L’innovazione e la tecnologia al servizio della società. Sono i due perni attorno ai quali dovrebbe ruotare l’Italia per raggiungere il riscatto. Ne scrive Walter Ruffinoni, ceo di NTT DATA, nel suo nuovo libro “Italia 5.0. Un nuovo umanesimo per rilanciare il paese”, in cui il manager immagina un nuovo Rinascimento per l’Italia sulla scorta dalla sua esperienza in azienda. Abbiamo incontrato Ruffinoni, che ha descritto a Forbes.it il modello presentato nel volume.
Come nasce questo libro?
Dalla voglia di mettere nero su bianco una serie di riflessioni. Dalla mia esperienza degli ultimi 6 anni, in cui sono stato alla guida di NTT Italia. Un’azienda che 6 anni nel nostro Paese fa versava in cattive acque.
Insieme a un gruppo di persone ho fatto un sogno: buttare il cuore oltre l’ostacolo e immaginarci a fine 2018 come azienda molto diversa, tornando a essere un’azienda a cui guardare in Europa. Mi sono immaginato un’azienda che in 5 anni tornasse profittevole, che divenisse un modello di riferimento. Questo si è realizzato: oggi l’azienda è risanata, è tornata a crescere, abbiamo assunto più di 1.700 persone. Oggi siamo un’azienda che cresce a doppia cifra da 3 anni.
Come ci è riuscito? Crede che lo stesso processo potrebbe essere adottato anche dal nostro paese?
Ci siamo riusciti puntando sulla diversità e su nuovi modelli. Comprendendo che al sud si cresce, che con le università si deve collaborare, che occorre allinearsi con le skill richieste per il futuro, che è necessario vivere con resilienza, intercettando quali saranno i trend della nuova società. Sono modelli a cui guardare. E visto che l’abbiamo fatto noi perché non potrebbe farcela l’Italia? Viviamo nel pieno di una rivoluzione digitale, servono dei nuovi modelli per la società.
Nella pratica come si realizza un progetto di questo tipo?
Mi sono immaginato un giorno di luglio del 2050. Mi sono proiettato nel futuro fino a poter dire: questo è il paese che tutti noi abbiamo realizzato e ci piacerebbe poter realizzare.
Sono partito dal modello di società 5.0 nato in Giappone, perché sicuramente tra i modelli di società che si stanno affermando è quello a cui guardare. Non foss’altro per una serie di affinità, soprattutto demografiche, che ci accomunano.
Nel modello si rimette al centro l’individuo, si parla di società della creatività, si fa della sostenibilità una leva importante, si porta in dote una nuova cultura aziendale: quella del giusto profitto. Un modello che vede le aziende impegnate per consegnare un mondo sostenibile e inclusivo, che fa della felicità dei dipendenti una colonna portante e vede nella tecnologia un elemento portante per realizzarla.
Ho declinato il tutto sull’Italia e da lì è partito il sogno e di conseguenza il libro. Con la volontà di creare una narrazione positiva del Paese. Perché l’Italia ha ottime basi su cui costruire: è il primo paese al mondo per pubblicazioni scientifiche, è il secondo per produzione manifatturiera in Europa, il primo per patrimonio Unesco.
Come cambia in questo approccio il ruolo delle aziende e soprattutto quello degli amministratori delegati?
L’azienda deve vedere nel profitto non più obiettivo ma un mezzo per realizzare il suo sogno, ossia il modello di azienda che vuole diventare. L’a.d. oggi deve guardare a un complesso di stakeholder molto più allargato. Il profitto è uno dei parametri su cui giudicare l’azienda, serve poi contribuire alla comunità e alla sostenibilità. Donne, giovani e sud ad esempio sono diventate traiettorie nostre. Ci siamo dati un obiettivo su ciascuna di esse.
Cosa manca allora all’Italia per centrare il risultato di un rilancio?
Serve che politica guardi un po’ più lontano. Ma positivo perché ricrato il ministro dell’innovazione e piano sud per il 2030: un tentativo di guardare un poco più lontano. Dalle istituzioni serve un piano per una visione di Paese come quella che ha dato Abe al Paese. Bisogna fissare un obiettivo e poi andare in quella direzione.
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