Prima di riconsegnare le chiavi della Casa Bianca Donald Trump ha inserito Xiaomi nella lista nera delle aziende cinesi facendo crollare il titolo del gruppo tecnologico dell’11% alla Borsa di Hong Kong.
Da oggi, se avete in tasca uno smartphone Xiaomi, state usando un prodotto di una “azienda militare comunista”. Queste le parole, come al solito ben scolpite, usate dal presidente uscente per bloccare, con un intervento del Dipartimento della Difesa, l’ennesima azienda tecnologica cinese operante negli Usa. A livello economico lo stop rischia di trasformarsi in un autogol.
Xiaomi è infatti uno dei maggiori clienti di Qualcomm, che produce processori per gli smartphone di fascia alta, come lo Snapdragon 888, tra i più performanti in assoluto. Il peso economico Xiaomi è notevole. L’ultimo report dell’Istituto di ricerca IDC nel terzo trimestre dello scorso piazza il produttore di Pechino terzo posto nel mondo, superando addirittura Apple e piazzandosi dietro Samsung e Huawei. E, non occorre ricordarlo, Qualcomm, l’azienda danneggiata è americanissima, con la sede in San Diego, California.
Trump nel suo mandato ha messo fuori mercato Huawei privata dei servizi essenziali di Google, ha bloccato il business americano di ZTE, TikTok e Wechat, piattaforma concorrente di WhatsApp diventata per milioni di cinesi un portafoglio digitale per tutti i pagamenti. Comunque TikTok ha fatto ricorso al Dipartimento di Giustizia e un Tribunale Federale ha liberato la piattaforma di microvideo della società cinese ByteDance. Ovviamente la Casa Bianca è ricorsa in appello.
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La risposta di Xiaomi
L’azienda cinese ha emesso un comunicato che riporta un testo dal tipico linguaggio forense: “confermiamo di non essere di proprietà, controllata o affiliata con l’esercito cinese e di non essere una ” compagnia militare cinese comunista ” definita come ci ha definito l’Ndaa National Defense Authorization Act.
La società intraprenderà le azioni appropriate per proteggere gli interessi dell’azienda e dei suoi azionisti “. Nel frattempo Xiami in cinese “piccolo chicco di riso” rassicura la base utenti, affermando che i servizi di Google saranno conservati interamente sui suoi smartphone.
L’avvento di Biden alla Casa Bianca migliorerà i rapporti con la Cina? Il sentiment che si coglie tra i grandi operatori di telecomunicazioni Usa ci mostra un Biden meno ostile verso i marchi tecnologici cinesi ma di certo le concessioni non saranno tante. Quando si toccano questioni di Difesa Nazionale, la società americana mostra sempre i nervi scoperti.
Lei Jun, lo Steve Jobs di Wuhan da 27,1 miliardi
La storia di Lei Jun, ceo di Xiaomi, nominato uomo d’affari dell’anno nel 2014 da Forbes, patrimonio netto 27,1 miliardi di dollari, sempre secondo Forbes, ha risvolti singolari. Da Jeff Bezos si è ispirato per costruire una libreria online Yoyo.com e da Steve Jobs ha imparato a costruire smartphone. Ma andiamo per ordine.
Si laurea in Computer Science alla Wuhan University. Nel mondo del lavoro Lei inizia a imitare smaccatamente Steve Jobs, sia nell’abbigliamento mininalista all black, sia nell’uso ossessivo delle slide nelle presentazioni, suscitando ilarità e anche critiche severe dai suoi concorrenti. Ma la cultura della Mela Morsicata è la sua passione. Così vende la sua libreria online Yoyo.com ad Amazon e finanzia un centinaio di startup tecnologiche per mettere in piedi il gigante attuale che spazia dai monopattini, alla smarthome, alla telefonia mobile.
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