Il Pil italiano crescerà del 2,5% nel 2022, contro il 3,8% previsto prima della guerra in Ucraina. Un ridimensionamento dell’1,3% frutto soprattutto del livello più basso dei consumi delle famiglie, dovuto in gran parte al rincaro dell’energia e, in misura minore, degli alimentari. Ad affermarlo sono le stime di Prometeia, società italiana di consulenza e ricerca, citate da un report di PwC sugli effetti del conflitto sulla nostra economia.
“Le imprese si troveranno di fronte all’esigenza di selezionare partner anche in base alla loro solidità nel tempo”, ha affermato il presidente e amministratore delegato di PwC Italia, Andrea Toselli. “Dovranno cercare aziende in grado di garantire continuità nella relazione di business. Dobbiamo immaginare un futuro prossimo delle aree di influenza e dei mercati di prossimità, con qualche compromesso sulla profittabilità e i margini. Si dovrà tenere conto di un attore fino a oggi poco considerato nel nostro continente: la sicurezza geopolitica”.
L’aumento dei prezzi, il calo dei consumi
Nel 2021, si legge nel rapporto di PwC, il 77,37% del Pil italiano (1.378,3 miliardi su 1.781,2) derivava dai consumi. Di conseguenza, l’impatto dell’inflazione sui consumi stessi obbliga a ridimensionare di molto le aspettative di crescita per il 2022.
Secondo un rapporto Istat di febbraio, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo in Italia è cresciuto del 6,2% in un anno. Più della metà dell’incremento può essere ricondotta al rincaro dell’energia. I prezzi del gas e del greggio a tre mesi, in particolare, tra marzo e febbraio 2022 sono saliti dell’82,1% e del 22,6% a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Molti – tra cui il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani – hanno affermato che il rincaro è causato anche dalla speculazione.
L’inflazione di fondo, che esclude energia e alimentari freschi, è aumentata dall’1,5% all’1,7%. Quella al netto dei soli beni energetici è passata dall’1,8 al 2,1%. Il cosiddetto carrello della spesa, cioè l’indice che mette assieme i prezzi degli alimentari e quelli dei prodotti per la cura della casa e della persona, ha registrato un aumento del 4,7%.
La riduzione dell’export russo e ucraino ha provocato un forte rincaro anche delle materie prime agricole: +10% in un anno per il grano, fino al 35% in più per i mangimi.
I settori più a rischio
Non sono solo i prezzi di gas e petrolio a salire. Nell’ultimo anno quello dell’alluminio, per esempio, è cresciuto del 63%, al pari di quello del nickel. Quello del palladio è salito del 27%, quello del rame del 12,9%. E per via delle sanzioni potrebbe verificarsi una riduzione o un azzeramento dell’import di questi metalli.
In base alla composizione dell’import dalla Russia, i settori più esposti risultano essere legno e carta, agricoltura, silvicoltura, pesca, prodotti dell’estrazione di minerali, sostanze e prodotti chimici, coke e prodotti petroliferi, metalli e prodotti in metallo.
“Le contro-sanzioni di Mosca”, ha aggiunto poi Toselli, “avranno un impatto sui settori che pesano di più nell’export verso la Russia. È il caso di macchinari e apparecchi, cibo e bevande, tessile e abbigliamento. Parliamo di 7,7 miliardi di euro, cioè l’1,5% dell’export totale del nostro Paese. Alla luce di questi numeri, in ogni caso, non si prevedono, nel complesso, effetti particolarmente negativi”. Il comparto più importante dell’export verso la Russia è infatti quello dei macchinari e delle apparecchiature meccaniche. E il flusso di merci verso Mosca equivale solo al 4,38% del totale dell’export del settore, pari a 49 miliardi.
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