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Luigi Patimo, presidente della Camera di Commercio di Spagna in Italia, è anche il country manager italiano di Acciona
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Così i dissalatori potrebbero risolvere il problema idrico dell’Italia

Articolo apparso sul numero di ottobre 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

In Sicilia sono stati spesi inutilmente 3,5 miliardi di euro, con laghi svuotati e una diga in costruzione da quasi 50 anni. In Basilicata – che serve anche la Puglia – e in Sardegna mancano circa 1 miliardo di metri cubi d’acqua all’anno. Soprattutto, c’è un acquedotto colabrodo che perde più di 41 litri ogni 100 immessi nelle reti di distribuzione. Segnali inquietanti di un futuro di siccità che incombe sul nostro Paese, che danno il senso della tragedia ambientale ed economica che si sta consumando. Perché non si parla solo di acqua da bere, ma anche di quella che serve alla produzione agroalimentare e industriale in generale. Luigi Patimo, presidente della Camera di Commercio di Spagna in Italia, è anche il country manager italiano di Acciona, multinazionale che fa degli impianti di dissalazione uno dei business portanti. Dissalatori: ecco la principale soluzione alla grande sete in un Paese che ha quasi ottomila chilometri di coste pronte all’uso.

Forse la prendiamo sottogamba. La grande sete non minaccia solo il sistema alimentare, ma la sopravvivenza stessa del pianeta.

La grande sete ha, purtroppo, una storia lunghissima che stiamo cercando di interrompere, perché siamo tutti consapevoli che il pianeta sta soffrendo. Voglio citare un dato su tutti: negli anni ‘70 l’Italia era il primo produttore mondiale di frutta, che ha bisogno di tanta acqua, così come tanti altri tipi di colture. La Spagna era seconda, ma ci ha superato ed è tuttora prima. L’Italia è scesa progressivamente e nel 2020 è uscita dalla top 10. Questo argomento ha un filo conduttore: non siamo stati in grado di approvvigionarci di acqua come avremmo dovuto. Perché? Perché il sud della Spagna è coperto da sistemi di dissalazione dell’acqua e viene utilizzata la tecnologia dell’osmosi inversa, che ha fatto passi da gigante nell’ultimo periodo, facendo diminuire l’impegno energetico da 23 kilowattora per metro cubo di acqua prodotta a 2,5. Praticamente dieci volte in meno rispetto a 30 anni fa. Acqua dissalata significa irrigazione dei campi, miglioramento delle condizioni economiche degli agricoltori, contrasto ai periodi di siccità che, negli ultimi anni, si susseguono sempre più numerosi.

Questa consapevolezza c’è a livello politico e finanziario? 

La politica affronta la questione con le misure che ritiene più opportune e lo fa con gli strumenti tipici della politica. Ritengo, comunque, che serva una programmazione industriale adeguata. In soli nove mesi abbiamo realizzato dissalatori per conto di alcune delle principali industrie italiane. E ci sono, invece, amministrazioni pubbliche che pianificano da anni la costruzione di questi impianti fondamentali per l’approvvigionamento idrico. C’è di mezzo la lentezza della burocrazia, certo, con problemi serissimi legati alle autorizzazioni, alle valutazioni di impatto ambientale. 

Sta cambiando qualcosa? Stiamo affrontando la questione in maniera adeguata e sistemica?

Ultimamente c’è una diversa sensibilità e, quindi, un miglioramento della percezione della necessità di questi strumenti. Questo non risolve definitivamente il problema, ma sicuramente aiuta. Si sta andando nella giusta direzione, ma c’è ancora troppa burocrazia: vanno snellite le procedure per autorizzare gli impianti, ma soprattutto vanno affidate le procedure a un soggetto industriale. I volenterosi sindaci di comuni più o meno importanti che si improvvisano gestori di questa emergenza non sono sufficienti: è necessario farlo a livello industriale, con un programma a medio e lungo termine, coinvolgendo le associazioni di categoria. Noi l’abbiamo fatto con importanti risultati e, in particolare, le grandi utility italiane hanno dimostrato di avere le capacità di velocizzare questi processi. Per questo, insieme a loro, dobbiamo cercare di cambiare il sistema.

 I dissalatori sono una soluzione importante alla grande sete, se non quella principale. Ci sono controindicazioni, per esempio a livello di impatto ambientale?

Il dissalatore entra in un sistema protetto, che è quello dell’area marina, e l’unica cosa che fa è restituire una quantità d’acqua con il doppio dei sali al mare. Non ci sono controindicazioni, nessun episodio di inquinamento. Solo in alcuni casi, in presenza di grandi dissalatori, è stato notato un diradamento della posidonia. Ma questo accade se l’acqua viene scaricata direttamente sulla posidonia, circostanza che non si verifica mai, anche grazie ai sistemi dei reticoli di distribuzione dell’acqua e di restituzione per osmosi diretta al mare. Sono problemi di poco conto se si considera che, senza i dissalatori, siamo in grossa difficoltà sia da un punto di vista di approvvigionamento idrico primario, quindi di acqua potabile, che da quello agricolo. I primi progetti realizzati nel sud della Spagna per la dissalazione in agricoltura risalgono alla fine degli anni ‘90, con grandi benefici all’agricoltura e all’industria. Non solo: sugli utenti italiani grava un costo dell’energia molto elevato. Paghiamo l’energia elettrica più del doppio rispetto alla media europea e non ci sono politiche energetiche dedicate all’approvvigionamento idrico. A questo proposito, sarebbe utile che la politica favorisse la sinergia tra il sistema industriale e il sistema di approvvigionamento idrico, per creare le condizioni ideali per produrre questo bene importantissimo a un costo compatibile con le tasche dei cittadini.

Acciona è una multinazionale spagnola, sostenibile anche in altri campi, come quella delle infrastrutture. In Italia qual è la situazione in questo settore?

Ci occupiamo di importanti infrastrutture aeroportuali e portuali, di grandi collegamenti autostradali, della realizzazione delle gallerie che molto spesso accorciano le distanze e riducono drasticamente i tempi di percorrenza, a vantaggio della produttività. In questo settore in Italia c’è ancora molto da fare e il Paese ne ha davvero tanto bisogno. Con il Pnnr c’è una grandissima occasione per fare bene anche nei prossimi anni. Servono infrastrutture più estese ed efficienti, ma serve anche massima attenzione alla corretta manutenzione e alla gestione. Non tenerne conto nei futuri budget sarebbe un grave errore.

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