Articolo pubblicato sul numero di settembre di Forbes Italia
La terra si controlla dominando il mare. Lo sosteneva, qualche decennio fa, il genio della geopolitica Nicholas John Spykman. Fosse ancora fra noi, è probabile direbbe che oggi terra e mare si dominano dallo spazio.
Più di tutti lo dimostra la Cina, l’unica potenza spaziale in grado di competere, da sola, con gli Stati Uniti. Le ambizioni extraterrestri del gigante asiatico raccontano una volontà di leadership non certo velleitaria: una base orbitante attorno alla Terra, la Tiangong 3, da realizzare entro il 2022, l’allestimento di un sistema satellitare quantistico, il massimo grado della sicurezza, entro il 2030 e l’invio di taikonauti, gli astronauti cinesi, sulla Luna non oltre il ‘35 sono le tappe di un “dominio dello spazio”, zhi tianquan, riconosciuto come il pilastro di quello tecnologico.
Sembrerebbe fantascienza se nel frattempo, mentre leggete queste righe, la missione Tianwen-1 non stesse raggiungendo Marte. Per confermare urbi et orbi le proprie intenzioni, l’agenzia spaziale del Dragone, la Cnsa, punta al Pianeta Rosso con un orbiter, un lander e un rover, il ‘pacchetto completo’, ed è significativo che il lancio della missione sia avvenuto pochi giorni dopo il disastroso viaggio inaugurale del vettore Kuaishou-11, andato perso il 10 luglio poco dopo il distacco dalla rampa: la Cina non si ferma. Anzi, rilancia.
Per comprendere il perché e soprattutto come il Dragone stia muovendosi oltre l’atmosfera conviene però riavvolgere il tempo di qualche anno.
È il 9 giugno 1995 e a New York è un venerdì caldo non solo per la temperatura. La visita del presidente taiwanese, Lee Teng-hui, alla Cornell University, sua alma mater, scatena la terza crisi con la Repubblica popolare: Pechino accusa Lee di stare muovendosi per ottenere l’indipendenza formale, quindi, poco prima delle elezioni sull’isola, decide di ricordare a tutti che un’invasione non è un’eventualità remota: nel marzo del ’96 l’Esercito popolare di liberazione imbandisce un’esercitazione militare in grande stile, o almeno così vorrebbe, e lancia tre missili verso Taiwan: il primo cade a più di 18 chilometri dalla base di Keelung, a nord di Taipei, e degli altri due, poco dopo il decollo, perdono le tracce tutti, compresi coloro che dovrebbero controllarne la traiettoria. Per fonti anonime negli alti ranghi dell’esercito cinese, la colpa è degli Stati Uniti, rei di aver provocato un malfunzionamento del sistema Gps – il Global positioning system, di proprietà americana – installato sui missili balistici. Sia come sia, per Pechino è una “umiliazione indimenticabile”, la prova provata di limiti tecnologici giganteschi e un monito a ridimensionare le proprie ambizioni geopolitiche.
Flashforward: 23 giugno 2020. La Cina spedisce in orbita il 55esimo e ultimo satellite del sistema di radionavigazione Beidou. Abbinata con la rete 5G e con l’intelligenza artificiale, l’infrastruttura consentirà di potenziare le attività economiche e militari in patria e all’estero senza più dipendere dal Gps. È il compimento del progetto accelerato proprio dalla “umiliazione indimenticabile” del ’96 ed è probabile che l’impiego dei satelliti costruiti dalla Cina lungo la nuova via della seta, la Belt and Road Initiative, potrebbe anche rappresentare un importante strumento di controllo e influenza all’estero.
Per capire quanto lo spazio sia importante per la Cina basti pensare che le Accademie dedicate al settore impiegano circa 100mila persone. È una dimensione imponente: in Europa non arriviamo a 40mila. Detto altrimenti, la corsa per la supremazia tecnologica sul nostro pianeta si gioca fuori dal mondo. E Pechino è fra i giocatori più forti.
È una partita che la Cina prepara da più di mezzo secolo, da quando Qian Xuesen, uno scienziato cacciato dagli Stati Uniti per sospetto comunismo, nel 1956 allestì e diresse in patria il primo programma di sviluppo di missili balistici. Il primo razzo interamente sviluppato in patria, il vettore CZ-2, nacque nel 1964 e nel ’70 portò in orbita il “Dong Fang Hong 1”, il primo dei 55 satelliti della stessa famiglia lanciati nei trent’anni successivi. Inaugurato dal solito Qian Xuesen nel ‘68, il Centro di ricerca di medicina spaziale contribuì invece a realizzare l’idea per cui era nato, quella di lanciare un taikonauta nello spazio, risultato raggiunto nel 2003 con la missione Shenzhou 5. La Cina divenne il terzo Paese, dopo Urss e Usa, a inviare in autonomia un uomo oltre l’atmosfera. Complici “umiliazioni indimenticabili”, quattro siti di lancio sul proprio territorio e investimenti crescenti – a oggi, dei 177 miliardi di dollari stanziati ogni anno per la Difesa, non è dato conoscere la porzione investita nello spazio, ma già nel 2018 la cifra si aggirava attorno agli 11 miliardi, budget secondo solo a quello statunitense -, il ritardo del programma spaziale cinese è stato via via ridotto e, in alcuni casi, addirittura annullato: nel gennaio 2019, la Cnsa, è stata la prima della storia a manovrare un rover, lo Yutu 2, sulla superficie nascosta della Luna, un obbiettivo che impone infrastrutture a terra dal decisivo peso strategico, come un radiotelescopio posizionato in Argentina.
Non che le ambizioni spaziali cinesi siano di esclusivo carattere bellico, beninteso. L’importanza cruciale del settore deriva dal fatto che lo spazio è strategico per una molteplicità di motivi: scientifici e tecnologici, economici e industriali, di tutela della sicurezza nazionale, ma anche diplomatici. E Pechino ha già palesato una forte volontà cooperativa, come conferma Simonetta Di Pippo, direttrice dell’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico delle Nazioni Unite, l’Unoosa.
“La Cina”, dice, “è molto attiva in ambito multilaterale, attraverso la partecipazione a tutte le attività del Comitato delle Nazioni Unite per l’uso pacifico dello spazio extra atmosferico (il Copuos, ndr), e in bilaterale con Unoosa. Con la Giordania e il Dipartimento di stato americano, nel 2018 la Cnsa ha poi guidato un team di esperti sul tema ‘Space Exploration and Innovation’. Partendo dalla Luna, l’esplorazione del sistema solare si configura sempre di più come uno sforzo collaborativo”.
Il superamento dei nostri orizzonti spaziali potrebbe essere uno stimolo unico alla collaborazione fra le eccellenze. Per il bene di tutti, speriamo che per una volta Spykman venga smentito.
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