Una serie di documenti ottenuti dal Guardian rivelano che il gigante del trasporto privato Uber ha consapevolmente sfidato le normative locali, corteggiato potenti funzionari e perfino considerato violenze contro i suoi autisti durante il periodo di espansione globale sotto il cofondatore ed ex ceo Travis Kalanick.
Aspetti principali
- Oltre 124mila documenti interni di Uber, risalenti al periodo compreso tra il 2013 e il 2017, sono stati divulgati dal Guardian e condivisi con un gruppo internazionale di testate giornalistiche. Tra le carte ci sono anche le comunicazioni dirette tra Kalanick e i massimi dirigenti di Uber che illustrano come operava l’azienda.
- Nelle comunicazioni interne, il personale di Uber avrebbe riconosciuto apertamente lo “status non legale” dell’azienda in alcuni dei Paesi in cui operava. Il responsabile delle comunicazioni globali di Uber, Nairi Hourdajian, avrebbe scritto a un collega nel 2014 che “a volte abbiamo problemi perché siamo semplicemente illegali”, rivela il Guardian.
- La corrispondenza mostra che nel 2016, quando sono scoppiate in Europa le proteste anti-Uber guidate dai tassisti, Kalanick avrebbe ordinato ai dipendenti di incoraggiare gli autisti di Uber a organizzare una contro-protesta in Francia, nonostante gli avvertimenti secondo i quai la mossa avrebbe potuto mettere gli autisti a rischio di attacchi. Kalanick affermava che “poteva valerne la pena perché la violenza garantisce il successo” (secondo il Guardian, la strategia sarebbe stata ripetuta durante le proteste in Italia, Belgio, Spagna, Svizzera e Paesi Bassi).
- Per proteggere la startup, Uber avrebbe sviluppato quello che i dipendenti chiamano “kill switch”, cioè un’azione che interrompe i sistemi di dati in caso di indagini delle forze dell’ordine e impedisce agli investigatori di acquisire prove contro l’azienda.
- La fuga di notizie include anche messaggi tra Kalanick e l’allora ministro dell’Economia francese e attuale presidente, Emmanuel Macron, che avrebbe detto di aver mediato un “accordo” segreto nel gabinetto francese per aiutare l’azienda a prendere piede nel mercato.
- Secondo quanto riferito dal Guardian, Uber avrebbe stretto rapporti con personaggi di spicco in Russia, Germania e Italia, nominandoli “investitori strategici” e offrendo loro partecipazioni finanziarie. L’azienda inoltre avrebbe pagato a noti accademici centinaia di migliaia di dollari per ricerche che avvalorassero le sue tesi economiche.
L’altra versione
In una dichiarazione al Guardian, il portavoce di Kalanick ha negato che l’ex ad di Uber abbia mai autorizzato un’azione che avrebbe “ostacolato la giustizia in qualsiasi Paese”. Ha affermato che Kalanick non ha mai suggerito alla società di trarre vantaggio dalla violenza a scapito della sicurezza degli autisti.
“La realtà è che le iniziative di espansione di Uber sono state condotte da oltre un centinaio di leader in decine di paesi in tutto il mondo sotto la diretta supervisione e con la piena approvazione dei solidi gruppi legali, politici e di conformità di Uber”, ha dichiarato il portavoce di Kalanick. Il team ha espresso dubbi sull’autenticità dei documenti trapelati. Forbes ha contattato il fondo di investimento di Kalanick per un commento sulla vicenda.
Sullo sfondo
Kalanick si è dimesso dalla carica di ceo nel 2017, spinto dagli azionisti sulla scia di uno scandalo sulla cultura del lavoro di Uber. Alcuni ex dipendenti avevano raccontato di molestie sessuali e discriminazioni all’interno dell’azienda. L’attuale ceo, Dara Khosrowshahi, ha sostituito Kalanick nel 2017 e da allora, come dichiarato domenica in un comunicato, l’azienda ha rinnovato il team di leadership, investito pesantemente nella sicurezza e revisionato la sua governance aziendale.
“Non abbiamo trovato e non troveremo scuse per comportamenti passati che chiaramente non sono in linea con i nostri valori attuali”, ha dichiarato Uber. “Chiediamo invece al pubblico di giudicarci in base a ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e a ciò che faremo negli anni a venire”. Kalanick ha lasciato definitivamente il consiglio di amministrazione nel 2019.
Il Guardian ha condiviso i file trapelati e ha condotto un’indagine sulla vicenda con oltre 180 giornalisti di 40 media, tra cui il Washington Post, la Bbc e l’International Consortium of Investigative Journalists.
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