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Food & Beverage

La storia di Berberè, il brand della pizza calabrese che ha conquistato anche Londra

In un mondo della pizza che spesso viene diviso tra stile romano e ispirazione napoletana oppure tra sperimentatori e tradizionalisti, due fratelli di origine calabrese hanno trovato una “terza via”. Hanno creato nel giro di 14 anni un piccolo impero dell’arte bianca capace di conquistare oltre venti sedi in Italia (Bologna, Roma, Firenze, Milano, Torino, Verona, Modena) e all’estero, con due negozi a Londra.

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Com’è nato Berberè

Il brand è Berberè.  A crearlo sono stati i due fratelli Matteo e Salvatore Aloe, che hanno lasciato il paesino di Maida nell’entroterra catanzarese per sbarcare a Bologna. Qui hanno aperto nel 2010 la prima pizzeria, tassello iniziale di un’avventura ristorativa destinata a diventare in breve una brillante case history imprenditoriale con 21 punti vendite.

Nei giorni in cui proprio a Bologna sta per aprire “Casa Madre” (in via Augusto Murri, nel fondo che ospitava il progetto “Fourghetti” con la consulenza di chef Bruno Barbieri), che diventerà il centro nevralgico del brand di pizze artigianali, ripercorriamo la storia dei fratelli Aloe e dell’intuizione che li ha resi un unicum: la scelta di servire le pizze già tagliate in 8 fette, in nome della condivisione.

“Casa Madre”, racconta Matteo Aloe, “è la nostra risposta positiva e proattiva a chi crede che sviluppare un brand nel mondo del food significhi annullare l’artigianalità del lavoro. È il manifesto dell’industria più rappresentativa del Paese, quella della ristorazione, che vuole lasciare un messaggio lungimirante di immaginazione del futuro e investimento per realizzarlo. Ma è anche un impegno concreto nel fornire strumenti per reagire alla carenza di personale nel settore”.

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Il segreto della pizza “a degustazione”

Trasferitisi a Bologna per studiare economia, i due inaugurarono la prima pizzeria col nome Berberè a Castel Maggiore, nell’hinterland della città delle due torri, affittando un fondo con i soldi prestati dai parenti. All’epoca Salvatore ha 31 anni, Matteo appena 24 anni. Le recensioni sono entusiaste, perché la loro pizza è qualcosa di diverso sia dallo stile tradizionale sia dalle velleità gourmet che proprio in quegli anni iniziavano a far breccia nel settore.

Il segreto non stava solo in un prodotto artigianale, leggero e di qualità, ma soprattutto da condividere grazie alla formula “a degustazione” in virtù della quale le pizze erano servite già tagliate in otto spicchi, ciascuno costruito per avere tutti gli ingredienti che comprendono il topping. Un format semplice, in fondo, ma vincente. Dopo tre anni i fratelli Alone aprono il secondo locale a Bologna e da lì è un crescendo: Firenze, Torino e Milano, dopo l’esperienza all’interno di Expo 2015. Alla fine del 2016 è la volta del primo locale londinese, Radio Alice, grazie alla collaborazione con Emma King, co-fondatrice di Gail’s Artisanal Bakery e oggi partner del nuovo locale nel quartiere più cool di Londra, Shoreditch.

No al franchising in Italia

Si sarebbe potuto pensare che Berberè fosse pronta per entrare nel campo del franchising, ma Matteo e Salvatore Aloe (milanista il primo, interista il secondo) hanno sempre rifuggito quella soluzione, e continuano a farlo ancora oggi: “Ci abbiamo messo tre anni per standardizzare la ricetta delle nostre pizze, e non intendiamo cederla all’esterno: seguire uno standard non significa replicare con lo stampino, piuttosto vuol dire minimizzare i rischi. Berberè non è e non sarà mai un franchising, anche perché la gestione di tutti i locali è diretta. Siamo cresciuti in maniera organica e abbiamo fatto crescere le persone del nostro team”.

Allo stesso tempo, però, Matteo ammette che in caso di future aperture negli Stati Uniti o in Asia potrebbe avere senso affidarsi a un franchising. Ma in Italia non se ne parla. Anche perché ora apre la centrale operativa a Bologna: “La sede ha una pizzeria al piano terra che viene usata sia per il servizio che per la formazione pratica del nostro personale”, conferma conferma Matteo Aloe, oggi imprenditore ma con un breve passaggio anche nelle cucine stellate del Noma a Copenaghen. “Mentre al primo piano abbiamo spazi per la formazione teorica, oltre ai nostri uffici. Ma c’è anche una foresteria da 8 posti letto per trainer e futuri pizzaioli. È un luogo polifunzionale, frutto di un investimento complessivo da 1,5 milioni di euro”.

Dal 2010 a oggi il gruppo è passato da 11 a 348 dipendenti (nonché da 4 a 47 nazionalità, in linea con il nome Berberè che rimanda a un mix di spezie). Il fatturato nel 2024 si avvicina ai 25 milioni di euro. Future aperture? La terza a Londra, in autunno, e un sesto punto vendita a Milano.

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