Articolo tratto dal primo numero di ForbesITALIA, in edicola il 24 ottobre. Scopri l’ultimo numero.
“Il testo è dappertutto. La tipografia è una cosa della quale non ti accorgi, ma che c’è e condiziona la fruizione del testo, nelle insegne dei negozi, nelle etichette degli oggetti. I font rendono il testo possibile”. Non a caso Antonio Cavedoni di mestiere fa il disegnatore di caratteri tipografici, o type designer, e quella che era una passione per un programmatore di Sassuolo è via via diventata un percorso professionale.
Cavedoni ha lasciato nel 2008 il proprio studio, Bunker, creato con amici, per studiare typeface design all’Università di Reading per quello che doveva essere un anno sabbatico. A tre mesi dal suo arrivo a Reading gli viene proposto un internship alla Apple, nel team software che si occupa dei caratteri, e dopo qualche anno arriva una grande occasione: un nuovo progetto, segreto come tutti quelli nelle fase iniziali di sviluppo a Cupertino, ha bisogno di un carattere. Più tardi diventa chiaro come questo carattere debba essere ben visibile a piccole dimensioni e su schermi ad alta risoluzione.
È l’embrione dell’Apple Watch che da subito incontra sfide interessanti proprio sui caratteri perché i font usati nella maggior parte dei dispositivi Apple non sembravano adatti allo scopo. “In questo caso la tipografia è una disciplina abilitante,” ricorda Antonio, “perché i caratteri sono il cuore dell’interfaccia utente e rendono possibile la comprensione e l’uso del dispositivo. L’Apple Watch ha guadagnato dall’avere un carattere progettato ad hoc”.
Il font viene allora impostato al computer, ma poi verificato e corretto sotto l’occhio del type designer, carattere per carattere controllando l’effetto sul dispositivo. Un lavoro meticoloso e attento in un angolo di quella che stava diventando la più ricca azienda al mondo ma, ricorda Antonio, “Io e il team abbiamo lavorato come in una startup, sempre in ufficio, per consegnare in tempo utile questo progetto così importante”.
Un progetto concepito per gli schermi retina di Apple ma non solo, con mille piccoli accorgimenti pensati per renderlo efficace a dimensioni diverse, dall’orologio al grande televisore da sessanta pollici collegato a una Apple TV. Invece di un singolo font si tratta di una famiglia di caratteri, tutta sotto il nome San Francisco, un riferimento alla storia di Apple: era anche il nome di uno dei font inseriti nel primo Macintosh. Molti progetti di sviluppo di nuovi caratteri tipografici nascono per sopperire a specifiche esigenze industriali con un evidente ritorno economico. Per Apple i font San Francisco sono stati importanti per un prodotto con il display così piccolo e denso, ma in passato problemi simili avevano afflitto anche gli editori di giornali.
Un esempio è il Wall Street Journal che aveva affidato al designer Tobias Frere-Jones il progetto di un nuovo carattere per le pagine delle quotazioni di borsa e grazie a quel font, Retina, pensato per la carta scadente di un quotidiano prevedeva sbavature e imprecisioni dell’inchiostro, aveva potuto stampare le stesse informazioni in meno pagine, risparmiando milioni di dollari ogni anno.
“Ci saranno sempre nuovi font perché con l’avanzare delle tecnologie ci sono problemi da affrontare in modo nuovo, i caratteri progettati per linotype, ad esempio, sono progettati con limitazioni che non abbiamo più in digitale, e così i caratteri progettati per gli schermi odierni hanno limitazioni che forse potremmo non avere in futuro. Inoltre, il gusto cambia, e spesso si può datare una foto grazie alle insegne, alle scritte e agli usi dei caratteri che andavano per la maggiore in un momento storico”.
Dall’uso iniziale nell’Apple Watch il San Francisco ha poi preso possesso di tutti i dispositivi Apple, compreso il Mac e il gioiello della casa, l’iPhone. È diventato il font ufficiale dell’azienda, usato sul sito web, nelle pubblicità e sul packaging. Chiusa la parte pionieristica del progetto, dopo sette anni ad Apple, Cavedoni ha cominciato a sentire la nostalgia anche culturale dell’Italia, così ha fatto i bagagli e salutato la California per nuovi stimoli.
Il capitolo successivo della carriera di Antonio si svolgerà infatti a Milano, dove ha ripreso in mano gli studi sulla storia e l’evoluzione della tipografia, con particolare attenzione alla figura di Francesco Simoncini, oggetto della sua tesi di laurea a Reading. Oggi ne cura una mostra che si tiene a Bologna al Museo del Patrimonio Industriale fino al 12 novembre. “Nel dopoguerra Simoncini realizzò le matrici linotype che contribuirono allo sviluppo dell’editoria nazionale e da autodidatta progettava font, tra cui il Simoncini Garamond scelto da Giulio Einaudi per la sua casa editrice tramite il suo direttore di produzione Oreste Molina, e che ora è il carattere simbolo del romanzo italiano. Un imprenditore illuminato e intellettuale, della stessa generazione di Adriano Olivetti. La mostra, il catalogo, e un libro monografico attualmente in lavorazione completano la ricerca sul suo lavoro che mi ha accompagnato nel corso degli anni”.
Oltre che al passato Cavedoni guarda anche al futuro: è in procinto di far partire la fonderia di caratteri che porterà il suo nome e che lavorerà sia alla produzione di nuovi font che alla ricerca, in quello che è un vero settore industriale. Tralasciando i giganti del software come Adobe che ha una forte presenza nel mondo tipografico, la più grande azienda specializzata nel campo, l’americana Monotype, è quotata al Nasdaq (NASDAQ:TYPE) e prevede 230 milioni di dollari di fatturato nel 2017, ma dietro di essa ci sono molte aziende medie e piccole boutique legate spesso a nomi di prestigiosi designer come Frere-Jones. “In Italia ci sono state e ci sono tuttora eccellenze nel campo del design che ancora non riescono ad uscire in maniera internazionale. Eppure l’industria italiana è design-driven: qui a Milano è tutto design, c’è una cultura. Su questo si può costruire e io sono ottimista”.
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