Con la diffusione massiva di internet i social media si sono trasformati nelle nuove agorà dove il dibattito politico prende forma. Chi di questo luogo virtuale ha fatto il proprio pulpito prioritario è stato senza dubbio il presidente americano uscente Donald Trump con oltre 88 milioni di persone in ascolto dei suoi ‘cinguettii’ sulla piattaforma Twitter. C’era dunque da aspettarselo che, in difesa della democrazia (e magari anche in previsione dei prossimi quattro anni di governo Biden), a seguito delle dichiarazioni esaltate di Trump prima e anche dopo l’assalto a Capitol Hill, le big tech dell’online hanno optato per chiudere i canali di comunicazione del presidente. Bloccato su Twitter e anche su Facebook si è detto che Trump avesse pensato di trasferirsi su Parler, il social media nato nel 2018 per, a suo dire, sostenere la libertà di parola. Peccato che, a seguito delle molteplici violazione dei regolamenti volti a bandire ogni forma di incitazione alla violenza, Apple e Google hanno rimosso il social dai propri store e Amazon lo ha addirittura espulso dal suo servizio di web hosting mandandolo così di fatto offline, quantomeno sino a quando il social non troverà un altro ‘luogo’ nel quale risiedere.
Parler, il social network dell’estrema destra americana
“The world’s town square” (la piazza del mondo), così si definisce Parler il Free Speech Social Network che rende pubblici i suoi intenti con questa dichiarazione: “Parla liberamente ed esprimiti apertamente, senza paura di essere buttato fuori dalla piattaforma per le tue opinioni. Interagisci con persone reali, non robot. Parler è incentrato sulle persone e sulla privacy”. Insomma, un più che chiaro invito alla libertà di espressione totale raccolto con entusiasmo, e anche tanto livore, da militanti dell’estrema destra, Proud Boys, suprematisti bianchi, complottisti, sostenitori delle teorie di QAnon. Il risultato era quasi scontato: secondo un rapporto pubblicato dall’Anti-Defamation League (organizzazione non governativa internazionale che si batte contro la diffamazione) questa massa di soggetti ha iniziato a promuovere apertamente senza freni sul social le proprie opinioni compreso la negazione dell’Olocausto, l’antisemitismo, il razzismo e altre forme di fanatismo, aumentando di numero degli iscritti giorno dopo giorno.
Scelta da leader, funzionari, pensatori e media filo-repubblicani come avamposto social della campagna Trump, su Parler, dice Forbes.com, hanno aperto un proprio profilo lo stesso figlio di Trump, Eric, il suo avvocato, Rudy Giuliani, e il suo responsabile della campagna, Brad Parscale, insieme ai senatori Rand Paul e Ted Cruz, la National Rifle Association e il Washington Times. Ad ascoltare quello che dicono nel mese di giugno erano già 1,7 milioni di utenti, ma è a partire dal 3 novembre (giorno delle elezioni) che l’app, stando ai dati elaborati da Sensor Tower, una delle più note realtà di monitoraggio dell’ecosistema app, come riporta TechCrunch, ha registrato centinaia di migliaia di download balzando in cima alla classifica delle app più scaricate.
Rebekah Mercer, l’ereditiera americana conservatrice dietro Parler
Che l’estrema destra americana abbia scelto Parler come canale di sfogo per i propri pensieri esaltati non è un certo un caso. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, e poi confermato dallo stesso amministratore delegato del social, John Matze, il principale finanziatore di Parler sarebbe l’ereditiera americana Rebekah Mercer, figlia del top manager degli hedge fund Robert Mercer. Robert Mercer non è noto solo per il suo ingente patrimonio tanto da finire al 24esimo posto della classifica Forbes 2017 dei più ricchi gestori di hedge found, ma lo è forse ancor di più per il suo orientamento politico estremamente conservatore che lo ha portato a spendere ben 25 milioni di dollari nella campagna del 2016 a sostegno di Donald Trump e soprattutto per aver fondato nel 2013 la società Cambridge Analytica chiusa a seguito dello scandalo connesso all’utilizzo di dati privati di una mole ingente di utenti Facebook per orientare l’elettorato americano contro Hillary Clinton e a favore di Trump alle presidenziali Usa e il referendum inglese sulla Brexit.
Insomma, si potrebbe dire che la consapevolezza sulla forza di persuasione della comunicazione social associata a un orientamento decisamente conservatore sia di casa per Rebekah Mercer. Laureata alla Stanford University la secondogenita di Mercer fa parte della Heritage Foundation, un influente think tank conservatore per l’appunto, oltre a essere membro di diverse altre organizzazioni e a dirigere in prima persona la Mercer Family Foundation.
Rebekah Mercer è stata uno dei 16 membri del comitato esecutivo di transizione di Donald Trump. In un articolo realizzato dalla Cnn si ipotizza addirittura che sia stata la stessa Mercer a convincere l’allora candidato Trump a rimescolare la sua organizzazione elettorale e ad assumere Steve Bannon e Kellyanne Conway per essere supportato nella gestione della campagna durante la fase finale delle elezioni del 2016.
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