Jeff Bezos Amazon
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Amazon non è immortale. E il declino potrebbe essere già cominciato

I giganti della tecnologia mondiale sono radicati così profondamente nella nostra immaginazione che fatichiamo a concepire un mondo digitale – e non solo digitale – guidato da altri nomi. Le società tecnologiche guidano la classifica delle prime 10 aziende al mondo per valore di mercato e molti commentatori e investitori non vedono alcun motivo per mettere in dubbio il loro dominio. Tra tutte, quella che è cresciuta di più negli ultimi 10 anni è Amazon.

Come scrivevamo un anno fa, la strategia che ha portato a un risultato così straordinario non è basata su un posizionamento competitivo di successo, bensì sul “movimento competitivo”. Un movimento che Amazon applica senza sosta. Nell’ultimo anno, la società ha continuato ad applicare la strategia e ha compiuto una mossa inattesa: l’apertura del primo grande magazzino. Viene da chiedersi se si tratti dell’ennesimo movimento offensivo di Amazon, oppure – per la prima volta – di un movimento difensivo. E la risposta più probabile è la seconda. Non solo: può essere il primo segnale dell’inizio del declino.

Amazon al tramonto?

Sarebbe facile dire che un gigante come Amazon non morirà mai. Ma se cerchiamo di prevedere il futuro utilizzando numeri del passato, la possibilità che possa scomparire, o comunque vacillare, è piuttosto alta. Dal 1970, le aziende che hanno concluso un decennio nella top 10 globale hanno avuto meno di una possibilità su cinque di rimanere in quella posizione nel decennio successivo. Le compagnie petrolifere hanno dominato la lista negli anni ‘70, seguite dalle banche giapponesi negli anni ‘80. Alla fine del primo decennio di questo secolo, le prime 10 aziende rappresentavano il 16% del valore del mercato azionario globale, valore simile a quello delle prime 10 società alla fine degli anni ‘70 e ‘90. In media, le aziende che raggiungono la top 10 salgono di circa 75 posizioni in un decennio, e mediamente perdono circa 60 posizioni nel decennio successivo. I mercati ci hanno abituato a vedere rapidamente crescere dei giganti, ma anche a vederli morire altrettanto rapidamente.

Qualcuno può pensare che Amazon sia diversa dagli altri giganti e la sua capacità di innovazione la renda immortale. Il tasso di crescita delle vendite sulle piattaforme digitali di Amazon, compreso quello di terze parti, aveva iniziato a rallentare prima della pandemia – passando da quasi il 30% all’anno a meno del 20%. Nel secondo trimestre di quest’anno, le vendite online di Amazon sono cresciute solo del 16%, al di sotto delle aspettative degli investitori. Quanto al settore fisico, i negozi Amazon Fresh e Amazon Go sono meraviglie tecnologiche, ma balbettano sul piano dei numeri. Se poi guardiamo Whole Foods, mentre le vendite di molti retailer del settore sono aumentate in maniera poderosa durante la pandemia, le sue hanno invece avuto un incremento impercettibile. Per riassumere, i ricavi totali dei negozi fisici di Amazon nel 2020 sono stati inferiori del 6% rispetto al 2018.

Il titolo, intanto, nonostante l’esplosione del commercio elettronico provocata dalla pandemia e le previsioni di una crescita inarrestabile, è sceso dell’8% rispetto ai massimi del luglio scorso. Guardando il grafico a 5 anni, si vede chiaramente che il titolo è salito ininterrottamente fino ad agosto 2020, dopodiché ha iniziato un movimento laterale. Non cresce più, e questo significa che gli analisti non si aspettano alcuna crescita degli utili. E infatti, per la prima volta, nell’ultima lettera agli azionisti, l’azienda è stata costretta a spiegare perché le vendite crescono più lentamente del passato e, secondo le previsioni, continueranno a rallentare. Nella stessa lettera, Amazon avverte anche che i costi aumenteranno drasticamente per sostenere gli investimenti proprio nel settore fisico, i cui tassi di crescita dovrebbero essere ben inferiori a quelli del digitale.

Qualcuno potrebbe pensare che i numeri sono aridi, si riferiscono al passato e quindi sono poco utili per prevedere un futuro che cambia a velocità stellare. Anche considerazioni di altro tipo, però, lasciano immaginare che le gambe del gigante possano iniziare a indebolirsi. Anche senza considerare un possibile intervento dei regolatori per ridurre le dimensioni monopolistiche di Amazon, considerato sempre più probabile da molti osservatori. 

Efficace, ma poco “divertente”

L’esperienza di acquisto che offre Amazon è elegante e divertente quanto un martello pneumatico. Proprio come un martello pneumatico, infatti, Amazon è costruita per fare una cosa e una cosa sola: fornire la più ampia selezione di prodotti con il massimo livello di convenienza e velocità. Nient’altro. Quando sai che cosa stai cercando, si tratta di uno strumento che funziona in modo (quasi) perfetto.

Tuttavia, noi umani non acquistiamo prodotti solo per soddisfare esigenze chiare e definite. Anzi, facciamo acquisti per scoprire cose nuove, socializzare, divertirci, sperimentare l’effetto piacevole della dopamina. Amazon sembra invece che non abbia alcun interesse a stimolare questo genere di cose. 

I punti ciechi

Prima di morire, Kodak è riuscita a vendere le pellicole e Blockbuster a noleggiare video. Il successo aveva però creato punti ciechi nella loro visione, a causa dei quali non si accorsero di cambiamenti del mercato, della tecnologia e dei comportamenti dei consumatori. È quello che il sociologo degli anni ‘60 Arthur L. Stinchcombe definì “imprinting organizzativo”: un fenomeno per il quale un’azienda che sperimenta un grande successo tende a congelare la sua struttura e la sua strategia per anni, persino decenni.

Lo stesso potrebbe accadere ad Amazon. Jeff Bezos ha detto: “Sappiamo che, nell’attività di vendita al dettaglio, i consumatori vogliono prezzi bassi, e sappiamo che questo sarà vero anche tra 10 anni. Inoltre sappiamo che i consumatori vogliono una consegna veloce e una possibilità di scelta più ampia possibile”. Bezos potrebbe avere ragione, ma è pericolosa l’idea che ciò che ha portato Amazon al successo in passato continuerà a farlo anche in futuro.

Vale la pena ricordare che, negli anni ’90, Walmart bloccò gli investimenti nel commercio elettronico e costruì invece giganteschi supermercati. Un errore per cui ancora si sta leccando le ferite. 

La perdita del fondatore

Le aziende guidate dai fondatori si muovono rapidamente, sono dirompenti. Sono spesso guidate da un senso di missione che proviene dal fondatore stesso. Ed è proprio questo senso di missione nel servire i consumatori – che partiva da Bezos – ad avere fatto la fortuna di Amazon. In queste organizzazioni, il potere di prendere decisioni in favore dei clienti viene spesso spostato in prima linea. Quando però i fondatori lasciano l’azienda – come nel caso di Bezos, che ha deciso di “andare nello spazio” – spesso le decisioni diventano più lente e il processo si fa più lontano dai clienti. L’energia impressa dal fondatore, che vuole far crescere la sua creatura come se si trattasse di un figlio, si affievolisce e viene sostituita da “normali” processi organizzativi che tendono a “ingrassare” l’organizzazione, senza essere di aiuto ai clienti. Le decisioni, una volta prese in prima linea, vengono spinte al centro.

Amazon potrebbe diventare un obiettivo di grandi dimensioni che si muove lentamente, quindi facilmente aggredibile dai concorrenti. Sarà un caso, ma, per la prima volta da quando acquista su Amazon (si noti che si dice “acquista”, non “è cliente”), chi scrive ha dovuto esprimere due settimane fa la sua insoddisfazione per una cosa richiesta, che non avrebbe comportato alcun costo per Amazon, ma che la persona del servizio clienti non era autorizzata a fare. E che, quindi, non è stata fatta.

La perdita degli alti dirigenti

L’uscita di Bezos e la nomina di Andy Jassy come amministratore delegato sono state precedute dall’abbandono di decine di dirigenti di primo piano nei 18 mesi precedenti. Ad aprile, il sito di notizie economiche online Insider ha contato almeno 45 tra vicepresidenti e dirigenti di alto livello che hanno lasciato Amazon dall’inizio del 2020. Il titolo dell’articolo parla da solo: “I più alti dirigenti di Amazon se ne vanno a frotte, citando lo stallo della crescita, stipendi più alti altrove e una cultura difficile”.

Poiché Amazon ha circa 350 vicepresidenti, si tratta di un tasso di turnover superiore al 10%, senza precedenti nella storia di Amazon. Nove dei dirigenti usciti avevano trascorso più di 20 anni in Amazon, altri 11 avevano superato i dieci anni. Questo significa che – in poco più di un anno – Amazon ha subito una perdita equivalente di quasi 450 anni di esperienza di leadership. 

Se a questo aggiungiamo che Bezos più volte – anche in tempi recenti – ha dichiarato che la longevità dei suoi deputy era una delle ragioni principali del successo di Amazon e che una transizione nella squadra di leadership strategica – il famoso S team – avrebbe avuto luogo in modo incrementale, in un lungo periodo di tempo, allora si può capire come questo esodo possa rappresentare un grave indebolimento per il gigante.

La trappola per i brand

Nel 2017 Amazon tenne tre giorni di incontri presso la sua sede centrale di Seattle con i rappresentanti di decine di brand di beni di consumo. A quel richiamo, numerosi marchi – alcuni molto famosi – risposero iniziando a vendere i loro prodotti attraverso le piattaforme di Amazon. Ma c’era un trucco, iniziato già nel 2009.

In quell’anno comparve infatti sul sito del gigante di Seattle una pila che mostrava un nuovo marchio: Amazon Basics. Si trattava del primo marchio di proprietà di Amazon. In pochi anni, le pile Amazon Basics hanno conquistato quasi un terzo delle vendite, superando Energizer e Duracell. Amazon non rilascia dati ufficiali sulle vendite dei prodotti dei marchi di proprietà, e così abbiamo provato ad analizzare il portafoglio di tali prodotti. I numeri sono sorprendenti: oltre 400 marchi che coprono venti categorie, per un totale di oltre 23mila prodotti.

È legittimo chiedersi il motivo per cui Amazon, da una parte, invita i brand a entrare nel suo store digitale e poi crea marchi per competere con quegli stessi brand. E la risposta a questa domanda è semplice. Quando qualcosa viene venduto su Amazon, chi è il proprietario dei dati? E chi possiede la relazione con il cliente? Se avete risposto “Amazon” a entrambe le domande, avete centrato la questione.

Da questa constatazione, e dall’appetito insaziabile del gigante di Seattle per le quote di mercato, si deduce che Amazon utilizzerà i dati sui comportamenti di acquisto dei consumatori per perfezionare la conoscenza delle categorie e dei prodotti preferiti, costruire poi prodotti e marchi propri per vendere nel suo stesso store digitale e in quelli fisici. Avrà così realizzato il più grande capovolgimento di strategia nella storia dei mercati consumer. D’altra parte, la realizzazione del department store andrà in questa direzione. Si tratterà infatti di un punto vendita dedicato principalmente a prodotti di abbigliamento a marchio di proprietà Amazon. E, guarda caso, l’abbigliamento è esattamente la categoria nella quale Amazon ha raggiunto la leadership in termini di quota di mercato. Vendendo solo attraverso il canale digitale è diventato infatti il più grande rivenditore di abbigliamento degli Stati Uniti. Wells Fargo prevede che quest’anno le sue vendite nel settore supereranno i 45 miliardi di dollari.

A cosa porterà tutto questo? 

Negli ultimi anni alcuni tra i brand più riconoscibili al mondo hanno reagito iniziando a correre da soli. Hanno, cioè, abbandonato Amazon. È presumibile che questa tendenza continui in futuro. E questo perché il consumatore che acquista su Amazon non si fa più guidare dalla conoscenza del brand osservato altrove, ma dalle sue esigenze, indipendentemente dal brand. Quasi l’80% dei consumatori che intendono effettuare un acquisto su Amazon ricerca infatti parole che riguardano prodotti generici, senza specificare alcun brand. Digita, per esempio, “spazzolino da denti elettrico” oppure “scarpe da corsa”, invece che “Oral-B” o “Nike”. 

D’altra parte, se i brand più riconoscibili lasceranno Amazon, anche quelli più giovani e le piccole aziende usciranno, o non entreranno mai. E questo perché non è mai stato così facile creare un marchio di successo al di fuori di Amazon. Se da una parte sono ormai disponibili numerose tecnologie e applicazioni per gestire ogni aspetto della vendita online, dall’altra i consumatori desiderano sempre di più la prossimità, cioè acquistare direttamente da brand a loro vicini e indipendenti, attraverso una relazione personalizzata. La quota di consumatori che dichiara di volere “fortemente” acquistare in modo diretto da un brand fisicamente vicino è passata da valori pre-pandemici inferiori al 50% a valori superiori al 70%. E presto arriveranno all’80-90%. Basta ricordare che, nell’ultimo anno, il trend di crescita del cosiddetto local e-commerce è stato di oltre tre volte superiore a quello del non-local e-commerce. Si tratta di una tendenza di lungo periodo presente in tutto il mondo occidentale, legata alla volontà dei consumatori di fare acquisti sempre più sostenibili e di supporto – anche economico – alla comunità in cui vivono.

Se i brand lasceranno Amazon, allora il gigante cesserà di essere Amazon e diventerà Golia: inizierà a vacillare, per poi essere abbattuto dai tanti piccoli Davide che avranno compreso come soddisfare le preferenze post pandemiche dei consumatori.

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