di Tommaso Carboni
A giudicare da una rapida ricerca su Internet, (almeno) due spettri tormentano la nostra penisola: uno è il declino economico, l’altro il calo demografico. E il secondo fa quasi più paura del primo. Anche perché se l’economia, con un risicato +0,2%, è appena uscita dalla recessione, l’emorragia di abitanti prosegue inarrestabile. Siamo al quarto anno consecutivo di calo, ci dice l’Istat. Che ci informa anche che la prima linea di questa battaglia è quella dei piccoli Comuni, dove l’esodo è particolarmente violento. E allora cominciamo con un po’ di dati. Negli ultimi vent’anni, 700mila persone hanno abbandonato centri urbani con meno di 5mila abitanti. Sempre secondo l’Istat, dal 1971 al 2015, 115 Comuni hanno registrato un tasso di spopolamento più alto del 60 per cento. Un’Italia minore che lotta per non sparire. Incentivare, valorizzare, riqualificare, trasformare disagi in opportunità. Ma questa fuga si può davvero fermare? A onor del vero qualcosa è stato tentato.
La misura più consistente, approvata quasi all’unanimità dal Parlamento, risale al 2017. Cento milioni d’euro da spalmare in sette anni. Oggettivamente non molto per una platea di 5585 Comuni, 10 milioni di persone, un sesto della popolazione italiana. Va da sé che alcuni sindaci hanno cominciato a muoversi al di fuori degli aiuti statali. In Sicilia, in borghi come Sambuca, Salemi, Gangi, case date via gratis o a prezzi simbolici per attirare nuovi residenti. Soluzioni creative anche al Nord. L’ultima, lo scorso mese, a Esino Lario, un paesino di mille anime nel lecchese. Il sindaco prima ha annunciato la vendita in blocco di tutte le proprietà del Comune. Poi, alle prime offerte d’acquisto, ha convocato una conferenza stampa. Dietrofront: “Il paesino non è in vendita: è solo una provocazione, una trovata pubblicitaria per lanciare un progetto…”
Il progetto è quello di Eolo, società leader nel campo della banda ultra-larga wireless, noto anche come fixed wireless access. Comincerà pure con una campagna marketing un po’ stravagante, ma l’idea di fondo è seria, e fa chiarezza almeno su un punto: il rilancio dei piccoli borghi, quindi la lotta al loro spopolamento, non può prescindere da una connessione internet veloce. È fondamentale per tre persone su cinque, secondo un recente studio dell’Università di Padova, ed è uno dei fattori, ovviamente insieme ad altre carenze di servizi, che spingono le persone a spostarsi in luoghi più sviluppati. E così Eolo ha messo in palio 3 milioni d’euro per digitalizzare in tre anni 300 comuni con meno di 5mila abitanti. L’obiettivo è trasformarli in piccoli “smart village”, magari lontani dalle grandi città, ma non per questo isolati. Curioso poi il sistema per assegnare i fondi. Abitanti e simpatizzanti votano il proprio comune e chi prende più voti riceve anche più premi (al numero di voti viene applicato un moltiplicatore per non penalizzare i comuni più piccoli). Si vincono webcam, lavagne digitali, tablet e ovviamente connessioni internet superveloci.
Finora la partecipazione è stata buona. In testa c’è Serramonacesca, 544 abitanti, in Provincia di Pescara. “Al primo mese dal lancio del progetto abbiamo ricevuto quasi 1 milione di contatti sulla nostra piattaforma missionecomune.eolo.it per votare i comuni in gara”, mi spiega Alessandro Verrazzani, il direttore dei rapporti istituzionali di Eolo. Bene che ci sia entusiasmo. Ma fanno davvero qualcosa tre milioni d’euro in tre anni? Più facile fermare il vento con le mani, verrebbe da dire.
La strategia italiana per la banda ultra-larga ha inizio nel 2015, quando il governo ha costituito un fondo da tre miliardi e mezzo di euro per realizzare l’Agenda digitale europea, ossia garantire, entro il 2020, una connettività ad almeno 30 Megabit al secondo su tutto il territorio, con almeno il 50 per cento di abbonati con velocità superiori a 100 Megabit. Risultati? Beh, finora non molto incoraggianti. Senz’altro la banda larga è più diffusa. Vi accede oggi il 63,6 percento della popolazione italiana, contro il 60,6 di giugno dell’anno scorso. Ma non basta affatto: negli indici che misurano la competitività digitale della Unione Europea, l’Italia risulta agli ultimi posti quanto a numero di abbonamenti alla banda ultraveloce (100 Megabit e oltre). Vuol dire che nelle case del 30% delle famiglie manca un collegamento internet stabile. E vuol dire anche che il sistema produttivo sta scontando danni impressionanti. Secondo un rapporto di Agici-Finanza di impresa, non riuscire a rendere disponibile al 100% della popolazione la rete a banda ultra-larga costerà, entro il 2035, ben 293 miliardi di euro.
Com’era prevedibile il divario digitale si allarga allontanandosi dai grossi centri urbani. Più della metà degli 8mila comuni italiani, ci informa Agcom, non ha accesso a internet veloce (almeno 39 Mbps). Particolarmente svantaggiate sono le aree rurali, montuose, che per ovvie difficoltà di territorio, fanno fatica ad essere raggiunte da fibra ottica e doppini in rame per internet veloce. I grandi operatori telefonici investono con riluttanza in queste zone, perché il ritorno economico non è abbastanza allettante.
E questo ci riporta al progetto di Eolo, un provider che si è specializzato nella banda ultra-larga, ma con una connessione wireless, senza fili. Una tecnologia che integra fibra ottica e ponti radio, a detta degli esperti più rapida da realizzare, più scalabile, notevolmente meno costosa. E quindi potenzialmente in grado di portare internet veloce anche in quei piccoli comuni isolati, difficili da raggiungere, spesso trascurati dai grandi player della telefonia. È proprio in queste zone che il fixed wireless access si sta espandendo. Sia in termini di utenti (+21% nel 2018) che di ricavi (+30%).
Trattandosi di collegamenti via radio, è fondamentale la disponibilità di frequenze. La buona notizia è che il Ministero dello Sviluppo Economico sta vagliando proprio in questi giorni la possibilità di concedere altre frequenze agli operatori del fixed wireless access. “Senza entrare nel tecnico, dico solo che con l’impegno di tutti gli attori coinvolti, in primis il Ministero dello Sviluppo Economico, si potrebbe far crescere questo mercato, per esempio liberando molte frequenze al momento assegnate al Ministero della Difesa, seppur sottoutilizzate”, spiega ancora Verrazzani. “Il diritto di accesso a internet ne uscirebbe rafforzato, senza per questo mettere a rischio la sicurezza nazionale che resta ovviamente una priorità”.
Il manager di Eolo chiude l’intervista sottolineando come la banda larga senza fili sia particolarmente indicata per la diffusione del 5G. “Negli Stati Uniti, giganti come Verizon e AT&T hanno scelto il fixed wireless per i loro primi servizi pre-commerciali 5G. La nostra rete Eolo a 100 mega va esattamente in questa direzione”. In Italia i big della telefonia sembrano pensarla allo stesso modo. È di pochi giorni fa la notizia che Fastweb, in collaborazione con Open Fiber, investirà 3 miliardi d’ euro nei prossimi cinque anni nello sviluppo del 5G. Proprio con la tecnologia del fixed wireless access. Proprio per collegare i piccoli comuni ancora non coperti.
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