Cultura

Fenomenologia di Maurizio Cattelan, dalla banana alla crocifissione femminile (all’asta per 1,8 milioni)

L’opera “Untitled” di Maurizio Cattelan (Courtesy Sotheby’s)

Ieri sera da Sotheby’s a Londra le scommesse sono volate. Fra le quotazioni milionarie che sono state segnate dalla pittura che l’ha fatta da padrone, non è passato inosservato il pezzo di Cattelan, che ha segnato lo score di 1.515.000 GBP, pari a circa 1,8 milioni di euro. ‘Untitled’ del 2007, concepito per Kunsthaus di Bregenz, ma esposto alla maggiore retrospettiva internazionale dell’artista al Guggenheim, non poteva sfuggire ai collezionisti dopo che i media hanno parlato per giorni di lui in occasione dell’ormai celebre banana attaccata con lo scotch intitolata ‘Comedian’, venduta pare per 115mila dollari.

Artista provocatore con una ricerca caratterizzata da un cinico sense of humor che mischia le carte in tavola fra tragedia e dissacrazione, è da sempre capace di stare al centro della scena con le sue trovate che uniscono scandalo ad orologeria con un più autentico cinismo italiota: è oggi forse il vero erede di Duchamp, genio dissacratore della storia dell’arte con il celebre Orinatoio del 1917. La sua capacità di sollevare l’attenzione dei media fa di lui artista incarnazione del mercato dei nostri tempi: fra moda, glamour, pubblicità e scandalo, con lui siamo ai vertici di un sistema che non ha trovato ancora altre modalità per generare flussi di business.

Ma chi è Cattelan? Lo si può desumere da alcune delle sue più o meno note malefatte nel mondo dell’arte.

Nato a Padova nel 1960, e privo come è di educazione artistica, inizia la sua carriera molto tardi, dopo diversi lavori estemporanei. Fra le opere di esordio, ricordiamo quella che oggi potrebbe essere di piena attualità, intitolata Stadium (1991): esposta nel 1991 alla Galleria d’arte Moderna di Bologna, consiste in un lungo tavolo da calcio balilla sul quale si affrontano due squadre, una senegalese ed una seconda composta da riserve del Cesena.

Invitato alla Biennale di Venezia nel 1993 da Bonami, cede il suo spazio ad una agenzia pubblicitaria creando a pieno titolo l’opera ‘Lavorare è un brutto mestiere’. Mai prima di lui nessun artista non aveva ceduto alla fascinazione della Biennale veneziana rifiutandosi di realizzare un’opera. Vi tornerà nel 2011 con l’installazione intitolata ‘Others’: composta da duemila piccioni impagliati messi sulle travi del soffitto del padiglione centrale dei Giardini, è una molesta minaccia che incombe sui visitatori.

Sin dagli inizi è famoso per mostre al limite del buon gusto: nel 1998 concepisce The Perfect day, vera installazione relazionale, che vede protagonista il gallerista Massimo De Carlo, attaccato al muro con del potente nastro adesivo. La mostra si chiuderà con il malore di De Carlo, che a fine serata sarà condotto all’ospedale. Nel 2001 La nona ora, scultura a grandezza naturale che raffigura Papa Giovanni II colpito a morte da un meteorite, desta scandalo all’interno della mostra alla Royal Academy of Arts di Londra. Dissacrante su temi delicati quali la religione e la politica, fra le opere che più hanno colpito nel segno non si può non annoverare Him (2001), scultura che vede come soggetto un Hitler di piccole dimensioni in ginocchio nell’atto di pregare, che in mostra era pensato per essere visto di spalle. La dimensione limitata non cessa di ridurre la minacciosità della figura che, collocata nel 2012 nel ghetto di Varsavia, fra i luoghi simbolo dello sterminio nazista, desta ampio scandalo e disssenso. Resta una delle sue opere più iconiche: nel 2016 segna il massimo record asta per l’artista toccando i 17,2 milioni di dollari da Christie’s.

A Milano i suoi progetti fanno sempre discutere: dopo i bambini appesi all’albero nel 2004 a Piazza Ventiquattro Maggio con la Fondazione Trussardi, altrettante polemiche suscita il L.O.V.E. (2010), scultura in marmo di Carrara alta 11 metri di una mano con il dito medio alzato collocata a Piazza Affari, di fronte alla Borsa. Eco dissacrante della tradizione scultorea fascista, l’opera monumentale mette in atto una critica al sistema economico internazionale che nella Borsa trova incarnazione. Nonostante il dissenso della Consob, la scultura diventerà donazione permanente ai milanesi e alla città di Milano.

Nel 2011 il Guggenheim di New York gli consacra una retrospettiva Maurizio Cattelan: All. Non è semplice survey exhibition: la mostra è configurata come un’opera d’arte totale, gigantesca installazione costruita su centoquaranta opere appese al soffitto della Rotunda di F.L. Wright, che per l’occasione è stata privata della sua collezione permanente. Dopo quella mostra Cattelan mette in atto il ritiro dalle scene dell’arte, che ricorda tanto l’abbandono che fece Duchamp del 1923.

Con quel ritiro, Maurizio dal 2010 riesce a dedicarsi al progetto editoriale Toilet paper, in cui l’unione alla fotografia patinata di Pierpaolo Ferrari, fa esplodere il suo spirito corrosivo in una rivista oggetto di culto, tradotta poi in gadget destinati alla vendita estemporanea.

Accanto a questa attività si dedica a quella di curatore: se già nel 2002 aveva curato l’attività della rivoluzionaria galleria senza spazio chiamata The Wrong Gallery assieme a Massimiliano Gioni, prosegue lungo  la direzione  della curatela di progetti espositivi sempre all’insegna della provocazione. Ricordiamo ‘Shit and die’ (2014) a Palazzo Cavour di Torino e ‘The Artist is present’ (2018) realizzata allo Yuz Museum di Shanghai con il direttore creativo di Gucci Alessandro Michele.

Dopo il sensibile calo nel quinquennio 2010-2015 delle sue quotazioni, nel 2016 decide il rientro sulle scene, con una rentrée degna delle star più blasonate: espone al Guggenheim di New York un gabinetto in oro 18 carati intitolato ‘America’, che, assieme all’invito ai visitatori a depositare i propri bisogni naturali nella sontuosa tazza, segnerà code record di visitatori al museo. Sicuramente passerà alla storia anche perché fu offerta nel 2018 da Nancy Spector, chief curator del museo, in prestito alla Casa Bianca al neoeletto presidente Trump, che aveva chiesto al museo un’opera per arredare gli spazi presidenziali da lui recentemente occupati a Washington.

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