Innovation

I componenti dell’auto come le app dello smartphone: l’idea di Under 30 italiano

Articolo apparso sul numero di settembre 2020 di Forbes. Abbonati

Immaginate che la vostra auto sia uno smartphone, dove ci sia uno store che vi permetta di installare a vostro piacimento i componenti, che sia un sedile super digitale, un device piuttosto di un altro, o addirittura una macchina del caffè. Il tutto, ovviamente, senza causare l’impazzimento del produttore, non più costretto a correre dietro a chilometri di cavi e a cablaggi diversi. L’immagine appena descritta potrebbe essere un vero game changer in un’industria, quella dell’automotive, risultato di gerarchie, di sistemi e di complessità ingegneristiche del passato. A proporla è Ludovico Campana, che con il suo socio Sergio Pininfarina, ha fondato Tuc, una spina che all’interno di un veicolo permette di connettere tutti i componenti, che avranno quindi la stessa presa universale. Volendo fare qualche paragone, dopo aver assistito alla digitalizzazione della comunicazione con gli smartphone, a quella degli oggetti con l’internet of things, Tuc vuole portare il comparto dell’auto nell’era digitale. “Se non parliamo di lusso, l’auto non è più un oggetto di desiderio. Noi vogliamo rispondere a questa esigenza: creare una sorta di lingua inglese delle auto che possa migliorare la vivibilità e l’esperienza, dove l’usabilità sia più importante della scocca, e fare in modo di dare un responso a pubblico sofisticato e digitale”, spiega.

Classe 1992, Ludovico ha iniziato la sua carriera professionale come automotive & mobility designer sviluppando progetti relativi alla mobilità, human machine interface, product design e transportation design grazie ai quali è stato in grado di toccare l’intero processo dall’ideazione alla realizzazione di un prodotto e toccare le dinamiche delle nuove esigenze industriali. È stato anche docente allo Ied di Torino. “Sono stato un designer che ha lavorato nel mondo delle auto. Mi sono licenziato perché non condividevo più il messaggio del comparto”, confida. “Con Tuc abbiamo dimostrato che un’idea può essere realizzata, e che la mobilità può essere davvero cambiata. Se questa cosa va in porto, si viene a creare una nuova generazione di auto, coerente con l’attuale società. La mobilità oggi consiste nel trasportare da un punto A un punto B nel miglior modo possibile”.

Il pianale Tuc

Ma cosa manca, allora per trasformare questa idea in realtà? Formalmente nulla: dalla fine di giugno il brevetto Tuc, riconosciuto come invenzione industriale in 135 Paesi, è pronto per essere dato in mano a un costruttore, che possa inserirlo nel processo progettuale di un veicolo: “I produttori sono rimasti sorpresi dalla riduzione di componenti che Tuc porta. Abbiamo selezionato i dettagli e i componenti tecnologici in maniera che possano essere contati sul palmo di una mano: il risultato è un processo industriale che coinvolge meno componenti, è più efficiente e meno inquinante”.

Le grandi aziende interessate al progetto non mancano: Bosch è uno dei grandi marchi che ha deciso di realizzare uno schermo plug & play per Tuc. Intel, Cisco, Chicco sono altri brand che hanno stretto una partnership con la startup. Diversi investitori hanno creduto nel progetto, e permesso ai due fondatori di raccogliere 2 milioni di euro per strutturare il piano industriale.

Tanto per fare qualche nome, tra di loro c’è Amedeo Felisa, già amministratore delegato di Ferrari. Altri nomi di investitori sono quelli di Dario Tosetti, Enrico Boglione, Pietro Croce: insomma l’idea di Tuc sembra essere convincente su tutti i fronti. Ancora di più, se pensiamo ai passi in avanti che tutto il settore sta facendo: “Soltanto in Cina ci sono 400 produttori di auto elettriche. La sociologia dell’automobile ha influenzato la città, che si sono allargate per fare spazio a questo oggetto. Adesso ci sarà un rinnovamento di un concetto di veicolo: non esisteranno più auto monofunzione, ma saranno auto multimodali con infinite possibilità su uno stesso pianale. Questo connettore potrebbe avere un ruolo fondamentale nel processo”. Un fermento che non è riservato soltanto al mercato cinese. Secondo Campana, Tuc non sarebbe potuta nascere se non in Italia, grazie al tessuto industriale torinese e all’incubatore I3P del Politecnico di Torino, considerato il migliore al mondo secondo l’Ubi Global World Rankings of Business Incubators and Accelerators 2019 – 2020. “La cosa che mi piace dell’Italia è che fai talmente tanta fatica a emergere, che alla fine sei sicuro che è l’idea giusta perché viene criticata ed esaminata in ogni dettaglio”, conclude.

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