(Articolo apparso sul numero di novembre di Forbes)
di Stefano Cocco
Uno dei motivi per i quali ho prima sposato e poi sponsorizzato il road- trip de L’Uomo delle Stelle, è che amo tutte le storie. Senza distinzioni. Da quelle raccontate nelle pagine di libri e fumetti o nelle pellicole patinate dei film. A quelle che è possibile ascoltare alla fermata dell’autobus. Nelle sale d’attesa dei medici di base. Alle Poste. In fila al supermercato.
Sono di bocca buona: non ho grosse preferenze. Non mi interessa nemmeno che le storie abbiano una trama avvincente. Mi basta solo il racconto. Anzi. Mi basta solo che qualcuno racconti. Che la sua voce, aumentando e diminuendo il ritmo, alzando o abbassando tono e volume, mi conduca in altri lidi. In altre epoche. Altri giorni. Fosse anche l’estate precedente.
L’Uomo delle Stelle è un gran narratore. E sapendolo, centellina parole e pause. Insegue il discorso con eleganti e sinuosi movimenti delle mani. Evita il mio sguardo quando ce n’è bisogno. E poi mi inchioda alle sue iridi quando arriva il momento clou della storia. Sta accadendo. Ora. Qui. In Piemonte. A pochi metri dal Duomo di Alba, città dove alloggiamo da qualche giorno. Siamo venuti a visitare “La Fiera Internazionale del tartufo bianco”, una delle manifestazioni enogastronomiche più apprezzate e attese d’Europa.
Il ristorante tre Stelle Michelin che stiamo per visitare – mi spiega – si chiama Piazza Duomo e appartiene alla famiglia Ceretto. Nel 2003 Bruno Ceretto, colosso del vino, decide di gettarsi nel mondo della ristorazione. Prima compra questo splendido edificio e poi fa partire una sorta di talent con il quale sceglie il nome del suo futuro chef. Si narra che fu addirittura Carlo Cracco a indicare a Ceretto un giovane e promettente cuoco che all’epoca lavorava in un ristorante in Brianza. Il tempo di assaggiarne un piatto e la decisione viene presa: Enrico Crippa dirigerà la brigata di Piazza Duomo – Raggiungiamo le sale attraverso una piccola rampa di scale: conduce al primo piano. La vista è mozzafiato: quattro finestre tutte affacciate sulla piazza. Il ristorante, invece, non possiede molti posti: conto 11 tavoli, calcolando mentalmente che potranno ospitare forse una trentina di commensali. Sormontata da pareti e soffitti affrescati da Francesco Clemente, un artista napoletano, la mise en place appare classica. Il menu si apre, chiaramente con l’amuse bouche: due finte olive, una con le acciughe, l’altra con tartare di Fassona, una spuma di ginger rosso e foie gras, un budino ai funghi e del pane alle nocciole. L’antipasto, però, non è ancora finito: insalata, funghi e zucca marinata, cavoletto di Bruxelles con senape. Poi un carpaccio di Fassona, funghi e del tartufo bianco grattato sopra e una crema di patate accompagnata da un tè cinese: il Lapsang Souchong. Riso, caviale e lentisco, rifinito con una polvere al nero di seppia e il famoso piccione alle spezie. Il petto viene servito con delle verdure, le cosce con un brodo ai funghi. Con i fegatelli, invece, vengono farciti due cappelletti, accompagnati da una foglia d’oro alimentare, del riso soffiato e della bernese verde. Chiudiamo con il dolce: un grissino ricoperto di nocciola, gianduia e cioccolato e una piccola pasticceria talmente ricca di golosità da mettere allegria.
Prendiamo un caffè? – mi fa l’occhiolino il mio sodale, vedendomi parecchio soddisfatto.
Certo – sorrido io – a patto che tu mi racconti ancora di come Enrico Crippa è diventato lo chef di Piazza Duomo – E la storia dell’Uomo delle Stelle, che non era seduto su un sofà, cominciò…
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