Dai racconti del Vasari, pare che Michelangelo bruciò gran parte dei suoi disegni prima di morire “per non apparire se non perfetto”. Chissà come si innervosirebbe se sapesse che oggi, al Met di New York, va in scena la più grande retrospettiva mai realizzata sui suoi bozzetti, schizzi e creazioni a matita: Michelangelo: Divine Draftsman and Designer.
Inaugurata il 13 novembre e visibile fino al 12 febbraio 2018, è stata definita da Dan Weiss, presidente del Met, “once-in-a-lifetime exhibition”, una mostra che capita solo una volta nella vita. E in effetti, il corpus di opere in esposizione ha dell’eccezionale: 200 lavori di cui 133 disegni, tre sculture in marmo, il primo dipinto e il cartone della Crocifissione di San Pietro. Il tutto accompagnato dalle opere dei suoi maestri, studenti, collaboratori e artisti ispirati dal suo lavoro. Per la prima volta nella storia, si trovano tutti riuniti sotto lo stesso tetto.
L’obiettivo è quello di tracciare un filo rosso attraverso l’opera del “divino”: il disegno. Era da qui, infatti, che nasceva tutto. Nascevano le sculture, i dipinti, gli affreschi e le architetture. Qui Michelangelo dava sfogo alla creatività più primitiva, quella che sgorgava direttamente dal suo animo visionario. Con i disegni metteva alla prova la potenza espressiva delle sue opere, ne calibrava gli effetti. Tra i meriti della mostra, quello di cancellare i 500 anni che ci dividono dalla sua morte: sembra quasi di vederlo, chino sui fogli, a replicare la forma di un occhio fino a raggiungere il risultato più vicino alla perfezione. Più che di divinità, le opere esposte sono intrise di umanità. E di aspirazioni, di passione. E di errori, anche. Raccontano l’uomo al di là del mito, con le sue fragilità e le sue paure, e lo fanno con commovente sincerità.
E allora, sarà facile riconoscere un Michelangelo adolescente in cerca di riconoscimento nel primissimo quadro realizzato, Il Tormento di Sant’Antonio (1487-88), oppure nel giovinetto nudo e incompiuto della scultura il Giovane Arciere (1490). Sembrerà di assistere alla sua crescita artistica e sociale, dal praticantato dal Ghirlandaio fino ai palazzi dei de’ Medici, e sembrerà di vederlo intrecciare l’amicizia con l’artista veneziano Sebastiano del Piombo, per poi terminarla molti anni più tardi per un diverbio sulla tecnica pittorica adottata per il Giudizio Universale. Un’intera sala del museo è dedicata proprio agli affreschi della Cappella Sistina, con i primi studi di Michelangelo sul progetto. Il cartone dell’ultimo affresco in Vaticano, la Crocifissione di San Pietro, riassume invece l’età della vecchiaia trascorsa lontano dalla sua amata Firenze, a Roma. Terminato il percorso espositivo, ad affiorare sarà soltanto un ritratto: quello del Michelangelo stesso. Uomo e al contempo “divin disegnatore”.
Le opere provengono da 50 collezioni statunitensi ed europee. Tanti, ovviamente, i prestiti dall’Italia: dagli Uffizi, dal Museo del Bargello (che ha portato le due sculture “non finite” Adamo/David e il Bruto), da Casa Buonarroti a Firenze, dal museo di Capodimonte di Napoli, dalla Biblioteca Vaticana e dalla Fabbrica di San Pietro di Vaticano. A curare la mostra è Carmen Bambach – “è stato un sogno che diventava realtà”, ha commentato – già famosa per aver lavorato a un’altra grande retrospettiva, quella dedicata ai disegni di Leonardo Da Vinci, allestita al Met nel 2003.
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Michelangelo: Divine Draftsman and Designer. Metropolitan Museum of Art, New York. Fino al 12 febbraio 2018
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