Donald Trump
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Il prezzo della presidenza, quanto la Casa Bianca ha intaccato il patrimonio di Trump

Il presidente americano Donald Trump. (Win McNamee/Getty Images)

Articolo tratto dal numero di dicembre 2018 di Forbes Italia.
Di Dan Alexander e Chase Peterson-Withorn per Forbes Magazine.

L’inaugurazione della Trump Tower nel 1983 segnò un momento chiave nel segmento del commercio al dettaglio americano. “Ottenemmo gli affitti più alti di sempre”, dice l’ex dirigente della Trump Organization, Barbara Res. I tempi però sono cambiati e quasi tutti gli inquilini se ne sono andati. La situazione è peggiorata da quando The Donald è entrato in politica. La Nike ha lasciato il suo flagship store all’inizio di quest’anno, e anche il business degli accessori di Ivanka Trump è andato male. Il reddito operativo netto è sceso del 27% tra il 2014, l’anno prima che Trump annunciasse la sua corsa per la presidenza, e il 2017, quello del suo ingresso alla Casa Bianca.

In molti pensavano che avrebbe ceduto i suoi asset prima di assumere l’incarico. Rifiutandosi di farlo, ha sollevato una domanda: in che modo la presidenza più contraddittoria della storia americana avrebbe impattato su un’azienda costruita a immagine del suo presidente? Forbes ha lavorato a lungo per rispondere a questo interrogativo, intervistando 200 colleghi, partner e osservatori del settore. I primi risultati iniziano ad arrivare: a dispetto dei tentativi, Trump non sta diventando più ricco, anzi. Il suo patrimonio netto è sceso da 4,5 miliardi di dollari nel 2015 a 3,1 negli ultimi due anni, facendolo crollare di 138 posizioni nel ranking Forbes 400.

Buona parte del declino è dovuto, per esempio, ad alcune indagini più approfondite, secondo cui il presidente avrebbe mentito circa le dimensioni del suo attico. Inoltre, The Donald possiede enormi spazi commerciali in un momento in cui l’e-commerce sta decimando i negozi al dettaglio. Ma il terzo fattore rilevante deriva dal modo in cui il Trump presidente ha influenzato il suo stesso brand. Dalla sua ascesa, ha cercato di sfruttare le insegne presidenziali per i suoi progetti commerciali, dalle visite ai campi da golf ai convegni a Mar-a-Lago, fino al lancio di un business alberghiero. In ogni caso, un mix fallimentare.

I campi da golf del Trump National Doral a Miami.

A maggio 2016, una dozzina di esperti di golf si è stabilita al Trump National Doral, il resort di Miami del presidente, per alcuni seminari. A quel tempo, Trump stava attraversando le primarie repubblicane attaccando messicani, musulmani e persino il Papa. Dopo aver vinto le elezioni, secondo rumors, Doral avrebbe perso 100mila prenotazioni. E se i ricavi per il mercato alberghiero del lusso di Miami sono saliti del 4% nel 2017, secondo l’analisi dei dati della società Str, quelli di Doral sono scesi del 16%. Uno scenario simile si è prospettato per gli immobili di lusso gestiti da Trump, che è proprietario di circa 500 condomini, cooperative e ville. I prezzi nella Trump Tower sono diminuiti ogni anno dal 2015, quando ha dichiarato di candidarsi. Lo stesso accade e Trump Parc East, dove le quotazioni sono calate del 23%, e alla Trump Park Avenue, scese del 19%. A conti fatti, queste dinamiche hanno fatto evaporare 50 milioni di dollari dal valore delle sue proprietà, tra Chicago e New York.

Trump ha deciso così di virare verso la gestione di licenze immobiliari, mettendo il suo nome su edifici di altre persone, cravatte e bistecche, cosa che gli ha permesso di guadagnare mentre gli altri si assumevano i rischi. Nel 2015, Forbes ha valutato in 23 milioni di dollari le operazioni in licenza di Trump. Ora le stesse valgono 3 milioni. Non solo. Quattro mesi dopo che il padre ha assunto la carica di presidente degli Stati Uniti, Eric e Donald Trump Jr. hanno annunciato un’iniziativa imprenditoriale, destinata ad abbassare i prezzi degli hotel in America Centrale. Le dichiarazioni rilasciate mesi dopo lasciano intendere che l’azionista di maggioranza era il presidente, con una quota del 77%.

Intanto, a pochi isolati dalla Casa Bianca, il Trump International Hotel ha messo a segno 2 milioni di profitti nei primi quattro mesi del 2017. I governi di altri paesi sono i benvenuti, a dispetto di una clausola della Costituzione, volta a tenere gli inquilini della Casa Bianca lontani da interessi finanziari esteri. Eppure, dai funzionari del Kuwait al primo ministro della Malesia, quasi tutti vi hanno soggiornato. Anche il resort presidenziale si sta rivelando redditizio: si dice che il club Mar-a-Lago abbia raddoppiato la sua quota d’iscrizione a 200 mila dollari (secondo Forbes vale 60 milioni di dollari). Dal giorno in cui è diventato presidente, Trump si è buttato a capofitto nella campagna per la sua rielezione, grazie ai contributi dei donatori. Il risultato? Il presidente ha convertito più di 900mila dollari di donazioni in ricavi, senza spendere un centesimo. Come noto, il presidente si è rifiutato di pubblicate le sue dichiarazioni dei redditi. Ma un’analisi di Forbes mostra che per effetto della riforma fiscale varata lo scorso anno, potrebbe ottenere un risparmio del 10% sui suoi redditi d’impresa. Sulla base della dichiarazione del 2005, equivarrebbe a 11 milioni di dollari l’anno.

A conti fatti, però, per adesso la presidenza si è tradotta per Trump in una perdita netta. Dal momento che non cede le proprie attività, rimane in costante conflitto d’interesse. Nel frattempo, però, se avesse liquidato i suoi beni, pagato le tasse sull’intera sua fortuna e creato un trust per investire il ricavato sui mercati azionari, oggi sarebbe più ricco di 500milioni di dollari. Senza grattacapi.

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