Non che la crisi finanziaria del 2008 li avesse indeboliti più di tanto. E per la verità neppure quella precedente, del dot com crash a cavallo tra i il 2000 e il 2001. Ma quest’ultima, epocale recessione che sta scuotendo le economie del globo e ha già lasciato senza lavoro oltre 30 milioni di statunitensi nelle ultime sei settimane, sembra fatta su misura per il successo di compagnie come Microsoft, Apple o Amazon.
Le motivazioni sono molteplici, ma su tutte svettano l’iniezione di credito da parte della Federal Reserve nell’economia degli Stati Uniti, da un lato, e le mutate condizioni di vita di miliardi di persone in tutto il mondo. Il risultato è che da qui al 2021 potremmo ritrovarci con una Silicon Valley ancora più onnipotente di prima.
Ne parla, tra gli altri, il New York Times , che ha intervistato Thomas Philippon, professore di finanza della New York University: “Le aziende che sono state i migliori cani (espressione che indica le azioni con i migliori rendimenti, ndr) in crisi hanno anche i modelli di business più resistenti perché possono fare tutto online… e possono continuare a elaborare gli ordini”. Per l’autore di The Great Reversal, saggio che analizza gli effetti dei quasi-monopoli tecnologici sui salari e sull’innovazione, dovremo aspettarci che queste società usciranno dalla crisi in una posizione ancora più dominante. “Il tasso di mortalità dei piccoli esercizi sarà ancora più elevato” dell’ultima recessione, spiega Philippon.
In altre parole, Amazon potrebbe emergere più forti dalla pandemia perché i suoi competitor rischiano di sparire. La gente continuerà a fare la fila al supermercato, ma le grandi catene di vestiti, scarpe e alimentari potrebbero restare deserte per la paura di indossare vestiti già provati da altri, o toccare cibi sui quali si sono posati già centinaia di mani, o semplicemente per la fobia di non mantenere il distanziamento. Queste realtà, e ancora di più i piccoli negozi di quartiere, e specialmente quelli a conduzione familiare, più esposti finanziariamente, potrebbero non sopravvivere alla crisi sanitaria.
Per quanto riguarda la società di Jeff Bezos, gli ultimi report confermano il sentore comune: con la gente rimasta chiusa in casa per il coronavirus, i ricavi di Amazon sono schizzati alle stelle, più 26 per cento nell’ultimo trimestre, a 75,4 miliardi di dollari. Il fondatore più ricco di 13 miliardi di dollari soltanto nell’ultimo mese, con una fortuna salita a 145 miliardi di dollari grazie al rialzo delle azioni della società. I profitti però sono in calo del 29 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a 2,5 miliardi. La società ha affermato che i costi includono aumenti salariali, il calo dell’efficienza del magazzino a causa del distanziamento sociale, e 300 milioni di dollari investiti nei test per i suoi lavoratori.
Anche se gli utili trimestrali di Amazon, Apple e Microsoft sono dati in discesa, il loro valore di mercato non accenna affatto a diminuire, anzi. Dal 19 febbraio a oggi la capitalizzazione di queste tre società è aumentata in termini assoluti di un valore pari a quello di 250 società quotate sull’S&P500 messe insieme. Sono solo una cinquantina le società di questo indice che hanno visto le loro azioni finire in terreno positivo nelle ultime 10 settimane, e quasi tutte lo devono al fatto che saranno benedette dal futuro comportamento dei consumatori. Chi investe sta lanciando un messaggio chiaro: la crisi di Covid-19 favorirà le multinazionali californiane che più sono penetrate nelle nostre vite.
“Durante questa crisi Amazon si è dimostrata insostituibile nella consegna di prodotti di prima necessità alle persone in tutto il mondo. Noi crediamo che questo porterà nuovi clienti sulla piattaforma, allargherà la lista di prodotti che i clienti attuali acquistano e accelererà lo spostamento degli acquisti verso l’e-commerce aumentando anche il valore del brand Amazon”, ha scritto l’analista di Monness Crespi, Brian White. Quasi 50 esperti sentiti dal sito Refinitiv consigliano di comprare le azioni di Amazon. Solo due analisti si fermano a un giudizio “hold” e nessuno raccomanda di vendere.
È vero che la crisi provocherà un drammatico crollo dei redditi per milioni di persone e l’esplosione dei debiti pubblici di tutti i Paesi avanzati; allo stesso tempo, quasi per caso, le peculiari caratteristiche della pandemia mettono in risalto i punti di forza dei maggiori attori dell’egemonia statunitense: combinando il retail online e i servizi di cloud computing per le aziende, Amazon casca a pennello nella nuova “economia dello stare a casa”. I dispositivi di Apple sono parte cruciale della connettività mobile; le vendite di smartphones probabilmente caleranno, ma aumenteranno forse quelle di tablet, soprattutto grazie agli alunni costretti a studiare da remoto. I pacchetti di software per aziende di Microsoft, i servizi di cloud come Azure e il ramo videogames potrebbero tutti beneficiare dalla perdurante stazionarietà delle nostre vite.
I colossi hi-tech stanno assumendo, insomma, l’aspetto di vere e proprie infrastrutture private, grazie alle quali la gente in quarantena può facilitare il proprio “vivere online”. Ma non dobbiamo dimenticare coloro che per rendere questa vita possibile, o quasi, online non ci possono stare affatto. Mentre i disinfettanti per le mani, alcuni generi alimentari, sedie da ufficio, webcam, microfoni e attrezzi per il fitness vanno a ruba sul suo portale – anche a prezzi astronomici, grazie agli algoritmi – Amazon sembra in difficoltà quando si tratta di aumentare la capacità dei suoi magazzini e minimizzare i rischi per la salute per dipendenti. Alcuni critici, tra cui il procuratore generale di New York, Letitia James, hanno accusato la società di Seattle di adottare misure inadeguate per proteggere i suoi lavoratori. A maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilità, o almeno così dovrebbe essere.
C’è da dire che il maxi-piano di aiuti economici approvato dal Congresso il mese scorso include oltre 500 miliardi di dollari in sussidi per le piccole imprese, affinché possano evitare i licenziamenti e stare a galla il più possibile. Ma l’infusione di denaro da parte della Fed nell’economia, la decisione da parte dell’amministrazione Trump di non toccare le rendite finanziarie e le tasse agli ultraricchi potrebbe avere l’effetto paradossale di rafforzare il dominio dei colossi della Silicon Valley, che pure in teoria hanno una certa animosità nei confronti del presidente populista.
Oltre a trarre vantaggio dalle loro dimensioni gigantesche, Amazon, Apple e Microsoft sono tutte sedute su una montagna di denaro che le renderanno in gran parte immuni delle fughe di capitali sperimentate da altre società. Tra le società più grandi e quelle piccole la differenza nelle aspettative degli investitori è evidente a Wall Street: se l’indice Russell 2000, che rappresenta le piccole aziende quotate, è calato del 22 per cento dall’inizio dell’anno, lo S&P 500 – del quale Amazon, Apple, Microsoft, Alphabet e Facebook rappresentano insieme circa un quinto del valore – è calato di meno della metà.
La sola Amazon da metà febbraio ha guadagnato 90 miliardi di dollari di capitalizzazione, toccando vette mai sfiorate prima. Il Nasdaq 100, l’indice che racchiude le più grandi società tecnologiche del Pianeta, ha ceduto nell’ultimo mese appena lo 0,6 per cento. Questa disparità in borsa tra le aziende più centrali nelle nostre vite e tutte le altre è un’anticipazione di come la crisi globale toccherà il mondo del commercio e il futuro della digitalizzazione.
Se la concentrazione dei mercati sulle società più grandi toccherà probabilmente il suo apice nelle prossime settimane, è un fenomeno tutt’altro che recente. Nel 1975 – si legge in uno studio della Università dell’Arizona – le 100 più grandi società quotate portarono a casa il 49 per cento di tutti i guadagni in borsa; nel 2015 la fetta di torta ha toccato l’84 per cento. I manager dei fondi di investimento del resto sanno che le società più piccole si portano dietro più debito e sono più vulnerabili a eventuali colpi bassi dal mercato obbligazionario, e dal 2008 la concentrazione e il consolidamento di alcuni settori si sono intensificati.
Secondo Jeb Breece , manager del fondo comune d’investimenti Spears Abacus, i giganti hi-tech come Microsoft non saranno del tutto immuni alla crisi economica, ma la loro stabilità finanziaria gli consentirà di evitare licenziamenti e continuare a investire in ricerca e sviluppo. È quello che successe nel 2008 o nel 2008, ha spiegato Breece: chi allora puntò tutto sull’innovazione per prepararsi ad aggredire il mercato malmesso dalla crisi, ricomparve all’uscita del tunnel ancora più irrobustito. Potrebbe succedere anche adesso, in una scala addirittura superiore.
Gli investitori oggi puntano su questi colossi perché il loro destino non è mai sembrato così baciato dalla fortuna, e loro megacapitalizzazioni sono la garanzia che potranno superare la bufera; diventando ancora più grandi, e occupando una quota ancora maggiore di mercato durante e dopo l’implosione di interi ecosistemi economici: Get big faster, del resto, è da sempre il motto di Bezos.
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