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Perché queste tre startup americane stanno puntando con successo sull’alga kelp

Articolo a cura di Chiara Cecchini, inserita da Forbes tra le under 30 più influenti d’Europa e co-fondatrice di Future Food Network

Un super alimento sostenibile, buono e che potrebbe presto popolare le tavole del pianeta. Si tratta del kelp, un termine inglese che si riferisce a una famiglia di alghe brune dal basso contenuto calorico e dal ricchissimo potenziale nutritivo. Ci sono già startup, come Akua Burger, che intendono rivoluzionare il mercato dei sostituti della carne con i suoi kelp burger. Oppure la Burlap and Barrell, casa produttrice del wild icelandic Kelp, una spezia ottenuta attraverso l’essiccatura e la sminuzzatura di alghe coltivate nei fiordi islandesi. La Strong Arm Farm, invece, ha deciso di convertirsi quasi totalmente alla raccolta delle alghe, con un catalogo che offre al momento quattro diverse varietà, tra cui l’alga da condimento Kombu.

Con la crescente sensibilizzazione sull’impatto ambientale del food system, negli ultimi anni si è assistito a una corsa all’oro per trovare nuovi ingredienti che possano essere allo stesso tempo gustosi, nutrienti e salutari sia per l’uomo che per il pianeta. Le proposte in questo senso sono state diverse, dall’ormai familiare e onnipresente soia ai legumi di ogni genere, passando per funghi, semi e verdure. Ma il potenziale veramente rivoluzionario per l’innovazione di questo settore in continua crescita potrebbe risiedere in un ingrediente che finora è rimasto ampiamente inesplorato da parte dei modelli di consumo occidentali.

Il termine inglese kelp si riferisce a una famiglia di alghe brune dal basso contenuto calorico e dal ricchissimo potenziale nutritivo che include un alto livello proteico, minerali come iodio, potassio e zinco, e diverse vitamine. Grazie a queste caratteristiche, la kelp si è guadagnata a pieno titolo un posto nell’olimpo dei superfood, suscitando l’interesse di compagnie in cerca di nuove opportunità di business nonché dei consumatori stessi, come dimostra l’aumento costante della produzione nel corso dell’ultima decade, estendendosi da un epicentro inizialmente radicato in Asia ad una solida presenza anche in Occidente, specialmente negli Stati Uniti. Ma a cosa è dovuta un’espansione così marcata? Facilità di produzione, flessibilità di applicazione e celebrity hype.

Facilità di produzione: il kelp cresce veloce e senza bisogno di cure

Le foreste subacquee di kelp sono soggette a una crescita sorprendentemente rapida (alcune arrivano a crescere addirittura di un metro al giorno), richiedendo un intervento minimo se non nullo da parte del coltivatore e permettendo quindi una bassa interferenza dell’uomo negli ecosistemi in cui abitano. Le coltivazioni di kelp sono inoltre associate a un’impronta di carbonio negativa, assorbendo l’anidride carbonica presente nell’acqua e immagazzinandola in un ambiente protetto quale il fondo dell’oceano per una durata di tempo stimata intorno ai mille anni. Infine, la loro presenza fornisce un habitat naturale a diverse specie acquatiche, permettendo di aumentare la popolosità delle acque circostanti fino al 20% e favorendo quindi il ripopolamento degli ecosistemi e la preservazione della biodiversità marina.

Flessibilità di applicazione: dai mangimi animali, al food per arrivare al packaging sostenibile

L’impatto positivo di queste alghe continua anche una volta raccolte. Nel settore agricolo rappresentano un’ideale fertilizzante naturale grazie all’elevata componente organica, e possono essere integrati nel mangime animale con un effetto sorprendente: sostituendo solo lo 0.4% dell’abituale formulazione del mangime bovino con una particolare varietà di alga kelp, infatti, si riducono le emissioni di metano degli animali di più del 90%. Nel settore industriale, invece, diverse startup stanno esplorando il potenziale di utilizzo della kelp come materia prima per ottenere un’alternativa alla plastica non solo biodegradabile, ma anche edibile, aprendo nuove interessanti prospettive nel campo del packaging sostenibile.  Inoltre, aggiungere una piccola quantità di kelp alla formulazione di alcuni prodotti confezionati permette di aumentarne il periodo di conservazione, riducendo quindi gli sprechi.

Ma anche l’impiego diretto come bene di consumo fornisce innumerevoli spunti e potenzialità: combinando il suo elevato potenziale nutritivo con l’impatto ambientale positivo della sua coltivazione, questa famiglia di alghe potrebbe essere la soluzione per rendere l’intero food system più sostenibile e democratico. Secondo l’Onu, infatti, coltivare solamente il 2% dell’Oceano permetterebbe di sfamare 12 miliardi di persone.

La versatilità di applicazione della kelp a livello alimentare marca un’altro punto a suo favore: si può utilizzare cruda, cotta, come sostituto di pasta e noodles, ma anche ridotta in polvere e trasformata in un condimento – i ristoranti sofisticati di tutto il mondo occidentale hanno già da tempo cominciato a integrare alcune di queste varianti nei loro menù, e tante aziende si stanno affrettando a popolare questo spazio inesplorato per coglierne tutte le potenzialità. Qui tre storie che penso valga la pena conoscere.

Il caso di Akua e dei suoi Kelp Burger

AKUA è una startup americana che vuole utilizzare la kelp per rivoluzionare il mercato dei sostituti della carne. Nata nell’aprile del 2019 dall’incontro tra Courtney Boyd Meyers, giornalista in ambito startup e community builder, e Matthew Lebo, consulente di una non-profit dedicata al training degli acquacoltori, la compagnia si è lanciata in un’intensa fase di R&D iniziale che ha visto la creazione di numerose ricette diverse. Ma a farsi strada verso il mercato sono state solo quelle che permettevano di sfruttare la già presente familiarità del consumatore statunitense con certi tipi di prodotti: prima il classico jerky, poi la pasta a base di kelp, e nei prossimi mesi è programmato il lancio dell’attesissimo kelp burger, le cui premesse sono davvero promettenti. “Chi lo assaggia ci dice che è il miglior hamburger vegano che abbiano mai provato – dicono da Akua – e la parte migliore è che a livello nutritivo è come mangiare un’insalata, ma in una versione molto più divertente e saporita”. Molto importante è anche la qualità certificata del prodotto e la trasparenza sull’origine degli ingredienti, che contribuisce a differenziarlo nettamente da altre varianti presenti sul mercato.

Grazie a questi elementi innovativi, la risposta all’annuncio del prodotto è stata sbalorditiva: il primo round di crowdfunding ha raggiunto il tetto prefissato in una sola settimana e si è concluso con un capitale complessivo di più di 1 milione di dollari, superando l’obiettivo iniziale del 400%.

Il brand Akua è presente in più di 40 negozi negli Stati Uniti e attualmente in trattativa per includere i suoi prodotti nel portfolio di colossi della distribuzione come Costco e Kroger. La compagnia ambisce a un’espansione ancora maggiore e al lancio di nuovi prodotti, puntando a conquistare lo scenario internazionale in contesti B2B e B2C. 

Burlap and Barrel e la spezia coltivata nei fiordi islandesi

Burlap and Barrel è una società benefit basata a New York e fondata nel 2017 dagli amici di vecchia data Ethan Frisch e Ori Zohar. Unendo l’esperienza nel campo del business e funding di Ori al talento culinario e all’esperienza umanitaria di Ethan in Afghanistan, la compagnia si propone come missione quella di portare spezie e condimenti di alta qualità e di origine certificata direttamente dal produttore al consumatore, rimuovendo gli intermediari nel processo e favorendo la sostenibilità finanziaria dei piccoli produttori. L’attuale campionario include più di 40 varietà di spezie diverse provenienti da tutto il mondo e dal profilo gustativo eccezionale, tanto da essere impiegate da alcuni dei migliori ristoranti di tutto il mondo.

Uno dei prodotti di punta è la Wild Icelandic Kelp: ottenuta attraverso l’essiccatura e la sminuzzatura di alghe coltivate nei fiordi islandesi, e processata in una struttura geotermica ad impatto zero, questa polvere rappresenta la soluzione ideale per chi cerca un’alternativa più salutare del sale senza rinunciare ad un sapore profondo e corposo, caratteristica che gli ha valso l’inclusione nella lista delle migliori salt alternatives del New York Magazine nel 2019. Ideale per condire pesce, zuppe e insalate, ma anche per dare una svolta inaspettata alle ricette dolci, la Wild Icelandic Kelp sta collezionando reazioni entusiastiche da parte dei consumatori, tanto che di recente la compagnia ha lanciato una collaborazione con il brand di saponi artigianali TREE*STAR per una linea di saponi ad essa dedicati.

Strong Arm Farm, l’azienda che si è data alla coltivazione delle alghe

Nel 2009, forte della sua laurea in Orticoltura Ornamentale e della sua esperienza lavorativa per diverse fattorie locali, Heidi Hermann decide di fondare Strong Arm Farm, affittando un piccolo appezzamento di terra lungo la costa del Maine e cominciando a coltivare verdure e fiori decorativi da vendere al mercato locale. Questa impostazione standard prende una nuova piega quando, trovandosi all’inizio della stagione e con il raccolto ancora lontano, Heidi decide di provare a vendere un po’ delle alghe raccolte lungo la costa nel tempo libero.

Nata come un escamotage alternativo per provare a garantirsi una fonte di guadagno, questa soluzione ha riscosso un successo sbalorditivo da parte dei consumatori, tanto da costringere Heidi a mettere insieme logo, etichette e packaging nel giro di una sola settimana. Da lì è partito un percorso che ha visto Strong Arm Farm convertirsi quasi totalmente alla raccolta delle alghe, con un catalogo che offre al momento quattro diverse varietà, ognuna con le sue proprietà e occasioni d’uso specifiche.

Tra queste, tra le migliori c’è l’alga Kombu, ideale come condimento in grado di conferire un sapore più profondo e originale a qualsiasi tipo di zuppa. La sua formulazione facilita inoltre la scomposizione delle fibre, agevolandone l’assorbimento.

Degno di nota è anche il modello di business della compagnia, ancora interamente gestita dalla fondatrice in piena autonomia. Il fatto che una singola persona riesca a trarre da soli due mesi di raccolto un profitto che duri tutto l’anno, portando sul mercato un prodotto che allo stesso tempo piace ai consumatori e fa bene all’ambiente, testimonia il potenziale poliedrico del settore e rappresenta senz’altro uno spunto di riflessione interessante.

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