La Blue economy di Riccardo Bonadeo: lo sviluppo sostenibile che passa dal mare

Blue Economy e sostenibilità del pianeta: Riccardo Bonadeo, vicepresidente One Ocean Foundation
Commodoro dello Yacht Club Costa Smeralda e vicepresidente esecutivo di One Ocean Foundation, Riccardo Bonadeo, commercialista classe 1939, è entrato nello Yacht Club Costa Smeralda nel 1978, dopo aver vinto la Settimana delle Bocche con il suo Swan 44, il primo dei suoi cinque yacht, tutti chiamati Rrose Selavy. Nel 1982 è stato ceo del Consorzio Azzurra, la prima sfida italiana lanciata all’America’s Cup dallo Yccs. Ha mantenuto questo ruolo fino al 1987. Dal 2008 è il commodoro dello Yccs. Al timone di Rrose Selavy, ha regatato nell’Admiral’s Cup del 1979 con il drammatico Fastnet dei naufragi, è stato due volte vincitore della Maxi Yacht Rolex Cup (1995-2000), cinque volte della Settimana delle Bocche e ha vinto la Giraglia Rolex Cup del 1999. Oggi, inoltre, ricopre la carica di vicepresidente esecutivo di One Ocean Foundation, un’iniziativa italiana di rilevanza internazionale per la salvaguardia dell’oceano, presieduta dalla principessa Zahra Aga Khan.
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Blue Economy e sostenibilità del pianeta: Riccardo Bonadeo, vicepresidente One Ocean Foundation
Riccardo Bonadeo

Articolo tratto dal numero di Forbes di gennaio 2020

di Enzo Argante

“Occuparsi della salute degli ecosistemi marini e costieri è fondamentale non solo dal punto di vista ambientale ma anche sociale ed economico. Ma gli oceani sono minacciati: l’appello alle aziende, alle associazioni, alla comunità scientifica e al grande pubblico è trovare nell’amore per il mare e la sua tutela una vocazione condivisa per la sua salvezza”. E dell’amore per il mare, Riccardo Bonadeo è un vero e proprio portabandiera. Commodoro dello Yacht Club Costa Smeralda, è un personaggio mitico del velismo internazionale, con le sue barche Rrose Sélavy che hanno partecipato alle più straordinarie regate del Mediterraneo. Ma può parlare a pieno titolo anche nella nuova
veste di vicepresidente di One Ocean Foundation, presieduta dalla principessa Zahra Aga Khan, nata allo scopo di contribuire alla salvezza degli oceani.

L’appello è forte e chiaro: va bene guardare con il naso all’insù, all’atmosfera, alle temperature e in generale al cambiamento climatico. Ma attenzione, anche il mare è sotto minaccia grave: “Gli oceani sono una fonte di risorse fondamentale per la nostra sopravvivenza e saranno sempre più indispensabili per affrontare molte delle sfide globali dei prossimi decenni, come la sicurezza alimentare, i cambiamenti climatici e la generazione di energia pulita. Per questo proteggere la salute dell’oceano e la vita marina è indispensabile allo sviluppo sostenibile e la blue economy può contribuire a raggiungerlo”.

Chi e cosa minaccia la sopravvivenza degli oceani? Ci sono molte risposte possibili ma la responsabilità – in maniera diretta o indiretta – ricade anche sulle imprese che incidono sensibilmente sulla tenuta degli ecosistemi marini. “L’integrità dei fondali, delle acque e della biodiversità marina è messa a rischio dalla pesca a strascico, dallo sfruttamento delle risorse naturali e dall’inquinamento di agenti contaminanti scaricati o versati accidentalmente nelle acque così come da plastiche e microplastiche”.

Il quadro che ci si presenta è allarmante: qual è il livello di consapevolezza, e quindi di azione possibile per difendere e valorizzare la cosiddetta economia blu? La ricerca Business for Ocean Sustainability, realizzata da One Ocean Foundation in collaborazione con Sda Bocconi, McKinsey & Company e Csic (The spanish national research council), ha coinvolto più di 220 aziende nazionali e internazionali, startup, associazioni e ong di 13 settori industriali, per un fatturato totale di quasi 1.000 miliardi di euro, pari circa al 15% del Pil italiano.

“Lo studio ha preso in esame le relazioni esistenti tra la sostenibilità degli oceani e l’economia da una prospettiva inedita, focalizzata sulla consapevolezza, sulle strategie e sulle pratiche più innovative adottate dalle imprese. Partendo dal presupposto che gli oceani hanno un impatto determinante sulla crescita mondiale: se la blue economy fosse un paese, con i suoi 3mila miliardi di dollari, sarebbe la settima economia più grande al mondo”. E se questo modello è fondamentale per la salvezza del pianeta, l’Italia e il Mediterraneo sono la prima, più importante, angolatura di visuale. Per questo la prima fase della ricerca si concentra sulla culla della civiltà mondiale che genera 386 miliardi di euro e poco meno di 5 milioni di posti di lavoro. “La ricerca sostiene che il 45% delle imprese è consapevole delle pressioni esercitate sugli ecosistemi marini ma non sempre agisce per limitarli. Il nostro obiettivo è alimentare ulteriormente questa consapevolezza sensibilizzando leader internazionali, istituzioni, aziende e il grande pubblico alla cultura della sostenibilità. Vogliamo accrescere questa consapevolezza e creare relazioni costruttive tra tutti gli stakeholder di diverse fasce di età impegnati a più livelli nella conservazione marina. Per questo abbiamo concepito la Charta Smeralda: un documento che guida individui e organizzazioni verso  comportamenti più rispettosi dell’ambiente”.

C’è una formidabile squadra pronta all’azione, una nuova generazione di manager al timone di aziende con motivazioni etiche e strategiche: i sustainability leader – circa un terzo del campione in esame – sono presenti nella maggior parte dei settori, sia quelli legati all’oceano (trasporto marittimo, attività portuali, cantieristica navale), sia quelli non legati (energia, utility, tessile e abbigliamento, prodotti chimici, alimentari e bevande). Con la tecnologia che definisce percorsi innovativi sempre più determinanti. E non dimentichiamo che l’Italia è in prima linea e pesa 37% sull’economia legata al Mediterraneo. Una grande opportunità per il nostro paese. Da One Ocean Foundation, è partito un segnale importante.

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