Molto più che una competenza. Fare relazioni e avere una solida rete professionale può essere, per molti, la chiave del successo. Soprattutto nel business. Costruirla, ampliarla, curarla fino a renderla inamovibile è l’obiettivo a cui ambire. Per farlo, ci sono consigli, regole, principi che tutti dovrebbero seguire. Questo, a prescindere dal livello professionale. E per tanti buoni motivi. Una risposta più che valida la offre una delle lezioni della pandemia: durante l’emergenza, le interazioni virtuali sono diventate essenziali sotto ogni punto di vista. Senza dimenticare le insidie dell’iperconnessione, che gli esperti hanno definito come Zoom fatigue. Ne parla il libro Business networking, edito da Dario Flaccovio e scritto da Benedetto Buono, manager e co-fondatore di Eggup.
Non mancano poi l’iper-competizione, l’avvento dell’intelligenza artificiale e la sfida di tutte le aziende: comunicare efficacemente nell’era dell’invasione digitale e del distanziamento sociale. Non è l’unico libro a esaminare il mercato del lavoro attuale, ma è tra i più recenti: analizza casi studio e modelli consolidati, presenta interviste a blasonati professionisti e risponde a una domanda fondamentale: networker si nasce o si diventa? “La risposta sta nel mezzo”, afferma Buono. “Ci sono tratti caratteriali e attributi naturali che contribuiscono a rendere un networker più bravo dell’altro. Come in tutte le cose, però, ci si può lavorare”.
È una questione di soft skill?
Anche. Un esempio riportato nel libro è quello del venditore che, per la natura del suo lavoro, deve saper entrare in contatto e in empatia con l’altro, ma che deve avere anche altre caratteristiche, tipiche del bravo networker. Esistono numerosi sistemi per valutare tali caratteristiche, come il modello dell’intelligenza artificiale di Eggup che analizza le soft skill personali su base scientifica attraverso un questionario. Altri tratti del perfetto networker sono la propensione a raggiungere gli obiettivi, la social intelligence e la gentilezza, che non deve mai mancare.
Che cosa attribuisce valore al network?
La sostenibilità. Uno dei valori aggiunti dei network vincenti è la capacità di dipanare quel valore nel corso del tempo, superando gli anni e le distanze. ‘Your network is your net worth’, dice Porter Gale, perché la tua rete di relazioni è anche la tua fonte di guadagno, al di là di là che tu sia manager o startupper.
Noi che siamo animali sociali lo facciamo nel modo corretto?
Le persone vogliono connettersi tra loro, ma non tutti sanno come farlo. La connessione dipende da tre fattori: cordialità, capacità di coinvolgimento e disponibilità. Questi sono tre elementi che possono contribuire a instaurare una relazione professionale con il piede giusto e a svilupparla nel tempo.
C’è chi dice che le relazioni si costruiscono però lontano dall’ufficio: è d’accordo?
Il network si costruisce fuori dalle ore di ufficio, sì. Io ho capito cosa significasse questa affermazione dopo diversi anni nel business. Se sei un imprenditore, per esempio, le relazioni di valore non si trovano di certo online, su piattaforme anche molto utili come LinkedIn, che comunque sono essenziali da presidiare e dominare. L’unico modo per produrre relazioni di qualità è parlare con gli altri, intessere relazioni che ci possono offrire una finestra su settori anche distanti dal nostro, basate sulle idee e su quello che da quel contatto può nascere.
E in smart-working?
Un concetto primario, valido anche nel lavoro di tutti i giorni, è che non esiste un modo di comportarsi nella sfera virtuale e uno in presenza. È essenziale essere coerenti. Questo è vero tanto a livello di valori quanto nello stile, nella capacità comunicativa.
Il primo consiglio utile per migliorarla?
Scegliere i canali e gli stili più adatti rispetto alle tematiche di cui si vuole parlare. Per sapere come sta la persona dall’altra parte o per parlare di qualcosa che non sia prettamente professionale, una classica telefonata abbatte maggiormente le barriere comunicative e trasferisce calore. La videoconferenza è più adatta se devo entrare nei dettagli di una contrattazione economica. Il canale sarà alleato del nostro personal branding, che si costruisce nel continuo delle nostre azioni, online e offline”.
A parte sui social, in ufficio o alla macchinetta del caffè, dove si costruiscono relazioni di qualità?
Luoghi classici, intesi come luoghi deputati alle relazioni, sono i club istituzionali o le associazioni. Ce ne sono tantissimi, a partire da casi celebri come il Canova Club, riconosciuto come il più importante club professionale per gli addetti alla finanza, che esiste da oltre 40 anni. Ce ne sono altri, come il Club delle Relazioni Esterne, più verticale, per i professionisti delle pubbliche relazioni. E poi le associazioni e i think tank nazionali e internazionali, come l’Aspen Institute Italia presieduto da Giulio Tremonti. Oppure la community di mentoring professionale Mentors4U, lanciata in Italia e oggi la più importante nel suo genere a livello europeo. Sono tutti luoghi virtuali o reali dove costruire relazioni di grande valore. Cito anche i co-working, diventati una tendenza. Talent Garden è la più grande rete professionale di co-working, fondata in Italia da Davide Dattoli, che ha anche firmato una delle due prefazioni del mio libro (l’altra è di Andrea Pietrini, fondatore e presidente di YourGroup).
Lo stesso concetto di co-working, tra l’altro, viene adottato dalle aziende per ripensare i loro spazi.
Proprio così: il modello di co-working sta facendo riflettere le società su quale possa essere il luogo adatto ad accogliere il lavoro del futuro. Ci si allontana gradualmente dal concetto di head quarter, a favore di quello di hub quarter, ovvero di ufficio dislocato e polverizzato sul territorio. Il cambiamento sta nel far incontrare i propri dipendenti sulla base dello scambio e del confronto.
Che cosa ci aspetta dal punto di vista relazionale?
“Credo che il futuro sarà molto grigio. Non nell’accezione pessimistica, però: sarà grigio in quanto incerto, né nero né bianco. Sarà un mix che si equilibrerà nei prossimi anni, facilitato dalla velocità digitale, e sarà pertanto imprescindibile gestire al meglio le relazioni, sia in presenza che da remoto. Questo sarà vero tanto nella sede centrale delle aziende quanto in altre ‘isole’ dove incontrarsi e lavorare.
Esiste un punto in cui il saper fare relazioni incontra quell’equilibrio sottile tra la sfera pubblica e quella privata?
L’ultimo anno ci ha insegnato che i confini sono molto labili. Molti di noi lavorano a casa da diversi mesi. Poco fa uno dei miei bambini ha strillato mentre ero in videochiamata: non tutti hanno la stessa reazione in questi casi. È importante, soprattutto nel contesto storico attuale, dimostrare empatia e flessibilità, oltre a impegnarsi in maniera reciproca a comprendere quali spazi non invadere. Oltre al fatto che la delicatezza e un po’ di tolleranza in più non guasterebbe, in generale. Penso che le aziende dovrebbero organizzarsi con galatei digitali delle relazioni: un bon ton che possa aiutarci a guidare il nostro lavoro. Conosco diverse realtà che stanno già lavorando in questa direzione e auspico possano diventare sempre di più”.
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