Articolo tratto dal numero di settembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati!
Sembra una moda, o meglio dire un trend. Eppure l’employer branding è un investimento per tutte le aziende, piccole, medie o grandi che siano. Oltre che un modo per sopperire al problema dello skill shortage, ossia la carenza di competenze e di profili qualificati con cui le imprese si trovano a fare i conti molto spesso.
Per capire perché è importante attuare una strategia di employer branding ci siamo confrontati con Daniele Maselli, sales manager, e con Cristina Serafini, digital communications & employer branding advisor, entrambi di Cesop Hr Consulting Company, una tra le più importanti società in Italia nel settore delle fiere del lavoro e player nella consulenza strategica aziendale in ambito risorse umane sull’employer branding.
“Con il calo demografico e le diverse aspettative dei giovani nei confronti del lavoro post pandemia, oggi le aziende sono in forte competizione tra loro per attrarre i migliori talenti”, spiega Maselli. “Inoltre, da tempo tendono a creare relazioni autentiche con il proprio pubblico attraverso uno storytelling che aggiunga valore all’organizzazione come luogo di lavoro. In tal senso l’employer branding, che mutua aspetti del branding e del marketing applicandoli al mondo hr, risponde a più funzioni. Incrementa, infatti, le opportunità di business e attiva un dialogo positivo con gli stakeholder, interni ed esterni. Una strategia di employer branding aiuta le organizzazioni a essere conosciute e attrattive per trovare le persone giuste e a rispondere a grandi commesse senza far calare i fatturati”.
Come ogni leva di business, anche l’employer branding richiede investimenti: “Una strategia costruita e progettata intorno al vero purpose dell’azienda, per fare davvero la differenza nel medio e lungo periodo, ha bisogno di tempo e risorse adeguate”, precisa Maselli. E questo anche “per rafforzare l’engagement e aumentare la retention di chi è all’interno dell’organizzazione”.
Complice la pandemia e il profondo cambiamento nel mondo del lavoro, l’employer branding si è dunque trasformato da attività marginale in strategica. “Le aziende si sono dovute spostare sempre più sui canali digitali e si sono attivate con campagne di hr digital communication per raccontare la loro proposta di valore e intercettare i candidati”, dice Maselli. “Inoltre non è più solo l’azienda che seleziona i propri candidati, ma sono loro a scegliere il miglior posto di lavoro tra le opzioni possibili”.
Le imprese puntano quindi sullo storytelling, cogliendo le opportunità della comunicazione digitale combinate con la digitalizzazione dei processi hr. Il che significa che “utilizzano il giusto linguaggio e i canali idonei per intercettare il pubblico di riferimento”, aggiunge Maselli. “Oggi le aziende ci chiedono supporto per la loro strategia di employer branding integrando strumenti digitali a eventi in presenza, e questo facilita l’employee experience dei candidati. Quanto più la comunicazione è autentica, tanto più i candidati capiscono se c’è una perfetta adesione tra ciò in cui credono e i valori dell’azienda”. Un racconto che non è autentico, infatti, rischia un disallineamento con candidati e nuovi assunti. “Mina la reputazione delle aziende, che in tempi brevi si ritroveranno in crisi. Le troppe recensioni negative dei lavoratori possono infatti vanificare gli sforzi compiuti nella comunicazione”.
Ma l’employer branding è solo per le grandi aziende? “Tutte, indipendentemente dalle dimensioni, possono attuare questa strategia. La trasformazione digitale ha permesso anche alle pmi di raccontarsi come luogo di lavoro”, spiega Serafini. “Oggi, grazie a strumenti digitali nativi come il sito corporate, il blog aziendale e i social, si possono creare molti contenuti. In questo modo le pmi possono mutuare strategie dai grandi player del mercato. Anche se devono sempre concentrarsi sulla propria employer value proposition per mostrarsi uniche e attrattive, guardando all’investimento pubblicitario per avere maggiore visibilità. In Cesop affianchiamo i clienti accompagnandoli in tutti gli step della strategia: lavoriamo a stretto contatto con i team hr, marketing e comunicazione per creare progetti multicanale e li supportiamo nello sviluppo di un employer branding che possa declinarsi sui vari canali, online e offline, per raggiungere gli obiettivi di brand awareness e attraction”.
C’è un modo per far sì che la strategia di employer branding sia efficace? Secondo Serafini, la differenza consiste “nella raccolta delle informazioni, un mix di dati che deriva da indagini interne e analisi esterne all’azienda. Gli analytics, anche in ambito risorse umane, sono alla base delle strategie. L’azienda, quindi, deve prima comprendere com’è percepita dai suoi collaboratori e manager analizzando le best practice e i valori che le riconoscono, attraverso sondaggi e indagini sul clima interno. Solo dopo, come secondo step, deve analizzare com’è percepita all’esterno, dal pubblico al quale intende rivolgersi, per attrarlo. Una volta raccolte ed elaborate queste informazioni, si passa alla creazione dell’employee value proposition, il cuore della strategia. A questo punto, l’azienda è pronta a comunicare sul mercato al suo target di riferimento, utilizzando i canali e il linguaggio più adeguati”.
L’employer branding si avvale di diversi strumenti operativi, come la pagina ‘lavora con noi’ del sito aziendale, il video storytelling, i programmi di advocacy e ambassadorship in cui si coinvolgono i dipendenti che diventano dei propri ambasciatori dell’azienda e ne condividono all’esterno i valori e le caratteristiche principali. Il tutto “sfruttando le possibilità di LinkedIn e gli open day aziendali”. Altri strumenti sono “gli incontri di lavoro, le fiere del lavoro in presenza e virtuali, le presentazioni in università, sfide e gamification, incontri con i giovani, durante gli hackathon. Investire nell’employer branding”, conclude Serafini “significa avere lo sguardo rivolto al futuro”.
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