Articolo apparso sul numero di luglio 2020 di Forbes. Abbonati
Il 2019 è stato l’anno delle grandi manifestazioni sul cambiamento climatico, ma anche il momento in cui un oggetto ha cominciato a far parte in maniera regolare delle nostre abitudini: la borraccia di alluminio. Sulla scia del successo di Greta Thunberg, è diventata il simbolo di una generazione che vuole avere un impatto positivo sul mondo, limitando l’utilizzo di bottiglie di plastica. Una generazione di cui fa parte Fabio Mancini, che ha contribuito a realizzare la sua borraccia. Si chiama Rebo e si distingue da tutti gli oggetti simili in un mercato oramai affollato per essere la prima bottiglia di acciaio intelligente che pulisce il pianeta quando viene utilizzata. La startup è stata fondata da Fabio Mancini insieme a un gruppo di co-founder composto da Pierandrea Quarta, che ricopre il ruolo di ceo, Eduardo Atamoros e Francesco Abbate. Rebo ha tecnologia incorporata nel tappo che consente di tenere traccia di tutta l’acqua bevuta dagli utenti e, connettendosi a un’app su smartphone, rilascia crediti per pagare il costo della raccolta di rifiuti di plastica. I crediti vengono certificati dal partner GoldStandard utilizzando la blockchain, e permettono di emettere dei certificati verdi che sono venduti a vari sponsor.
I fondi generati vengono usati per finanziare la raccolta di plastica in Paesi in via di sviluppo in comunità in difficoltà dove opera il partner Plastic Bank. “Mi sono occupato di ricerca e ho analizzato i consumatori per creare un prodotto che possa essere amato e adottato dagli utenti, risolvendo tutti i problemi e le mancanze di funzionalità nelle bottiglie, o borracce, che già esistono. Ho contribuito alla creazione e al testing del concept e della comunicazione”, racconta Mancini. “In seguito mi sono dedicato al growth hacking, ovvero a tutte le iniziative per far crescere la startup”. Ad esempio? La gestione della campagna di crowdfunding su Indiegogo e l’ingaggio di potenziali partner sia in Europa che in Silicon Valley. Classe 1992, Fabio Mancini si è diplomato al liceo classico della Scuola navale militare Morosini di Venezia e successivamente ha ottenuto una laurea triennale in economia e finanza all’Università Bocconi. La passione per l’imprenditoria sociale è sbocciata durante la laurea magistrale in international management, sempre alla Bocconi, e in particolare grazie all’attività di studio all’estero con il programma Cems, che gli ha permesso di vivere in Brasile per un periodo: “Lì ho avuto modo, attraverso i corsi universitari, di avvicinarmi al tema della social entrepreneurship, osservando sia i problemi ambientali che la loro influenza sulla vita di piccole e grandi comunità di tutte le estrazioni sociali”.
Le recenti mobilitazioni in tutto il mondo hanno reso le persone più consapevoli dell’impatto dei propri consumi sulla natura, e hanno spinto anche i governi e i gli enti regolatori a intervenire per incoraggiare l’adozione di alternative alla plastica: l’Unione europea, per esempio, ha vietato l’uso e la vendita di alcuni prodotti in plastica monouso a partire dal 2021. Neppure il settore privato si è sottratto alla missione, abbracciando i Sustainable development goals dell’Onu e implementando esempi di economia circolare, come l’impiego di packaging a lunga durata e riutilizzabile o l’eliminazione totale del packaging. “Nonostante tutte le iniziative, il consumo di plastica a livello mondiale continua ad aumentare e la percentuale di plastica riciclata continua ad essere troppo bassa. Una grande parte di questa plastica finisce nei mari, e si stima che entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci negli oceani”, conclude Mancini. “Con Rebo stiamo facendo qualcosa, dando la tecnologia nelle mani delle persone per permettere di avere un impatto più forte, diretto e tangibile con le loro azioni sostenibili, ma ci vorrà impegno e coesione di tanti attori ed un cambio delle nostre abitudini per avere risultati concreti”.
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