine esecutivo del presidente Biden, in base al quale gli acquisti di energia del governo federale dovranno essere “a impatto netto nullo” entro il 2030.

Steve Jurvetson, leggendario investitore in aziende tecnologiche e sostenitore di Commonwealth Fusion, ha staccato il suo primo assegno per finanziare la ricerca sulla fusione 25 anni fa. Ora è quasi sconvolto dal fatto che il suo sogno, rimandato così a lungo, possa diventare presto realtà. “Ci sono un mucchio di scettici fino a quando una cosa non viene realizzata. Poi tutti dicono che era ovvio”.

Royan di Mithril dice che sta già lavorando per adattarsi all’aspetto che il mondo assumerà quando la fusione sarà realizzata. “Pensate alle opportunità su questioni come la desalinizzazione dell’acqua e la produzione di fertilizzanti. Cambierebbe all’improvviso tutta l’economia legata all’acqua, e di conseguenae anche quella agricola”. Tutto questo, dice, fa parte del cammino dell’umanità “per continuare a dimostrare che Malthus era un idiota”.

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