in collaborazione con The Adecco Group Italia
Anche in azienda l’apprendimento è sempre più un processo sociale dove l’acquisizione di competenze e la diffusione del know how sono valorizzati dall’interazione attiva delle persone coinvolte nell’ecosistema organizzativo.
Il termine “mentoring” deriva dalla figura mitologica di Mentore, consigliere e amico di Ulisse che gli affida la formazione del figlio Telemaco al momento della sua partenza per Troia. Per secoli è stato efficacemente rappresentato dal rapporto tra maestro e apprendista. Negli anni novanta viene introdotto il termine “reverse”, assumendo una nuova e più complessa connotazione soprattutto in relazione ai mutati contesti sociali ed economici. Di cosa si tratta? Da una parte, le figure senior trasferiscono le proprie competenze e l’esperienza maturata ai profili junior, permettendo loro un approccio più immediato e immersivo verso le informazioni. Di fatto diventano una vera e propria guida che, grazie al rapporto di fiducia e prossimità, supporta efficacemente l’orientamento e la crescita. I junior, dal canto loro, restituiscono competenze non solo in ambito digital o rispetto a nuove modalità di comunicazione, ma anche grazie a un approccio naturale alla diversità e a una visione globalizzata e fluida.
“Nel processo tradizionale è sempre stata la persona più giovane ad avere il maggiore vantaggio in termini di apprendimento di competenze e di trasferimento della cultura aziendale. Per secoli è stato un fenomeno unidirezionale ma negli ultimi anni, in virtù dei cambiamenti demografici che hanno portato alla convivenza di diverse generazioni al lavoro e i sempre più rapidi cambiamenti sul fronte tecnologico, lo scambio è diventato bidirezionale”, spiega Monica Magri, HR & Organization Director di The Adecco Group Italia. “Anche in azienda l’apprendimento è sempre più un processo sociale. Attraverso il reverse mentoring, spiega Magri, si genera una sorta di “contratto psicologico”, che tramite la diffusione di esperienze e saperi, consolida le relazioni professionali e favorisce la condivisione dei valori, rivitalizzando l’intera organizzazione.
“I benefici del reverse mentoring possono essere sorprendenti: pensiamo all’impatto motivazionale su figure senior che hanno la doppia opportunità di valorizzare la loro esperienza e acquisire nuove competenze digitali dove magari si sentivano più deboli”, spiega la manager. “Essere in prima linea nel trasferimento delle proprie competenze alle nuove leve significa rimettersi in gioco, consolidare il proprio ruolo e la propria expertise ottenendo anche maggiore visibilità. Dal punto di vista aziendale, questo scambio permette una maggiore integrazione e favorisce la diffusione “liquida” di conoscenza ed esperienza, attenuando il senso di competizione intergenerazionale. In un’ottica di long life learning, la metodologia del reverse mentoring diventerà sempre più centrale perché rappresenta un efficace strumento interno per il reskilling individuale e dell’organizzazione”.
Che ruolo può esercitare l’azienda? “Può favorire un processo di “socializzazione organizzativa”, ovvero iniziative basate sia sulla spontanea contaminazione di esperienze, sia veri e propri progetti strutturati ed inseriti in un più ampio contesto formativo. In The Adecco Group Italia abbiamo da tempo sviluppato dei progetti in tal senso. La prima iniziativa risale a oltre due anni fa e ha coinvolto la componente femminile: abbiamo affiancato colleghe senior a figure junior, creando un ponte tra generazioni per promuovere i percorsi di leadership femminile. Questo commitment dell’azienda, insieme a una definizione delle aspettative da parte dei partecipanti, ha dato risultati molto apprezzabili, sia in termini di sviluppo individuale che di engagement verso l’organizzazione”.
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