Articolo di Roberto Isibor, dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Bocconi
L’Africa è un continente vasto e sfaccettato, che racchiude in sé un ricco mosaico di stati, culture ed etnie. In questo contesto variegato, coesistono una pluralità di ordinamenti normativi, frutto dell’incontro tra tradizioni giuridiche native, influenze occidentali e religiose, ciascuna con le sue intricate specificità e complessità.
Per comprendere appieno il concetto di pluralismo in Africa, basti pensare ai circa 300 sistemi normativi tradizionali che convivono in Nigeria o all’evocativa immagine fornita dal gius-comparativista Uwe Kischel, che descrive il panorama legale africano come quel contesto dove può legittimamente accadere che tre fratelli, per la sola ragione di seguire tre stili di vita diversi (che siano quelli tradizionali, islamici oppure occidentali), siano soggetti all’applicazione di “diritti” completamente differenti. Un ritratto, dunque, di una quotidianità “africana” – diffusamente condivisa nel continente – in cui gli abitanti passano costantemente da un ordinamento normativo all’altro.
Per quanto foriero di complessità, non bisogna pensare che il citato pluralismo condanni l’intero continente ad un ruolo secondario nel panorama internazionale. Vero è il contrario, come dimostrato dal crescente attivismo e fermento a cui stiamo assistendo di recente, caratterizzato da iniziative significative come l’istituzione dell’African Continental Free Trade Area (“AfCFTA”) e il rinnovato interesse dell’UE e dell’Italia per la regione.
Benché tali iniziative e interessi non siano una novità nel panorama internazionale, è certamente degna di nota l’ambizione e il contesto storico in cui esse si inseriscono (quest’ultimo segnato dalla crescente concorrenza di attori come la Cina, nonché dalle sfide intrinseche dei processi di globalizzazione economica). Ma di cosa trattano esattamente queste iniziative che stanno plasmando il futuro del continente africano?
L’AfCFTA – progetto faro dell’Unione Africana (ma non l’unico, come dimostra la recente istituzione dell’African Medicine Agency – versione africana dell’Agenzia europea per i medicinali), rappresenta la più grande area di libero scambio potenziale al mondo, coinvolgendo 54 stati africani, con un mercato potenziale di 1,3 miliardi di persone e un’economia complessiva di oltre 3.000 miliardi di dollari.
Quest’iniziativa, entrata nella fase pilota alla fine del 2022 attraverso la Guided Trade Initiative, promette di aumentare il commercio intra-africano di oltre il 50%, con un conseguente aumento del PIL continentale di 450 miliardi di dollari e un impatto positivo sulle condizioni di vita di milioni di persone nei prossimi anni.
EU-Africa Global Gateway – L’AfCFTA non è l’unico potenziale game changer. Il Global Gateway europeo per l’Africa, annunciato nel dicembre 2021 dall’UE, rappresenta uno dei progetti europei più ambiziosi degli ultimi anni. Si propone di promuovere partenariati sostenibili in tutto il mondo, mobilizzando fino a 300 miliardi di euro di investimenti tra il 2021 e il 2027 per sostenere una ripresa globale duratura.
In particolare, 150 miliardi di euro sono destinati a progetti che mirano a sostenere una ripresa e una trasformazione forte, inclusiva, verde e digitale in Africa, accelerando la transizione verso un’economia sostenibile e la creazione di posti di lavoro “dignitosi”, oltre al potenziamento dei sistemi sanitari ed educativi nazionali.
L’Italia e il piano Mattei – Nel contesto delle relazioni tra Europa e Africa, l’Italia gioca un ruolo significativo. Nel 2022, l’interscambio commerciale tra Italia e Africa ha superato i 69 miliardi di euro, rendendo l’Italia il secondo paese al mondo per importazioni di prodotti africani e undicesimo per esportazioni.
Con riferimento a questo scenario, il recentemente annunciato Piano Mattei ha lo scopo di consolidare e incrementare l’impegno del sistema Italia nel continente africano. Più in dettaglio, mediante un piano di investimenti ipotizzato in circa 5,5 miliardi di euro, distribuiti su quattro anni, il governo italiano mira a stimolare l’avvio di progetti sia istituzionali che privati in settori chiave come istruzione, sanità, agricoltura, energia e accesso all’acqua.
Nonostante le promesse di queste iniziative, è fondamentale tenere conto delle sfide legate all’integrazione africana e ai partenariati UE/Italia-Africa. Sul fronte dell’AfCFTA, queste sfide includono gli ostacoli all’attuazione, difficoltà nella negoziazione dei protocolli aggiuntivi, la gestione della recente ondata di colpi di stato. Sul fronte UE e italiano, invece, le critiche riguardano spesso il rischio di mero rebranding (ovverosia, la tendenza a fornire mere nuove etichette a progetti già esistenti), la mancanza di trasparenza, la genericità e l’incapacità delle iniziative di promuovere la partecipazione del settore privato.
In particolare, sorge la domanda su come l’approccio europeo/italiano, con i suoi ampi piani d’azione, cabine di regia e strategie orientate alla creazione di un quadro giuridico allineato agli standard europei, possa trovare un terreno comune con le peculiarità del pluralismo giuridico africano e le sfide legate alla (spesso) limitata effettività degli apparati statali africani. Nonché, al contempo, ci si domanda se l’AfCFTA – iniziativa che in tanti aspetti segue il modello di integrazione occidentale – sia lo strumento migliore per avvicinare le variegate tradizioni giuridiche locali e armonizzare sistemi spesso privi di quella effettività e capillarità che caratterizzano invece gli ordinamenti europei.
In tal senso, la sfida centrale per tutti gli attori consisterà probabilmente nel bilanciare sapientemente i (per quanto mirabili) obiettivi a lungo termine, con una maggiore attenzione a guadagni tangibili e facilmente raggiungibili nel breve periodo, che supportino e vivacizzino la crescente attenzione degli investitori, e dei portatori di interessi in genere, verso l’Africa.
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