Ci sono articoli in cui George Soros, il popolare imprenditore e finanziere ungherese, naturalizzato statunitense, è presentato come uno speculatore senza scrupoli. In altre notizie, invece, si parla di lui come di un filantropo impegnato in numerose iniziative umanitarie. Quale delle due storie è vera? Lo sono, probabilmente, entrambe. O meglio si tratta di narrazioni focalizzate su aspetti diversi dell’attività del presidente di Soros Fund e di Open Society Foundation.
È uno degli esempi proposti da Andrea Fontana, sociologo della comunicazione ed esperto di corporate storytelling, nel suo libro #Iocredoallesirene. Come vivere (e bene!) in un mare di fake news (Hoepli). Ancora: nel marzo del 2017, in occasione della loro partecipazione a una conferenza, Michael Glaser e David Soul, già protagonisti di Starsky & Hutch, sono stati fotografati a Liverpool. Piccolo particolare: Michael (Starsky) spingeva la carrozzina su cui era seduto David (Hutch). La foto è stata molto diffusa su giornali online, motori di ricerca e social network, accompagnata da articoli che parlavano dell’amicizia indissolubile tra i due attori tanto in scena quanto nella vita privata. Però, fatto salvo il momento ripreso nello scatto, noi non sappiamo nulla, o quasi nulla, della vita privata di Glaser e Soul e dei rapporti che sono intercorsi tra loro negli ultimi quarant’anni. Ma vedere quella foto ci procura quello che gli esperti di comunicazione chiamano blending conoscitivo, ovvero una mescolanza, una fusione tra fatti, elementi oggettivi e aspetti soggettivi, emozionali e intuitivi, i quali insieme determinano la nostra visione del mondo, la nostra idea della realtà.
Le neuroscienze hanno di recente dimostrato che le nostre scelte e il nostro modo di apprendere sono guidati più dalle emozioni che dai pensieri razionali. E, uscendo dall’ambito delle news, le mappe della metropolitana non sono certo una rappresentazione fedele della realtà, ma una sintesi astratta della stessa, che prendiamo per buona, che facciamo finta sia vera perché così riusciamo a orientarci meglio all’interno di una porzione del reale. Fontana nel suo saggio agile e concettualmente raffinato ci dice che molte delle informazioni che troviamo sui giornali e online sono strutturate in modo simile a quelle degli esempi elencati qui sopra. In sostanza, ci chiedono di credere a una porzione di reale, selezionano alcune informazioni e costruiscono a partire da queste una storia che rivela un contenuto misterioso. E facendo così mettono in moto meccanismi inconsci ed emozionali che sono alla base della nostra propensione a conoscere. Questo, per via dell’overdose mediatica a cui siamo esposti, oggi avviene più che in ogni altra epoca. Ma in fondo è sempre accaduto. Funzionano così, insieme a molti altri testi antichi, i Veda, l’Odissea, il mito della caverna di Platone: c’è un velo di Maya da squarciare, un’illusione da superare attraverso un salto psichico necessario per raggiungere uno stato di conoscenza o di coscienza superiore. E sono fatte così anche le fake news.
Per questo Fontana ci invita a riflettere bene su ogni informazione in cui ci capita di imbatterci, a distinguere le fake news in senso stretto, ossia le notizie false costruite con lo scopo di ingannare, dalla sterminata quantità di contenuti che, sebbene a volte ricalchino schemi visibili nelle fake news, interagendo con le nostre emozioni, possono estendere il campo della nostra conoscenza. Tocca a noi selezionare le informazioni utili da quelle distorte e ingannevoli e contestualizzarle nel grande mare di comunicazione in cui ci troviamo. Forse, a beneficio dei lettori meno esperti, l’autore avrebbe potuto marcare maggiormente, accettando il rischio di qualche passaggio didascalico in più, la differenza tra fake news vera e propria e altri contenuti che contengono elementi fittizi, più o meno utili a capire qualcosa, oppure più o meno disinformativi (cosa che comunque viene fatta con chiarezza nella precisa classificazione posta in chiusura). In ogni caso, il libro di Fontana è un vademecum prezioso per studiosi, professionisti dell’informazione e per tutti coloro che vivono in questo mondo, se così si può dire, ad alto tasso di metamorfosi mediatica.
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