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Chi è il curatore italiano nominato direttore delle piattaforme espositive della fiera d’arte contemporanea più importante al mondo

Vincenzo de Bellis è stato recentemente nominato director, Fairs and Exhibition Platforms all’interno di Art Basel, la fiera d’arte contemporanea più importante al mondo, che da poco ha aggiunto Parigi alle sue storiche edizioni di Miami, Basilea ed Hong Kong. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere con lui alcuni momenti importanti della sua carriera che lo hanno visto dal 2012 al 2016 come Direttore Artistico alla guida di Miart, la fiera internazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Milano. Durante il suo mandato, la manifestazione è passata dall’essere una vetrina regionale di 90 espositori ad una piattaforma di livello internazionale di 180 gallerie, inserita in un vivace programma cittadino di eventi culturali sotto l’insegna della Milan Art Week.

Negli ultimi sei anni è stato poi Curatore e Associate Director of Program del Visual Arts al Walker Art Center di Minneapolis. Gli abbiamo chiesto come è cominciata la sua carriera, figlia di un percorso che è partito dal basso per condurlo alle vette del sistema dell’arte contemporanea internazionale.

“La mia prima esperienza nel mondo dell’arte è stata quella alla guardiania alla Fondazione Prada giovanissimo, episodio ormai entrato nella leggenda. Devo la mia formazione curatoriale più concretamente a Giacinto di Pietrantonio, allora direttore alla GAMeC di Bergamo, che mi ha dato una visione di quello che è il curatore: una persona capace di vedere il dialogo fra cose apparentemente lontane. Giacinto è una persona aperta che ti mette nelle condizioni di mettere alla prova le tue capacità”.

Quando diciamo di un percorso partito dal basso, parliamo di un cammino che de Bellis si è costruito da sé. Un ruolo importante ha ricoperto la direzione di Peep-Hole, un centro no-profit ubicato nella sede della storica fonderia Battaglia a Milano, che ha diretto dal 2009 al 2016 accanto all’attuale moglie Bruna Roccasalva. Si tratta della prima esperienza che mi ha fatto capire l’importanza della managerialità nel mondo dell’arte, in cui accanto all’ideazione di un progetto è sempre necessario considerare i vincoli economici ed organizzativi che determinano in positivo e negativo la natura dei progetti culturali”.

MiArt è stato il primo ruolo importante che gli ha dato contatti e la possibilità di mettere alla prova le sue qualità relazionali e manageriali sino all’approdo al Visual Arts del Walker Art Center di Minneapolis, dove è passato in breve tempo dal ruolo di semplice curatore a quello di Associate Director of Program, un direttore dotato di funzioni manageriali.

Qual è la tua definizione del tuo modo di essere curatore?

“Per me la professione del curatore è basata sul seguire ed inseguire gli artisti. Seguire che perché non conosco un altro modo di curare che non sia mettere l’opera al centro della mostra – e attraverso l’opera quindi l’artista – in progetti in cui sono le opere a guidare l’allestimento e non la visione del curatore. Inseguire perché penso che un bravo artista non si faccia mai prendere e l’inafferrabilità resta la chiave di un rapporto di accrescimento continuo che è la ricerca”.

Ci racconta dell’ultimo progetto che ha curato al Walker Art Centre di Minneapolis, mostra dedicata al compianto Jannis Kounellis. Ci spiega che siccome l’artista di origine greca è scomparso durante il progetto, ha dovuto cambiare l’allestimento: se prima doveva concentrarsi sulla parte performativa della sua ricerca ancora capace di impattare con il presente, dal dialogo con gli eredi e con la Fondazione che ne gestisce il testamento culturale, la mostra è divenuta un progetto suddiviso in nuclei tematici, come il viaggio, la lingua, il frammento, la natura, la musicalità e il ritorno, che Jannis sentiva come punti fondanti del suo percorso.

In rapporto ai curatori delle generazione precedenti, il tuo approccio alla professione ti ha visto lavorare a tuo agio nel settore delle fiere e in quello commerciale come nei musei, alla cura di mostre di fondazioni private, in festival itineranti e nomadi. È questa la chiave del tuo successo?

“Mi sono sempre sentito un outsider, e ho scelto di volta in volta quelle che erano le opportunità più interessanti ai fini della costruzione di un’esperienza professionale seria, in modo sempre libero e aperto. A me quello che piace quando assumo un nuovo incarico è provare a ripensare le vecchie formule in modo sempre nuovo e adatto ai tempi. Oggi non si può negare che il sistema dell’arte sia basato sull’interdipendenza fra funzioni commerciali e culturali che si sovrappongono costantemente le une alle altre: in altre parole non si può negare che il museo con le sue mostre impatti sul mercato, mentre le gallerie oltre a vendere fanno anche cultura.”

Come riassumeresti il tuo approccio alla progettazione culturale?

“Pragmatico. Un progetto deve avere un budget, che costituisce un vincolo, e un impatto sul territorio e sugli stakeholder, che è un obiettivo necessario. La pragmaticità oggi è imprescindibile dall’approccio curatoriale, in cui è innegabile che i fattori macroeconomici impattino sui progetti concettuali”.

Soprattutto durante i sei anni di lavoro negli Stati Uniti hai mai sentito di avere un approccio ‘italiano’ alla professione di curatore?

“L’italianità per me è quella profondità storica con cui affrontiamo l’osservazione dell’opera e dell’artista. Il passato non deve essere la chiave di lettura di un lavoro, che deve vivere in un rapporto dialettico costante con il presente”.

Quale sarà il tuo ruolo all’interno di Art Basel?

“Il mio compito sarà supportare Marc Spiegler nella realizzazione dei progetti di Basel: opererò come supervisore dei quattro direttori delle quattro fiere internazionali di Miami, Basilea, Parigi, Hong Kong. Accanto a questo compito, come direttore delle piattaforme espositive, dovrò individuare formule innovative con cui Art Basel potrà espandersi sul territorio con progetti internazionali dotati di una forte interconnessione con le più stimolanti scene artistiche locali. Spero che la mia professionalità possa aiutare il mondo dell’arte ad adattarsi alle condizioni macroeconomiche del presente, che imporranno certamente un ripensamento del sistema sulla base di una maggiore sostenibilità, economicità delle risorse e lungo la direzione dell’implementazione della digitalizzazione”.

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