Articolo tratto dal numero di dicembre 2019 di Forbes Italia. Abbonati.
Proteggere la Terra. Sembrerebbe il ritornello di tutti i polpettoni fantascientifici più scontati degli ultimi 50 anni, ma è lo scopo, ben poco fantasioso e ancor meno banale, di Flyeye, il telescopio “a occhio di mosca” che dalla Sicilia monitorerà i detriti spaziali e i corpi celesti capaci di minacciare l’orbita bassa o il nostro Pianeta. In altri termini, uno strumento per prevenire danni da centinaia di milioni di euro, se non catastrofi. Questo è Flyeye, summa dell’eccellenza italiana in ambito scientifico e tecnologico, nonché collaborazione virtuosa della nostra industria con l’agenzia spaziale nazionale, l’Asi, e quella europea, l’Esa. Una sinergia possibile grazie a un catalizzatore: OHB Italia.
“La ricerca spaziale è l’attività cui si dedica l’azienda” spiega Roberto Aceti, che di OHB è l’amministratore delegato. Ingegnere aeronautico formatosi alla fu Aermacchi, master in business administration a Edimburgo e 12 anni all’Esa come responsabile dei programmi di dimostrazione in orbita delle tecnologie, Aceti amministra OHB Italia da cinque anni, sebbene sia lì da “quando non si chiamava ancora così”, dice, ricordando che solo nel 2009 il gruppo di Brema acquisì l’allora Carlo Gavazzi Space. “Abbiamo un curriculum di missioni ultra decennale, un requisito indispensabile in un settore in cui i cicli dei prodotti sono pluriennali”. Vero, soprattutto se per prodotti si intendono satelliti o componentistica per sistemi più ampi. “Che sono esattamente le tipologie sviluppate da OHB” sottolinea Aceti: “Da una parte i satelliti o le loro parti, visto che in ambito europeo realizziamo anche pezzi destinati a chi assembla gli interi sistemi; dall’altra gli strumenti, in particolare scientifici, che possono essere portati in orbita, oppure apparati da integrare del tutto eccezionali: proprio a quest’ultimo gruppo appartiene il telescopio Flyeye”. Prototipo costato 15 milioni di euro e progettato per essere sfruttato in network con altri quattro esemplari identici, Flyeye è solo la testimonianza più recente di un approccio aziendale basato sulla collaborazione internazionale e sul trasferimento tecnologico. “Per chi lavora nel settore, instaurare un rapporto trasversale fra ricerca accademica e industria è un’esigenza. Per quanto ci riguarda, consideriamo la ricerca spaziale parte indissolubile del tessuto tecnico-scientifico e per questo riteniamo naturale lavorare con i laboratori universitari e con gli enti utilizzatori finali”.
È una strategia possibile grazie al ruolo di prim’ordine che l’industria spaziale tricolore ricopre a livello internazionale: “Un primo elemento indispensabile è avere un substrato scientifico di massimo livello: i nostri astronomi e fisici appartengono alla serie A della scienza mondiale e questo fa sì che il settore
ingegneristico sia alimentato da idee di alto profilo. È una pietra angolare, su cui si sviluppa una filiera con poche analogie a livello globale: l’industria italiana parte da un’azienda manifatturiera come OHB Italia e passa da realtà che consentono l’accesso all’orbita (si pensi ad Avio), per completarsi con chi sfrutta i dati a terra, informazioni che possono anche non derivare da missioni prettamente scientifiche”.
Un quadro forse idilliaco, soprattutto a fronte di un paradigma dirompente, la new space economy, che sull’impeto di attori fino a poco tempo fa avulsi dal settore oggi promette di cambiare anche gli equilibri più consolidati. “Nessuna ingenuità”, ribatte Aceti, “per com’è stata gestita in passato, credo per esempio che la nostra politica industriale sia stata un punto debole. La situazione è cambiata in seguito alla legge che ha posto la politica spaziale sotto la responsabilità della Presidenza del Consiglio, con un comitato interministeriale e un sottosegretario preposto al coordinamento. Gli aspetti relativi alle potenzialità economiche e politiche dello spazio non potevano più essere gestiti da una sola persona. Ora siamo in via di correzione, ma il passaggio richiede tempo. L’importante è cogliere tutte le opportunità della nuova economia spaziale: l’intuizione della space economy, infatti, è promuovere un circuito virtuoso fra idee e investimenti per realizzare sistemi che servano il cittadino. Sembra una banalità, ma è una rivoluzione per noi, abituati ad accontentare gli scienziati. La new space economy è una promessa”.
Una promessa che potrebbe anche essere salvifica, come testimoniano i progetti della stessa OHB: “Abbiamo l’ambizione di partecipare alla missione Hera dell’Esa, il cui obbiettivo è indagare le conseguenze di un impatto cinetico su un asteroide causato volontariamente da una missione precedente della Nasa. Dal 2024 potremmo studiare l’interno dell’asteroide, colpito per produrre una deflessione della sua orbita. Con Flyeye ed Hera, di cui avremo la responsabilità del sistema di generazione e gestione della potenza elettrica, stiamo orientandoci verso attività scientifiche che potremmo definire di ‘protezione dello spazio’. Credo sia bello, oltre che importante, sapere che l’Italia potrebbe dare il suo contributo alla salvaguardia del nostro pianeta”.
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