Il clamore suscitato, circa un mese fa, dalla violazione dello spazio aereo statunitense da parte di un pallone cinese – prontamente etichettato come “spia” da Washington nonostante per Pechino fosse un volo con finalità scientifiche andato fuori rotta – ha portato alla ribalta i palloni stratosferici, un mezzo “antico” che continua a essere usato per scopi scientifici, per fornire servizi, per fare spionaggio, ma anche per divertimento.
L’attualità ha anche ricordato che i palloni stratosferici sono come le magliette ed esistono in taglie diverse: dai piccoli, lanciati a mano per fini meteorologici o per portare in quota piccoli strumenti costruiti da gruppi amatoriali, a quelli medi, usati per fornire servizi come la connettività internet in aree remote, fino a quelli grossi come campi da calcio, capaci di trasportare carichi più pesanti. Facendosi trascinare dai venti possono operare per molti giorni o settimane ad alta quota, come è successo al pallone cinese. Visto che volano sopra la parte più densa dell’atmosfera, che agisce da schermo opaco per buona parte della redazione di alta energia emessa dai corpi celesti, costituiscono una alternativa di basso costo ai satelliti.
LEGGI ANCHE
Monitoraggio meteorologico o spia? Il caso (non ancora chiuso) dei palloni cinesi
Il lancio dei palloni stratosferici
Il loro lancio, pur non banale da gestire, può avvenire da qualunque vecchio aeroporto dotato di una pista e di un minimo di infrastrutture che permettano di gonfiare il pallone mentre lo strumento è saldamente tenuto da una gru montata su un camion. Occorre spazio, perché lo strumento è attaccato al paracadute, che servirà per il ritorno a terra, e, nondimeno, perché il pallone è lungo un centinaio di metri. Viene gonfiato con elio, oppure con idrogeno, solo per una frazione del suo volume, in modo il gas possa espandersi salendo. In effetti, il pallone inizia ad alzarsi quando è ancora quasi sgonfio. È però quello il momento della verità, dal quale dipende il successo o il fiasco del lancio. Il camion deve seguire la traiettoria per rilasciare il carico quando il pallone è verticale, pronto a cominciare la fase di ascesa, che lo porterà a una trentina di chilometri di altezza, nella stratosfera, dove la pressione è molto inferiore a quella al suolo.
Nella famiglia dei palloni di grandi dimensioni, si aggiungeranno presto quelli dotati di cabina pressurizzata, dedicati al turismo stratosferico. L’idea è di portare un numero più o meno nutrito di passeggeri fino a una quota di trenta chilometri circa. È un’altezza sufficiente per apprezzare la curvatura terrestre e per vedere in alto il cielo nero, anche se si è molto sotto il limite di Karman, la linea immaginaria a 100 chilometri dalla superficie che divide l’atmosfera dallo spazio.
LEGGI ANCHE:
I troppi satelliti di Musk nell’orbita terrestre stanno rovinando la ricerca astronomica
Il turismo spaziale
Sarà un turismo spaziale decisamente più lento rispetto a quello offerto da Virgin Galactic e da Blue Origin, che raggiungono il limite di Karman in un tempo più breve, ma i fan ricordano sia meno inquinante e dia ai passeggeri il tempo di assaporare l’esperienza, adatta anche a chi abbia paura di volare o un budget meno importante a disposizione. Da anni, diverse società lavorano in questo campo: negli Stati Uniti sono attive World View e Space Perspective.
World View propone voli da una decina di ore in una capsula pressurizzata con 10 posti, che partirà dal Grand Canyon nel 2024. Un biglietto costa 50mila dollari, ma basta depositarne cinquecento per prenotare.
Space Perspective opererà la sua lussuosa Spaceship Neptune dalla Florida, sempre a partire dal 2024. Più elevato, il costo dovrebbe attestarsi sui 125mila dollari, di cui almeno mille per prenotarsi. Con un marketing basato sulla sostenibilità, il sito dell’azienda sottolinea che il pallone viene gonfiato con idrogeno verde e non con elio, che è una risorsa limitata.
Prima di prenotare, sarebbe però consigliabile aspettare “l’Ok” della Federal Aviation Administration, che non ha ancora autorizzato le due compagnie al trasporto dei passeggeri.
L’unica ad avere il permesso è la giapponese Open Universe, che vende un volo in una capsula pressurizzata trasparente, progettata per ospitare un solo passeggero oltre al pilota. Forse per questo è l’opzione più cara, con un costo in yen equivalente a 175mila dollari.
La società ha aperto le “iscrizioni” e annuncerà i primi turisti in ottobre; voleranno entro la fine dell’anno. Secondo Keisuke Iwaya, amministratore delegato della startup Iwava Giken, sarà un turismo spaziale gentile ed ecologicoalla portata di (quasi) tutti.
Biglietti fino a 55 milioni di dollari
Certo non si tratta di viaggi low-cost, anche se il biglietto è più economico dei 450mila dollari chiesti da Virgin Galactic per un volo suborbitale. Improbo anche il paragone con Blue Origin, la quale – sebbene mantenga riservate le cifre esatte – per un volo dello scorso agosto pare abbia chiesto 2,5 milioni di dollari per due posti. Sempre briciole rispetto ai 55 milioni pagati dai passeggeri delle capsule SpaceX, che però offre un’avventura di diversi giorni in orbita contro i 10 minuti di Blue Origin. Benché gli analisti dicano che il turismo spaziale dovrebbe raggiungere un fatturato di tre miliardi nel 2030, non tutti i problemi sono ancora risolti.
Pur avendo una lunga coda di turisti che aspettano l’imbarco, Virgin Galactic continua a rimandare la ripresa delle attività, perché deve risolvere un problema sulla traiettoria della salita riscontrato nel corso del primo lancio, quello con a bordo il patron della compagnia. La FAA non ha apprezzato i piloti abbiano deciso di continuare il volo, che avrebbe dovuto essere interrotto. Se Virgin Galactic vuole mantenere l’autorizzazione a operare occorre dimostri di sapere evitare il ripetersi del problema.
Per chi volesse provare il vuoto dello stomaco degli astronauti in microgravità, c’è anche una soluzione più economica: si può prenotare un posto su un volo parabolico, di quelli utilizzati da anni per il training degli astronauti. Il prezzo è paragonabile a quello di un biglietto di business class su un volo transatlantico, con una precisazione: li chiamano vomit comet. E il soprannome è meritato.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .