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Lavoro: la mancanza di competenze pesa come una tassa del 6% sull’economia globale

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La mancata corrispondenza tra le competenze richieste dal mondo del lavoro e quelle disponibili sul mercato pesa come una tassa del 6% sull’economia globale, ossia 5 miliardi di dollari. A evidenziarlo è il report di Boston Consulting Group “Fixing the Global Skills Mismatch”, che evidenzia anche un altro aspetto: lo “skill mismatch” riguarda oggi 1,3 miliardi di lavoratori in tutto il mondo, ossia il 40% di tutti quelli dei Paesi Ocse, ed è in costante aumento. Tant’è che si stima nel 2030 possa coinvolgere 1,4 miliardi di persone, con danni sempre più profondi per l’economia mondiale. 

Come sottolinea il report di Boston Consulting Group, il contesto lavorativo sta diventando sempre più dinamico, tant’è che il 27% degli impieghi del 2022 sarà in lavori che ancora non esistono. Nascono nuove professioni che in poco tempo diventano specialistiche e alcune competenze tecniche diventano obsolete entro due/cinque anni.

Tra l’altro, evidenzia BCG, il ritmo è così rapido da non poter essere colmato da nessun percorso formativo: i tentativi del sistema educativo di aggiustare in corsa le proposte stanno risultando inefficaci, mentre i tempi necessari per la formazione si stanno allungando e i costi sono o raddoppiati o triplicati negli ultimi 30 anni. In sintesi, lo skill mismatch rappresenta un danno per i lavoratori, che spesso si devono adeguare a posizioni inferiori alla loro qualifica, e un’imposta per le aziende, a cui tocca il costo del reskilling o upskilling di dipendenti con competenze insufficienti. 

Come si risolve lo skill mismatch

Per risolvere il problema dello skill mismatch, il Boston Consulting Group nel suo report ha espresso una soluzione abbastanza radicale: rivedere le fondamenta del sistema educativo, con un approccio “umano-centrico”, passando dalla standardizzazione di massa all’“unicità” di massa. In sintesi, l’idea sarebbe quella di costruire percorsi formativi individuali, partendo dagli orientamenti e dalle capacità dei singoli soggetti, offrendo un set di skill da aggiornare costantemente sulla base delle scelte e delle richieste del mercato. 

Tra queste, dovranno esserci competenze trasversali “adattabili” anche per quei lavori che ancora non esistono, come la comunicazione, il lavoro di squadra, la pianificazione e la capacità di imparare. Inoltre, il nuovo approccio proposto prevede che siano i lavoratori ad assumersi la responsabilità della propria formazione, mantenendosi aggiornati, focalizzandosi sui lavori che ancora non esistono e attrezzandosi per il cambiamento tecnologico. 

Un rovesciamento di prospettiva per cui, secondo BCG, occorre un nuovo contratto sociale. Lo Stato dovrà mettere a disposizione l’accesso universale (mezzi, luoghi, spazi per la formazione), le aziende dovranno offrire ambienti di lavoro inclusivi, aperti e orientati all’autorealizzazione, mentre i lavoratori potranno scegliere in modo autonomo tempi e direzioni della formazione. 

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