All’ultima asta di Bonhams di memorabilia spaziali, l’attenzione di tutti era concentrata su una scatola di plastica trasparente con cinque cilindretti in alluminio contenenti 0,2 grammi di polvere lunare. Era il pezzo forte dell’asta ed è stato venduto a poco più di mezzo milione di dollari.
Che cosa rende la polvere tanto preziosa? Non si tratta di un materiale raro, visto che la Luna ne è ricoperta. Certo non è facile andarla a raccogliere, ma gli astronauti del programma Apollo ne hanno portati a casa 382 chili, ai quali vanno aggiunti i pochi etti raccolti, più o meno in contemporanea, dalle sonde sovietiche della serie Luna e i circa 2 chili acquisiti nel dicembre 2020 dalla missione cinese Chang’e 5.
Il materiale lunare, però, non è in vendita e i piccoli contenitori andati all’asta rappresentano l’unica offerta di polvere di Luna sul mercato. Per di più è una polvere “storica”: era rimasta imprigionata nel tessuto della borsa utilizzata da Neil Armstrong, il primo uomo che ha camminato sul nostro satellite, proprio per raccogliere campioni di materiale lunare.
Torniamo al luglio del 1969: temendo che la permanenza degli astronauti di Apollo 11 potesse essere interrotta da qualche emergenza, ad Armstrong era stato chiesto, appena sceso dalla scaletta, di dedicarsi alla raccolta dei campioni. A questo scopo gli era stata fornita una contingency bag, una piccola borsa con la scritta “Lunar sample return” che poteva essere inserita nelle capaci tasche della tuta per l’attività all’esterno del Modulo lunare. La borsina, identificata con un numero stampato all’interno, era destinata a una prima frettolosa raccolta, poi, se tutto fosse andato bene, il resto dei campioni lunari sarebbe stato messo in altre cassette da chiudere ermeticamente.
Così in effetti avvenne: Armstrong e Buzz Aldrin raccolsero 21,3 chilogrammi di materiale lunare, la cui analisi dimostrò che la Luna è un pezzo di Terra.
Le successive missioni rimpinguarono il bottino fino ad arrivare a circa 382 chilogrammi di rocce e polveri, buona parte dei quali sono ancora sigillati e vengono conservati lontani da contaminazioni terrestri all’interno del Lunar Sample Building, nel Lyndon B. Johnson Space Center di Houston. Il resto dei campioni lunari ha preso strade differenti: la maggior parte è stata distribuita in sessanta laboratori in tutto il mondo, con l’accordo che quanto non risulti distrutto durante le analisi debba essere rimandato alla Nasa.
Altri reperti sono esibiti nei musei, oppure vengono prestati per eventi di particolare rilevanza. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, per esempio, ha voluto un sasso lunare da mettere in bella mostra nello studio ovale. In più, mezzo secolo fa, la Nasa ha fatto omaggio di frammenti di Luna a capi di stato, ospiti importanti e ai suoi ingegneri che andavano in pensione.
Tutto questo per dire che, secondo la visione dell’ente spaziale americano, i campioni lunari possono essere studiati, mostrati al pubblico o regalati, ma non venduti.
Quando alla Nasa si sono accorti che le famose scatolette omaggio erano state messe all’asta, è scattata l’operazione di ricerca e recupero, perché l’ente ha sempre sostenuto si tratti di materiale di proprietà del governo. Questo vale anche per gli astronauti lunari, che possono conservare i ricordi delle loro missioni Apollo, ma non venderli, pena imbarazzanti cause in tribunale sempre concluse a favore dell’agenzia.
Regola, tuttavia, che non vale quando è la Nasa a commettere degli errori madornali. È successo nel 2015, quando Nancy Lee Carlson, una avvocatessa di Chicago con la passione per la storia dell’astronautica, ha acquistato all’asta una borsa con la scritta “Lunar Sample Return” che, nel catalogo, era attribuita alla missione Apollo 17. Occorre aggiungere che non era la prima volta: la borsina era stata già messa in vendita nel 2014, dalla stessa piccola casa d’aste che agiva per conto dello Us Marshall’s Service. In quell’occasione era stata presentata per ben tre volte senza ricevere alcuna offerta.
Una volta acquisita la borsa (costata 995 dollari), la signora pensò di mandarla alla Nasa per ottenerne un certificato di autenticità. Non poteva sapere avrebbe dato inizio a una saga spaziale: alla Nasa verificarono il numero all’interno e riconobbero subito il contenitore per la raccolta di campioni lunari usato da Armstrong, del quale si erano perse le tracce a seguito di un furto di materiale al Kansas Cosmosphere and Space Center nel 2003. Una volta recuperata la refurtiva, l’oggetto era stato erroneamente catalogato come parte del corredo dell’Apollo 17 (che però non aveva questo tipo di contenitori).
La Nasa chiese subito la restituzione del reperto ma la signora, che aveva capito di avere avuto un colpo di fortuna incredibile, non volle sentire ragioni: aveva partecipato a un’asta legale e quindi l’oggetto era di sua proprietà. Si finì in tribunale e in questa occasione il giudice diede ragione a Nancy Lee Carlson, che recuperò la borsa e, nel 2017, la mise all’asta da Sotheby’s vendendola per 1,8 milioni di dollari.
La Nasa aveva però trattenuto la polvere, che era attaccata al tessuto (era stato grazie a quella che aveva capito, al di là di ogni dubbio, si trattasse del materiale dell’Apollo 11) e non era intenzionata a restituirla. Risultato? Una seconda causa intentata e una seconda vittoria in tribunale di Carlson.
I cilindretti in alluminio messi all’asta da Bonhams contengono proprio quegli 0,2 grammi di polvere lunare restituiti alla signora. Le offerte si sono fermate a 504.375 dollari, meno di quanto gli esperti avessero stimato, ma pur sempre una cifra che fa della polvere selenica uno dei materiali più costosi sul mercato.
Sarebbe tuttavia sbagliato pensare valga la pena di organizzare una missione lunare per raccogliere materiale con la prospettiva di metterlo in vendita a 2,5 milioni di dollari al grammo. Non stiamo parlando polvere qualsiasi, ma di quella riportata a casa dal primo uomo che ha camminato sulla Luna. Ed errori della Nasa a parte, è improbabile si torni ancora a vendere un pizzico di storia.
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