Assistenti virtuali, applicazioni di messaggistica e chatbot stanno progressivamente sostituendo il professionista in carne ed ossa in grado di supportare il cliente. E quando si parla di intelligenza artificiale applicata alle relazioni uomo-macchina, l’accento si sposta inevitabilmente sulla customer experience: quanto è grande il valore che può portare un bot efficace rispetto a uno poco naturale? Botsociety, società fondata da Vittorio Banfi e Stefano Tombolini, attiva nel campo dell’intelligenza artificiale e specializzata in particolare in quello del Conversational AI, conosce bene la risposta. La conosceva sin da quando, nel 2017, il campo era ancora piuttosto inesplorato.
Grazie alla propria tecnologia proprietaria, questa azienda ha creato uno strumento di design per chatbot e interfacce vocali, che consente a professionisti e creativi di tutto il mondo di immaginare, progettare, condividere e testare qualsiasi tipo di interfaccia conversazionale. Chat di supporto all’interno di siti web, applicazioni da integrare con device come Alexa o Google Assistant, interfacce vocali attivate tramite numeri di telefono, comandi pensati per automobili e molto altro.
Oggi la società può vantare oltre 200 clienti, tra cui importanti realtà come JPMorgan Chase, Google, LivePerson, Air France, che in questi anni hanno disegnato oltre 4 miliardi di messaggi. Come è nata questa realtà? Quali sono le frontiere del Coversational AI? In che modo questa tecnologia può supportare un cliente? Tra aneddoti e interessanti spunti per il futuro, Vittorio Banfi, ceo e co-fondatore, ha risposto alle nostre domande.
Botsociety nasce nel 2017 e ottiene immediatamente finanziamenti sia in Italia che in America grazie alla sua proposta differenziante. In cosa consisteva esattamente e qual è l’elemento che ha convinto i primi investitori?
Rispondo con un aneddoto molto esplicativo: agli inizi del nostro percorso ho realizzato quasi per gioco un chatbot per un eCommerce. Dopo averne sviluppato una versione standard ho provato a crearne una versione che si esprimeva in “romanesco”. Svolgevano esattamente la stessa funzione, ovvero rispondere a domande degli utenti sui prodotti in vendita. Rimanemmo tutti molto colpiti nel vedere come la versione in “romanesco” riscuotesse un interesse molto maggiore negli utenti, che iniziarono a porle anche domande slegate dall’e-commerce, chiedendo ad esempio indicazioni sui migliori ristoranti di Roma. Questo “esperimento” ci ha fatto prendere coscienza delle enormi potenzialità, a quel tempo ancora inesplorate, del design applicato ai bot: stesso eCommerce, stessi utenti, ma un’esperienza totalmente differente in base alla personalità espressa dall’intelligenza artificiale. Da qui, la svolta del nostro business e quindi la scelta di costruire uno strumento per creativi senza un background tecnico, permettendo loro di partecipare alla rivoluzione del Conversational AI. Andammo così a valorizzare l’evoluzione del lavoro dei “conversation designer”, fino ad allora estranei al nostro mondo. Un’intuizione che si è rivelata vincente, tanto da portarci a collaborare con realtà importanti come RancilioCube, Boost Heroes e Google, che hanno finanziato i nostri progetti.
Siete stati dei pionieri?
Di fatto sì. Siamo stati veri e propri pionieri in questo campo. Quando facevo i primi pitch agli investitori, dovevo spiegare cosa significava il termine “conversation designer” perché era un ruolo molto raro. Ora, a distanza solo di pochi anni, tutte le grandi aziende americane (da Facebook a JPMorgan Chase), stanno assumendo professionisti per questa posizione. Con il nostro lavoro abbiamo contribuito a tale rivoluzione. Botsociety è uno strumento pensato per loro: designer e creativi di tutto il mondo, che grazie alla nostra tecnologia dall’utilizzo facile e intuitivo, possono concentrarsi sulle proprie idee e declinarle all’interno del campo dell’Intelligenza Artificiale.
A che punto è arrivata l’evoluzione del Conversational AI? Quali sono le frontiere future dell’Intelligenza Artificiale applicata a questo campo?
Attraverso Botsociety abbiamo già creato oltre 4 miliardi di messaggi. Principalmente nel mercato americano, ma si tratta di un trend sempre più globale, come dimostra l’analisi dei nostri utenti: professionisti che provengono da più di 40 paesi, con diversi background e linguaggi.
Appare evidente, studiando lo scenario attuale, che la AI technology cambierà radicalmente il modo e l’approccio al lavoro nei prossimi 10-15 anni, non solo da un punto di vista tecnico, ma soprattutto da un punto di vista umano. Tutto questo è per noi una straordinaria opportunità, siamo protagonisti della trasformazione in atto grazie alla nostra capacità di integrare al meglio le competenze tecnologiche con quelle creative e umanistiche.
In che modo sostenete oggi i vostri clienti?
L’esempio migliore è un progetto che ci ha visto recentemente lavorare con Air France: la compagnia aerea ci ha chiamato per sviluppare un chatbot capace di gestire il flusso di richieste dei propri clienti, automatizzando e semplificando così la gestione ordinaria di customer service.
Durante la prima fase di test ci siamo resi conto che il bot non performava in modo ottimale se soggetto a una tale mole di richieste così diverse l’una dall’altra. Abbiamo quindi ripensato l’intelligenza artificiale in modo da affidargli unicamente la gestione del tema “bagagli”. È stata la svolta che ci ha permesso di ottenere risultati eccezionali, consentendoci di andare addirittura oltre: insieme ad Air France abbiamo lavorato ad altre personalità del bot, ognuna con un proprio design e dedicata ad aree specifiche dell’aeroporto. Integrandole tutte, il risultato è stato un’unica AI che, grazie alla personalizzazione, è in grado di rispondere in modo ottimale alle differenti necessità, esattamente come farebbero dei professionisti “umani” preparati.
Da Roma a San Francisco, per poi reinvestire in Italia, a Milano. Quali sono gli obiettivi di questa contro-delocalizzazione? Perché avete deciso di investire in Italia e sui giovani?
Ci siamo trasferiti a San Francisco perché era l’unica possibilità di toccare con mano il nostro mercato di riferimento e provare ad accedere, come poi è stato con Google, a importanti finanziamenti in ottica di sviluppo. Crescendo abbiamo scelto di mantenere l’headquarter in America e aprire il dipartimento di sviluppo tecnologico a Milano, perché l’offerta di business di Botsociety è certamente più appealing negli Stati Uniti, ma di contro le competenze presenti nel nostro paese sono di altissimo livello e molto apprezzate anche oltre oceano. Investire su giovani professionisti nostrani come “menti” alla base della nostra tecnologia, mantenendo invece qui nella Valley la parte di vendita, marketing, design e prodotto più prettamente di vendita, è stata la logica conseguenza di questa consapevolezza. Il nostro motto è Designed in California, Made in Italy.
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