Le sue immagini sono frammenti di una felicità semplice e leggera: un bambino che corre con la baguette sotto il braccio, il bacio segreto di due amanti, le gambe di una donna che si muovono veloci sulla strada. Willy Ronis amava camminare per le vie di Parigi – ma anche di tante altre città del mondo, dove si recò per realizzare celebri reportage – lasciandosi assorbire dalla vita che gli scorreva attorno. Nato nel 1910 ai piedi di Montmartre, arrivò alla fotografia quando il padre, gravemente malato, gli chiese di occuparsi del suo studio fotografico. Lui che voleva diventare un compositore, imparò a creare armonie di corpi e movimenti con la macchina fotografica. La sua capacità di raccontare le persone nella loro quotidianità lo rese uno dei protagonisti della corrente umanista francese insieme a Brassaï, Jacques-Henri Lartigue, Henri Cartier-Bresson e Robert Doisneau.
A celebrarlo come merita è ora una mostra alla Casa dei Tre Oci di Venezia: Willy Ronis. Fotografie 1934 – 1998 (fino al 6 gennaio 2019), la più completa retrospettiva mai realizzata in Italia sul suo lavoro. Curata da Matthieu Rivallin, raccoglie 120 immagini d’epoca tra cui una decina di opere inedite realizzate a Venezia. Della città lagunare, Ronis seppe comporre un ritratto rarefatto e poetico: una bambina che passeggia solitaria sul molo, due donne che parlano tranquille mentre alcuni uomini trasportano una gondola, l’incedere pigro e indolente della vita attorno ai canali. Le sue immagini assorbono e restituiscono senza filtri il volto della città. Del resto, più che catturare la vita con la macchina fotografica, Ronis voleva prima di tutto farla sua, diventandone parte integrante fino a scomparire. “Le mie sono fotografie che potrebbero fare tutti. Io sono un uomo qualunque che va in giro e fissa il riflesso dello spettacolo della strada”, diceva. Non a caso fu definito “reporter della quotidianità”: dietro ai gesti più semplici delle persone, amava pensare che si nascondesse il significato universale dell’essere umano.
Merito della mostra è quello di rivelarne non solo la biografia, ma anche le passioni e lo sguardo sul mondo: accanto alle immagini di Parigi e di Venezia, sono esposti alcuni dei più celebri scatti di nudo – come Nu provençal, dove la moglie Marie-Anne è ritratta di schiena mentre si rinfresca con l’acqua di un catino – oltre ai reportage realizzati durante i movimenti operai del 1934 e gli scioperi alla Citröen nel 1938. Il brulichio dei café parigini lo incuriosiva tanto quanto le sommosse nelle fabbriche, e ad affascinarlo erano le classi sociali più povere: da fervente comunista, non smise mai di tratteggiarne i volti e le storie. Le sue convinzioni politiche lo fecero avvicinare a Robert Capa, celebre per i suoi servizi fotografici sul fronte, spingendolo a dedicarsi ai reportage. Tornato a Parigi dopo la guerra, fu accettato dall’agenzia Rapho e iniziò a collaborare con diverse testate periodiche, tra cui Life, Time e Vogue. All’inizio degli anni 50′ poi, arrivò il grande riconoscimento internazionale: le sue fotografie vennero scelte dal MoMA di New York insieme a quelle di Cartier-Bresson, Brassaï, Doisneau e Izis per la mostra Five French Photographers. Da allora, si sono susseguiti premi e riconoscimenti in tutto il mondo, tutti a celebrare quel compositore di volti così sensibile e discreto. E di volti, nella sua lunga vita, ne ha visti tantissimi: morì nel 2009, poco dopo il suo 99esimo compleanno.
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