Il luogo è un vecchio aeroporto della Royal Navy nelle campagne vicino a Oxford. Lì, dal 1978, l’uomo tenta l’impossibile: riprodurre sulla Terra l’energia che anima il Sole. Nelle pianure inglesi, infatti, è stato costruito Jet – acronimo di Joint European Torus -, il più grande reattore a fusione nucleare al mondo. L’impresa è condotta da Eurofusion, consorzio al quale partecipano 4.800 scienziati di 28 paesi europei.
La notizia, straordinaria per le possibili conseguenze, è che i ricercatori sono riusciti a tenere in vita una reazione di fusione nucleare per cinque secondi: un record storico. L’energia prodotta, 59 megajoule, è ancora poca, appena sufficiente a portare a ebollizione 60 bollitori, ma supera il vecchio primato di 22 megajoule, conseguito sempre al Jet nel 1997.
I risultati dell’esperimento al Jet
L’esperimento ha suscitato entusiasmo perché rende concreta, per la prima volta, la possibilità di sviluppare la fusione nucleare a fini commerciali. Il limite di questa tecnologia, infatti, è che consuma molta, troppa energia. La ricetta prevede l’unione di due ingredienti, il deuterio e il trizio, entrambi isotopi dell’idrogeno. Per fonderli, però, servono temperature altissime che possono essere raggiunte solo bruciando quantità enormi di combustibile. Questa è la ragione per cui nessuno degli oltre 150 reattori a fusione in funzione nel mondo è riuscito a generare più energia di quella che consuma. Tuttavia, dopo il trionfo dell’esperimento al Jet, l’obiettivo sembra a portata di mano.
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“Se riusciamo a sostenere la fusione per cinque secondi, possiamo farlo per cinque minuti e poi per cinque ore, aumentando la scala delle operazioni”, ha dichiarato Tony Donné, capo di Eurofusion. Infatti, una produzione netta positiva dipende anche dal tempo: più a lungo dura la reazione, più energia viene generata. L’obiettivo, quindi, è arrivare al punto in cui il reattore potrà autosostenersi, producendo da solo l’energia che gli serve continuare a per funzionare.
Il sogno di energia pulita illimitata
Se la scommessa riuscisse, il passo avanti rispetto alle centrali nucleari attuali sarebbe enorme. Infatti, si potrebbe generare energia pulita in quantità pressoché illimitata, senza emissioni di gas serra e con pochissime scorie. La materia prima è praticamente inesauribile: il deuterio si trova nell’acqua del mare – circa 5 grammi ogni 150 litri -, mentre il trizio può essere estratto dal litio presente in natura o dalla reazione stessa che lo produce come scoria. Il processo, del resto, ne consuma pochissimo. Secondo alcune stime, con un grammo di deuterio e di trizio si potrebbe produrre la stessa quantità di energia che si genera bruciando 11 tonnellate di carbone.
Jet è un tokamak, un reattore a forma di ciambella inventato dagli scienziati sovietici negli anni ’50. In sostanza, una macchina nella quale viene convogliato idrogeno. O meglio, i suoi isotopi, deuterio e trizio. Il problema è che i nuclei di questi isotopi si respingono come i poli uguali di una calamita. Per vincere la loro repulsione, questa miscela di gas viene sottoposta a condizioni estreme, le stesse che si producono sulla superficie del Sole: bassa pressione e altissime temperature. Solo così i nuclei del deuterio e del trizio si possono unire. Nel processo gli atomi generano un gas ionizzato detto plasma, le cui particelle hanno una carica elettrica che le rende controllabili tramite potentissimi magneti. Il processo è quindi interamente controllato: non può esserci un incidente nucleare. Sembra esclusa, dunque, la possibilità di un’altra Cernobyl.
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Il più grande progetto sulla fusione nucleare
Non bisogna, però, esagerare con l’entusiasmo. Sebbene l’esperimento condotto a Oxford rappresenti un notevole passo avanti, l’utilizzo della fusione non è ancora in grado di generare energia netta positiva. Secondo la maggior parte degli scienziati, ci vorranno non meno di 20 o 30 anni per affinare questa tecnologia e applicarla su vasta scala.
I progressi compiuti al Jet serviranno anche a Iter, il più grande progetto di ricerca della storia sulla fusione nucleare. Partito nel 2005, Iter ha ricevuto finora 25 miliardi di dollari di finanziamenti. Il reattore, la cui costruzione è iniziata nel 2020, è un tokamak. Si trova nel Sud della Francia, a Cadarache, e alla sua realizzazione partecipano 35 paesi, tra cui Russia, Stati Uniti, Cina e India, oltre, ovviamente, all’Unione europea.
Un ruolo da protagonista lo gioca l’Italia, le cui imprese si sono aggiudicate la metà delle commesse. Dei 2,4 miliardi di euro messi a gara per questa fase, infatti, 1,2 miliardi sono andati a un centinaio di aziende italiane, tra cui Fincantieri, Ansaldo Energia e Asg Superconductors. Iter, che dovrebbe entrare in funzione nel 2025, non sarà una centrale nucleare. Lo scopo del progetto, infatti, è quello di costruire un reattore che permetta di studiare la fusione nucleare su una scala più ampia di quanto fatto al Jet di Oxford.
Una ricerca lunga decenni
Insomma, quella della fusione nucleare è una storia a cui manca ancora un finale. Tecnologia del futuro per alcuni, pratica alchemica per altri, la fusione ha avuto una vita piuttosto tormentata. Non stupirà se, ai suoi albori, fu sviluppata per l’industria bellica. Durante la Guerra Fredda, infatti, la competizione tra russi e americani si svolgeva sul terreno del nucleare. Il dominio sul mondo dipendeva dal possesso delle armi atomiche piùall’avanguardia.
Non a caso le ricerche sulla fusione erano iniziate negli Stati Uniti nel 1939, con il varo del Progetto Manhattan, al quale parteciparono, tra gli altri, Albert Einstein e Robert Oppenheimer. Parallelamente, la ricerca dell’arma segreta che avrebbe risolto il conflitto muoveva i suoi passi, pur senza successo, anche in Germania. Rimase famoso il neologismo coniato dal gerarca nazista Goebbels per riferirsi ai prototipi: “Wunderwaffen”, armi-miracolo.
Gli ordigni di Hiroshima e Nagasaki, che costrinsero il Giappone alla resa, sancirono la definitiva supremazia militare degli Usa. Si trattava però di armi che utilizzavano ancora la tecnologia della fissione nucleare. Fu soltanto il 1 novembre del 1952 che i progetti americani sulla fusione videro la loro prima applicazione bellica: alle 7.15 della mattina, la Bomba H fu fatta esplodere nelle isole Marshall nell’Oceano Pacifico. Ivy Mike, nome in codice per l’ordigno più potente mai costruito, liberò un’energia di 12 megatoni, quasi mille volte superiore a Little Boy, la bomba sganciata su Hiroshima nel 1945.
Il vantaggio rispetto alle rinnovabili
Solo negli anni ’60 e ’70 si iniziò a studiare l’innovazione per scopi civili. Ora la strada da percorrere è ancora lunga, ma lo scetticismo della comunità scientifica si sta diradando. Da alcuni anni governi e imprese hanno aumentato i loro sforzi per sviluppare questa tecnologia. Del resto, in un mondo che sta virando sulle energie rinnovabili, la fusione ha un vantaggio: non dipende dall’umore del tempo. Che piova o splenda il sole, la produzione è assicurata. Chissà che, anche grazie ai progressi al Jet, la fusione nucleare non possa diventare la fonte energetica del futuro: pulita, sicura e, soprattutto, inesauribile.
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