Viviamo in tempi incerti e di nuovi studi sociali, come hanno scritto Anthony Giddens e Ulrich Beck. Con l’intento di richiamare l’attenzione ed evitare il rischio di farsi trovare impreparati in caso di crisi. Gli stessi studiosi hanno sottolineato che gli sviluppi tecnologici avrebbero avuto enormi conseguenze su tutto il mondo. Questa consapevolezza, già diversi anni fa, è stata acquisita dalla Nato, tanto che le aree di investimento sono cambiate in base alle nuove sfide che avrebbero definito la nostra società e quella futura, in tempo di pace o in tempo di guerra.
L’Italia ha seguito le direttive Nato e, attraverso le compagnie di bandiera, si è affermata nei settori dell’industria militare, ma non ancora in altri settori strategici, come quelli che caratterizzano il cosiddetto scenario ibrido. Solo qualche mese fa è nata l’Acn (Agenzia per la cybersicurezza nazionale), mentre lo Stato maggiore della Difesa, già nel 2017, grazie al generale Graziano, inaugurava il Comando interforze per le operazioni cibernetiche, che avrebbe raggiunto il pieno delle capacità sotto la guida del generale Vecciarelli.
L’importanza della comunicazione strategica
C’è un altro settore, però, in cui ancora l’Italia non ha mosso passi significativi: quello della stratcom (stretegic ommunication). Questa tematica complessa, che richiede un approccio multidisciplinare, ha le sue radici alla fine del ‘900, ma si colloca nello scenario ibrido in cui i conflitti hanno una connotazione diversa rispetto a quelli del secolo scorso. A riconoscerne la rilevanza, nel 2014, è stata proprio la Nato, che ha dato vita allo Stratcomcoe a Riga. Così come, ancor prima, aveva creato altri centri di eccellenza, come quelli cyber (Ccdcoe, 2008), sul terrorismo (Dat, 2005), sulle attività humint (Hcoe, 2004).
La guerra in Ucraina rappresenta il perfetto laboratorio di applicazione di queste sfide. Anche noi, senza volerlo, e a migliaia di chilometri di distanza, veniamo coinvolti in modo diverso rispetto ai vecchi conflitti. Non siamo più spettatori, ma protagonisti. Entriamo nel conflitto grazie alle piattaforme digitali e, tramite la rete, contribuiamo alla divulgazione di fake news, collaboriamo nelle strategie di influenza, decidiamo le sorti politiche del nostro Paese.
Fattori preoccupanti, importanti, decisivi, che non si possono tralasciare. E che si traducono in azioni concrete. Pensiamo al proselitismo di volontari che combattono al fronte perché influenzati da una narrativa strategica, da tumulti di piazza generati da una comunità integralista nata in rete, da scelte elettorali pilotate grazie a fake news elaborate in paesi stranieri e divulgate attraverso bot. Solo ora in Italia si inizia a parlare, timidamente, di stratcom, senza divulgarne però la rilevanza e le possibili conseguenze. Questo potrebbe comportare il rischio di perdere una battaglia determinante per l’esito della guerra.
La comunicazione strategica in Cina
Oltre alla Nato, anche la Cina ha capito l’importanza della comunicazione strategica e ha aumentato gli investimenti nel settore. L’ultimo rapporto stratcom (aprile 2022) sulla manipolazione attraverso i social network (settembre-novembre 2021) mette le piattaforme cinesi al primo posto per attendibilità. TikTok, nello specifico, avrebbe reagito velocemente quando si è trattato di cancellare fake news. Solo dopo lo avrebbero fatto, in ordine di tempo, YouTube, Twitter, Instagram e VKontakte. Ulteriore conferma arriva da una nota degli amministratori di TikTok e WeChat, che hanno dichiarato la volontà di non divulgare contenuti sul conflitto ucraino nel territorio cinese e nelle aree satelliti. Diversamente, però, almeno secondo il NewsGuard, la Cina starebbe sostenendo, attraverso i suoi megafoni sparsi nel mondo e grazie agli strumenti digitali occidentali (Facebook, ad esempio), la narrativa russa sulla guerra. Una strategia che vede una sola fonte – la Repubblica Popolare Cinese – e una sola direzione: da Pechino verso il mondo e mai viceversa.
Un altro dato importante ci arriva dall’ultimo documento pubblicato dal ministero della Difesa cinese, che indica, alla voce informazione e comunicazione, lo sviluppo di ben 24 programmi, nel biennio 2019-2020, da realizzare con le università e le industrie del mondo militare. Il dossier afferma che il ministero continua a divulgare l’etica militare, a rafforzare il patriottismo, a consolidare un senso di unità e ad affermare il valore fondamentale alle domande: “Per chi combattiamo? E perché combattiamo?”. Vengono promossi corsi di formazione nelle accademie e nelle scuole militari, nelle forze armate, nelle forze di riserva e nelle altre strutture educative vicine al mondo della difesa. Questo avviene attraverso canali di propaganda come Youth Daily News, Military News Agency, Voice of Han Broadcasting Network, la pagina Facebook del ministero della Difesa e altri nuovi media digitali pronti a ospitare, ad esempio, eventi commemorativi.
Le due direttrici di Pechino
La strategia interna del ministero si sviluppa in due direttrici. La prima è la propaganda per l’empowerment. Gli impegni di propaganda delle forze armate sono rivolti ai soldati in servizio, ai dipendenti e ai riservisti e servono soprattutto a “fare rispettare la Costituzione, fare aderire al patriottismo, garantire la lealtà e la fedeltà e realizzare la nazionalizzazione delle forze militari”. I contenuti della propaganda possono fondersi con le richieste politiche, le missioni, l’atmosfera sociale, gli eventi e gli sforzi della politica di difesa. Devono essere diffusi attraverso episodi tv di Juguang Park, attraverso sessioni di formazione, incontri mensili e seminari accademici (forum, dibattiti), con news e contenuti foto/video. Inoltre, il ministero continua a sostenere eventi commemorativi per trasmettere i valori militari consolidati e il senso dell’onore, promuovere un senso di unità, sollevare il morale, rafforzare la forza mentale e descrivere il mandato affidato alle forze armate cinesi.
L’altra direttrice è il contrasto alla guerra psicologica nel Paese. A questo scopo il ministero della Difesa si avvale della ricerca e dell’innovazione: sfrutta i big data, compie analisi politiche ed economiche e applica teorie di altre discipline. Trasmette poi i risultati attraverso videoclip o materiale di propaganda, in modo da consolidare la “difesa mentale” della gente. In ambito militare Pechino continua a promuovere l’immagine della struttura militare come robusta ed efficiente, per rafforzare la fiducia del suo popolo ed esorcizzare i timori per una possibile guerra. Tutti elementi che lasciano intendere che anche a Pechino la comunicazione strategica ha un ruolo sempre più centrale.
Michele Zizza è professore di culture digitali e social media all’università di Viterbo
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