Se non fosse che Carlos Tavares, 62 anni, a Torino ci passerà ben poche volte, diviso come sarà tra l’ufficio di Amsterdam, quello di Parigi e le tante postazioni di lavoro tra Europa, Stati Uniti e Asia in cui lo reclamano i suoi impegni, il numero uno di Stellantis potrebbe rivendicare il titolo di portoghese più popolare in città. Almeno in questo tempi di magra per Cristiano Ronaldo.
Tavares si è meritato appieno il titolo dopo la convincente esibizione di ieri a Wall Street, in cui ha spiegato le ragioni per cui è pronto a scommettere sulla quadratura del cerchio. Ha parlato di come evitare nuovi tagli al mondo dell’auto, ridotto ai minimi, nonostante la crisi degli impianti, utilizzati a metà, la concorrenza spietata e il progressivo spostamento del focus del gruppo Fiat Oltreoceano.
Che cosa ha detto Carlos Tavares a Wall Street
Come si fa a promettere, date le premesse, il mantenimento dei posti di lavoro e di tutti gli impianti del gruppo? Tavares, che ha dalla sua il precedente di Opel (“Oggi – ha ricordato in conferenza stampa – l’auto di maggior successo oltre il Reno è l’Opel Corsa”) ha spiegato così il segreto del successo:
- Stellantis non mira a diventare più grossa, bensì ad essere davvero great, cioè grande. Un primato che si conquista con le economie di scala e l’innovazione, non certo con il sacrificio di impianti o di lavoratori.
- Saranno proprio le dimensioni, spiega Tavares, a permettere al gruppo di evitare tagli, grazie a un’offerta che presto disporrà di 39 auto elettriche. Una massa che consentirà di rispondere alle richieste del mercato.
- A questo risultato Stellantis arriverà grazie a sinergie tra le varie unità per cinque miliardi di euro, da raggiungere nel giro di quattro anni, per un buon terzo grazie alla politica degli acquisti di componenti.
Il piano di Stellantis
Il ragionamento, naturalmente, tiene se i prodotti sono competitivi per qualità e prezzo. Ma Tavares si è già rivelato un maestro (in Opel, ma anche in Peugeot) nel saper combinare i componenti di un’auto nella maniera più profittevole. “Grazie alla fusione – ripete – le aziende, sorelle o cugine, potranno fare quel che finora non era possibile”. Ovvero, sotto il cofano di un’Alfa (quello che, tra i 14 marchi, ha più bisogno di una terapia, tanto da essere stato affidato a un ex di Peugeot, Jean-Philippe Imparato) presto ci saranno componenti pensati per una Citroën o viceversa, con risparmio sui costi per le economie di scala.
La sfida è senz’altro complessa, come del resto lo sono le prospettive del mercato, chiamato a pagare il maggior costo della lotta all’inquinamento o i problemi sollevati dalla congiuntura. Compresa Brexit. Per non parlare della Cina, dove Stellantis, dopo tanti errori, riparte in pratica da zero. Ma sull’altro piatto della bilancia c’è una governance che dà ampio affidamento: una cabina di regia composta da nove centri di sviluppo delle strategie, che faranno capo al board presieduto da John Elkann.
Insomma, non stupisce il gradimento che i mercati, specie per gli acquisti dei fondi, hanno tributato al colosso guidato dal piccolo portoghese che di domenica spesso traffica con i suoi motori. Solo la pandemia gli ha impedito di partecipare al rally di Montecarlo, sospeso per il Covid-19. Ma l’anno prossimo, assicura, ci sarà. “Non ho fatto il pilota – confessa – perché non ho abbastanza talento”. I soci Stellantis ringraziano.
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