Adesso c’è anche il Colosseo. Dopo la McLaren di Ayrton e la Fiat 500 da storia del design, dopo set ‘instant cult’ per qualsiasi fan di Guerre stellari (e ce n’è per tutti i gusti, dalla Razor Crest del mandaloriano alla “Cantina” di Mos Eisley), dopo partnership con Nike, Adidas, Levi’s e Ikea e dopo l’incursione nel mondo Nintendo – apice della convergenza fra gioco e giocattolo capace di dire tanto dei giorni nostri -, oggi, appunto, c’è anche l’edificio simbolo della Capitale.
Lego è un mondo e il mondo sembra fatto apposta per essere riprodotto in Lego. Campioni di incasso del Natale appena trascorso, i mattoncini più famosi del Pianeta sono la cristallizzazione di un sogno che diventa realtà, pezzo dopo pezzo, e offrono un’occasione ghiotta per parlare con chi, in Italia, ne orienta e coordina le strategie. Paolo Lazzarin, gallaratese del 1963, è il managing director di Lego Italia dal 2008, ma all’azienda di Billund è approdato quasi dieci anni prima, nel 1999, arrivando da Mattel, di cui dirigeva i reparti vendita. È un veterano, la cui esperienza sembra però un invito costante al nuovo.
Lazzarin, che cosa l’ha convinta a intraprendere il percorso che l’ha portata alla guida di questa azienda?
Rispondo con una battuta: dopo 21 anni, quando dico che lavoro in Lego, vedo ancora un sorriso enorme comparire sul volto delle persone. Ci sono entrato nel 1999, quando a Milano si fissava la sede di Italia, Spagna, Francia e Portogallo. Per me è stata un’opportunità di crescita, perché potevo mettere in pratica gli insegnamenti che avevo accumulato in un’altra multinazionale del giocattolo. Oggi, dopo più di due decenni, posso dire che il team Lego è incredibile, è un gruppo con cui condivido valori, visione e missione. Ho avuto grandi opportunità di crescita professionale e molta soddisfazione nei risultati. Per questo, quando vedo quel sorriso, ho la conferma di quanto sia facile stare qui.
Eppure Lego ha passato anche periodi complicati. Qual è il segreto, per usare una parola alla moda, di tanta ‘resilienza’?
Credo sia la nostra capacità di proporre, ogni anno, un’alta componente di innovazione, pur rimanendo fedeli alle origini e alla nostra identità. Non ci sono limiti alla creatività e credo che una delle peculiarità di Lego sia la ricerca continua di nuovi modi di gioco. Non solo né tanto nuovi materiali, ma approcci innovativi all’attività ludica. Il nostro obbiettivo è ispirare quelli che saranno i costruttori di domani, cioè i bambini. Ciò premesso, ritengo che la caratteristica fondamentale di Lego sia la qualità, che mantiene alta la fiducia nel nostro brand. Non è un caso, e lo dico con orgoglio, che Lego, a livello mondiale e in Italia, abbia vinto il primo premio nel ranking della reputation. Lego è considerata la migliore azienda in assoluto e il suo prodotto continua a essere percepito come il miglior giocattolo per la crescita dei bambini. Il che fa da eco al nostro motto: ‘Only the best is good enough’.
Oggi i videogiochi e la loro pratica professionistica occupano tanto tempo ai vostri clienti, non solo quelli potenziali. Visto che per Lego il core business è l’esperienza fisica, come riuscite a far convivere le due tendenze?
In parte ho già risposto parlando di innovazione, un concetto che impone non solo di non aver paura delle tendenze emergenti, ma di cavalcarle. Il nostro obiettivo è cercare modi nuovi per far giocare i bambini: sappiamo bene che i videogiochi e le esperienze digitali sono fra le primissime passioni dei più piccoli, come sappiamo quanto i bimbi adorino costruire. Sono attività che i più giovani vivono con estrema naturalezza, senza percepirle come separate. Per un bimbo tutto è gioco. Per questo abbiamo lavorato molto per far convergere il mondo fisico e quello digitale in un’esperienza unica. La chiamiamo ‘gioco fluido’ e abbiamo una linea che la esprime perfettamente: ‘Lego Hidden Side’. Lanciata l’anno scorso, implica si inizi con la costruzione di un mondo fisico il quale, tramite la app dedicata, diventa l’ingresso in un universo aumentato. Questi, a sua volta, stimola a modificare la costruzione in mattoncini e innesca un passaggio continuo da un mondo all’altro.
Con Lego Super Mario vi siete spinti oltre…
In questo caso abbiamo seguito il processo opposto rendendo reale, dopo 35 anni, Mario. Il concetto è semplice: i nostri mattoncini si abbinano alla lettura digitale del gioco Nintendo valorizzando una capacità che i due marchi hanno sempre avuto in comune, cioè quella di trasportare i giocatori in un mondo di fantasia. I set incorporano un lettore che consente a Mario di interagire con l’ambiente. Allo stesso tempo l’esperienza fisica rimane, perché è il giocatore a costruire, letteralmente, i livelli da superare, per sé o per uno sfidante. Tutto è poi impreziosito dal condividere una passione fra figli e genitori, generazioni diverse che hanno ugualmente amato Mario.
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Oltre a Nintendo, ci sono Ikea, Nike, Adidas, Nasa: quali sono i criteri con cui scegliete i vostri partner?
Le partnership sono nel dna di Lego, come dimostra quella, ultra ventennale, che abbiamo con Lucasfilm per Lego Star Wars, un bestseller in tanti ambiti diversi. Il loro scopo è far vivere il mattoncino in maniera diversa, creare stimoli nuovi ai nostri fan, ma anche rivolgerci ad audience più estese. A persone che magari, sì, conoscevano Lego, ma adesso possono vederlo declinato in mondi a loro più affini. ‘Bygglek’, l’idea nata con Ikea, è un esempio perfetto: è una scatola decorabile, in modo che la creatività dei bambini diventi un abbellimento domestico. Per Adidas abbiamo studiato un loro modello storico applicando inserti composti da mattoncini veri. La Nasa ispira Lego da sempre e non è un caso i nostri primi set spaziali risalgano al 1978. Arrivare a dedicare scatole all’Apollo 11 o alla Stazione spaziale internazionale è stato un po’ coronare un percorso. L’ente spaziale americano peraltro ospita i nostri designer nelle proprie facilities, motivo per cui i set sono molto fedeli alla realtà.
Lo evocavamo prima: fra il 2003 e il 2004 Lego accumulò un passivo di 344 milioni di dollari e un calo delle vendite di oltre il 30%. Dopo aver licenziato mille dipendenti la famiglia Kristiansen, storica titolare del marchio, decise di ripianare i debiti attingendo al proprio patrimonio personale. A dirigere l’azienda venne chiamato Jørgen Vig Knudstorp, ex McKinsey. Da lì una rinascita clamorosa, con risultati mai raggiunti prima. Qual è stato il segreto della resurrezione?
Come in ogni caso simile, non esiste una ragione unica, formule magiche a parte. E se mi si concede la battuta, la nostra formula magica era già stata trovata anni prima, con l’invenzione del mattoncino. A onor del vero, siamo ripartiti da lì, dal mattoncino, migliorando però il portfolio: abbiamo iniziato a sviluppare temi, a creare proprietà intellettuali interne – penso a ‘Ninjago’ – e ci siamo aperti al licensing. Abbiamo adottato un approccio nuovo alla comunicazione sia in termini di investimenti, aumentati in maniera considerevole, sia per il posizionamento: abbiamo cominciato a promuoverci con pubblicità ‘cool’, scelta suggerita anche dall’espansione sul territorio statunitense, abituato a questo registro. A quel punto abbiamo aperto Lego alle nuove opportunità tecnologiche, investito nei parchi e in partnership capaci di dare un valore aggiunto significativo. L’effetto è stato clamoroso: in vent’anni abbiamo raddoppiato il turnover a livello globale.
Parliamo di cifre: nel primo semestre 2020 il gruppo ha dichiarato un fatturato di 2,11 miliardi di euro.
Preferisco sottolineare come nel primo semestre del 2020 abbiamo registrato una crescita delle vendite al consumatore finale del 14% e del fatturato del 7% rispetto al 2019. Tutto, è doveroso ribadirlo, in un anno in cui il mondo si è fermato. Lo considero un risultato incredibile, sia per l’assortimento che abbiamo messo a disposizione, sia per le soluzioni con cui abbiamo affrontato la crisi globale, con switch di investimenti e attività in grado di rendere i nostri prodotti sempre disponibili. Ci siamo resi conto di quanto il gioco, in un momento drammatico, acquisisse un’importanza anche maggiore del solito. Lego ha intrattenuto, ha creato un’occasione di condivisione, in alcuni casi è diventato l’intrattenimento famigliare per eccellenza. Si tenga presente che appena iniziato il lockdown, la serrata dei negozi fisici ci aveva fatto registrare perdite dell’80/90%. Per questo il risultato semestrale sorprende. Positivamente, ovvio.
Insiste molto sul pubblico più giovane, eppure Lego sviluppa con intensità crescente linee per adulti. Come coccolate il pubblico più maturo?
Abbiamo sempre vantato appassionati di età adulta, ma di recente ci siamo resi conto di quali potenzialità potesse avere una produzione ad hoc: abbiamo lavorato molto sull’immagine, sulla tipologia di set, sulle passioni condivise per passare dal “Ah, sono adulto e mi compro ancora i Lego” al “sono adulto e compro Lego perché sposa i miei gusti, perché mi rilassa o mi fornisce una passione in più da condividere con i miei figli”. Penso ai set dedicati a Lamborghini o all’Empire State Building. Il risultato è che oggi esiste l’acronimo Afol, Adult Fan of Lego, per definire una buona parte dei nostri appassionati. Oggi Lego si presta a tanti scopi diversi, anche fra gli adulti.
Vale a dire?
C’è la linea Lego Serious Play, che permette di migliorare capacità di problem solving anche in contesti aziendali, oppure Lego Braille Briks, in Italia dal 2021, che consente ai non vedenti di scrivere e interagire con i mattoncini. Poi, a parte la linea di caschi da collezione dedicata ai cattivi di “Guerre stellari”, c’è Lego Art, una delle mie preferite, che riproduce capolavori pop e omaggia i miti della musica. In questo caso Lego è anche elemento di arredo.
Che cosa è Rebuild the World?
È un nuovo modo di giocare, una sorta di libro senza soluzioni, un metodo per sviluppare una mentalità creativa. Rebuild the World è un progetto per celebrare la fantasia dei più piccoli. Siamo da sempre convinti, con il conforto della scienza, che i bambini abbiano capacità di problem solving potenti, un talento che però va nutrito per renderlo permanente. In questo 2020 ci è sembrato ancora più importante riproporre il progetto, che in maniera esplicita è un tributo anche alla resilienza dei bimbi. In più abbiamo aggiunto un’esperienza fisica: un globo di 4 metri, alla Lego House di Billund, realizzato con 350mila mattoncini e 2700 ore di lavoro. Le creazioni su questo globo sono state realizzate da bambini di ogni parte del mondo nel periodo di lockdown. Abbiamo soltanto suggerito gli ambiti: natura, veicoli, le creature fantastiche, oggetti e luoghi. Il globo, un mappamondo, rappresenta la reinterpretazione del pianeta attraverso gli occhi dei più piccoli.
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A proposito del Pianeta: qualche anno fa siete stati contestati da Greenpeace per la vostra collaborazione con Shell e l’utilizzo massiccio della plastica. Oggi come siete messi?
Sono in Lego da 21 anni e posso testimoniare la serietà con cui il gruppo punta alla riduzione del suo impatto ambientale. Fa parte della nostra visione: lasciare un mondo migliore alle nuove generazioni.
Suona un po’ retorico…
Allora cito tre tappe fondamentali: nel 2014 abbiamo investito 140 milioni di euro nella ricerca e nello sviluppo dei primi passi verso materie prime sostenibili. Nel 2017 abbiamo fatto un altro investimento importante in uno dei parchi eolici più grandi al mondo, nel Mare del Nord, con l’obiettivo di sostentarci con la sola energia rinnovabile. In più stiamo inserendo nei nostri cicli produttivi una plastica di origine vegetale, derivata dalla canna da zucchero. Nel 2020 l’impegno è cresciuto ancora e qui mi sembra bellissimo sottolineare come tutto sia stato suggerito, ancora, dai bambini: stiamo sostituendo le confezioni in plastica dei nostri set con sacchetti di carta riciclata. Tutti gli imballaggi saranno sostenibili entro il 2025. Lo scopo è che ogni nostro prodotto sia ecosostenibile, senza rifiuti, senza emissioni e con mattoncini riutilizzati. Poco tempo fa abbiamo comunicato che investiremo 400 milioni di dollari per accelerare il processo. L’obiettivo dichiarato è, per il centenario nel 2032, arrivare a un completo utilizzo di materiali sostenibili sia per quanto riguarda gli imballaggi sia per le materie prime.
Sembra un fan più che il managing director, lo sa?
Ho fatto produrre biglietti da visita con i mattoncini. Quando li mostro, la gente impazzisce! Sono un giocatore Lego e ne vado orgoglioso.
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