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Alleati o nemici? Come si comporterà Biden con i guru della tecnologia

Joe Biden, nuovo presidente USA
Joe Biden (Photo by Chip Somodevilla/Getty Images)

Ciò che ha reso competitivo Donald Trump corsa presidenziale non è stato, o perlomeno non lo è stato nel modo più evidente, la sua relazione con i sostenitori naturali: le grandi imprese, i mercati finanziari, una lobby quale la Camera di commercio statunitense – il ‘grande capitale’, per usare un termine ormai desueto. A sostenerlo è sembrata essere stata piuttosto la sua base elettorale: gli abitanti delle aree rurali, le donne caucasiche, dei piccoli centri, i commercianti. Certo, i soldi per la campagna elettorale sono arrivati da una cricca di pochi, ricchissimi lealisti, tra cui l’industria petrolifera e la maggioranza dei proprietari della Nba. Questo blocco gli resterà sempre fedele, anche adesso che ha perso le elezioni. Molto meno chiaro però è l’atteggiamento delle imprese del Big Tech, dopo anni di rapporto burrascoso con Trump, ora che alla Casa Bianca ci sarà un nuovo inquilino.

La Silicon Valley aveva immaginato due scenari per i prossimi quattro anni: uno, in caso di riconferma del tycoon prestato alla politica, dettato dall’impulsività e da sfuriate temporanee, e un altro per l’amministrazione di Joe Biden, che sarà critica nei confronti della tecnologia ma piuttosto cauta prima di agire. Data per certa la vittoria del’ex vicepresidente di Obama, un fattore di pacificazione può essere rappresentato dalla senatrice Kamala Harris, ex procuratrice generale della California e futura vicepresidente, i cui toni nei confronti del settore sono molto più moderati rispetto ad altri candidati alla presidenza, come i senatori Bernie Sanders o Elizabeth Warren, che invece vedono Facebook, Apple, Google e Amazon più come una minaccia che come partner. Harris ha recentemente chiesto un aumento delle tasse sulle società, ma poi si è fermata quando il rischio di inimicarsi questi colossi è sembrato non valere la candela. Visto come sono andate le elezioni sembra aver fatto bene così.

Se il presidente Trump si è tenuto buono il Big Tech concentrandosi sui tagli fiscali e sulla deregolamentazione, criticando però le piattaforme social per il pregiudizio anti-conservatore e per il loro atteggiamento ‘ortopedico’ sulle fake news, Joe Biden sembra puntare a un approccio più pragmatico, sviando lo scontro diretto e dedicando altrove l’attenzione, ad esempio parlando di un argomento che è diventato sempre più urgente nell’era del telelavoro e dello Zoom-schooling, vale a dire il ‘divario digitale’. La campagna di Joe Biden si è impegnata a espandere “la banda larga, o banda larga wireless via 5G, a tutti gli statunitensi”, portando l’accesso a internet nelle aree rurali. Harris, dal canto suo, ha molti alleati nella Silicon Valley: ad esempio la direttrice operativa di Facebok, Sheryl Sandberg, che ha postato una foto con lei su Instagram a pochi minuti dalla proclamazione di Biden, acclamando la sua selezione come un ‘grande momento per le donne’. L’amministratore delegato di Airbnb, Brian Chesky e gli allora dirigenti di Apple Marissa Mayer e Jony Ive sono stati tra i grandi nomi della raccolta fondi per la sua candidatura per la rielezione nel 2014 come procuratore generale della California, ha osservato il sito Recode. Si torna allo status qui?

Non proprio. Su altri terreni, infatti, il confronto con l’eredità di Trump sarà inevitabile. Per quanto riguarda la sfida alla tecnologia cinese, ad esempio – che ha spinto l’attuale presidente a tentare di bandire Huawei, WeChat e TikTok – Joe Biden non si è sostanzialmente distinto dal trumpismo. “La realtà è che gli Stati Uniti non sono più il leader globale dell’innovazione, e rischia di perdere la sfida contro la Cina nel prossimo decennio o due…. Non è chiaro se le due principali parti comprendano o meno questa minaccia e vogliano darle priorità”, si leggeva in uno studio dell’Information Technology & Innovation Foundation pubblicato poco prima delle elezioni. se Trump ha spesso inquadrato l’ascesa economica della Cina come una minaccia sia per il commercio statunitense che per la sicurezza nazionale, la campagna di Joe Biden ha rilanciato cercando di mostrarsi ancora più dura, parlando di Tik Tok, a settembre, come di “una questione di autentica preoccupazione”, facendo eco alle scelte dei Repubblicani.

Il rimescolamento di alleanze tradizionali che è stato caratteristica di Trump potrebbe dunque subire un riallineamento che riporterebbe gli Stati Uniti agli anni di Obama, sotto i quali i Democratici e i guru tecnologici godevano di un rapporto generalmente amichevole. Molti dirigenti del settore tecnologico erano già anti-Trump nel 2016, e i dipendenti del settore tecnologico hanno donato in modo sproporzionato alla campagna di Joe Biden durante l’ultima campagna elettorale.

Un altro punto dirimente è legato all’immigrazione: Joe Biden abbraccia una visione molto meno restrittiva del suo predecessore sui lavoratori altamente qualificati, su cui molte aziende tecnologico fanno grande affidamento. Trump, al contrario, aveva tentato soprattutto negli ultimi mesi di utilizzare l’emergenza Covid per frenare ogni tipo di immigrazione – non solo quella irregolare – per dare così al suo elettorato un barlume di speranza sul possibile contrasto al multiculturalismo.

Ma gli echi con gli anni d’oro precedenti a Trump forse finiscono qui. Anche Joe come Donald sostiene potenziali azioni antitrust contro i colossi hi-tech e la riduzione delle protezioni previste dalla Section 230 del Communications Decency Act, che protegge le piattaforme online dalla responsabilità per i contenuti inseriti dagli utenti: vero pallino del presidente repubblicano, ma in realtà questione spinosa ovunque, a causa la crescente polarizzazione politica tra segmenti demografici diversi. Joe Biden è favorevole alle etichette di avvertimento che Twitter e Facebook appongono laddove possono per avvertire gli utenti di bufale conclamate, ma è convinto che occorra fare di più per prevenire la proliferazione la disinformazione e i discorsi d’odio. In fondo, se la Silicon Valley è sembrata schierarsi quasi all’unanimità contro Trump negli ultimi anni, è stata pur sempre l’esplosione di fake news negli anni precedenti a sostenere la vulgata nazional-populista.

Gli osservatori della politica sono divisi sulla serietà di questi propositi o sul fatto che essi saranno ancora una priorità per Joe Biden dopo l’insediamento. Tuttavia è cruciale sapere che c’è un interesse bipartisan a riesaminare la questione social, e anche in caso di Senato in mano repubblicana Joe Biden potrebbe trovare avversari ben contenti di fargliela pagare chi gli è costato, in parte, le elezioni. Secondo Axios, il Big Tech potrà respirare un clima di temporanea pacificazione, e saranno forse più felici su questioni legate alle minoranze etniche e i diritti Lgbtq. Non ci saranno tempeste di tweet a tarda notte da affrontare. Ma l’industria dovrà comunque fare i conti con un’amministrazione modellata da un’istituzione democratica più sospettosa nei suoi confronti di quanto lo fosse un lustro fa.

Insomma, continuando a sostenere misure che aiuteranno la Silicon Valley a restare l’avanguardia dell’impero economico statunitense nel mondo, Repubblicani e Democratici sono diventati entrambi più critici nei confronti della tecnologia rispetto al 2016. La nuova amministrazione Biden dovrà seguire questa linea se non vorrà perdere contatto con la realtà e con gli elettori che per poco non hanno riconsegnato la Casa Bianca a Trump, e indietro non si torna. Certo, la parte liberale di Silicon Valley liberale rimane uno dei mecenati più affidabili dei Democratici. E una presidenza Biden affronterà l’industria tecnologica con uno stile più conciliante rispetto a quello di Trump. Ma una vittoria di Joe Biden non offre alcuna garanzia che il Big Tech sia in grado di rinnovare il rapporto che aveva con la Casa bianca prima dell’ondata populista, o di tenere a freno quei Democratici più giovani e di sinistra che non vedono l’ora di regolamentare le piattaforme sulle quali pure passano moltissimo tempo.

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