L’8 aprile Elon Musk scriveva su Twitter: “Tesla potrebbe essere costretta a entrare nel settore dell’estrazione dei minerali e della raffinazione, direttamente e su larga scala, a meno che i costi non diminuiscano”. Non precisava, però, di averne già parlato per mesi con la più grande compagnia mineraria del mondo.
Secondo il Financial Times, che cita due fonti vicine alla trattativa, tra il 2021 e la primavera 2022 Tesla avrebbe valutato l’acquisizione di una quota tra il 10 e il 20% di Glencore, società svizzera da 204 miliardi di dollari di ricavi. L’operazione sarebbe servita a Musk per assicurarsi le materie prime necessarie alla produzione di batterie per le sue auto elettriche. Soprattutto il nichel, il litio – che oggi costa circa otto volte di più rispetto all’inizio del 2021 – e il cobalto, di cui Glencore è primo produttore mondiale.
Tesla-Glencore, l’affare mancato
Già due anni fa Tesla si era accordata con Glencore per la fornitura di cobalto alle sue fabbriche di Shanghai e Berlino. A marzo l’amministratore delegato del gruppo svizzero, Gary Nagle, ha visitato anche lo stabilimento di Tesla a Fremont, in California. Alla fine la trattativa, secondo le fonti del Ft, è fallita. Rimane però indicativa della strategia scelta da Tesla per risolvere il problema delle forniture di materie prime: andare alla fonte e diventare autosufficiente.
Il piano è dimostrato anche dal progetto di un impianto per la raffinazione dell’idrossido di litio nel sud del Texas, confermato in una recente videoconferenza con gli investitori dallo stesso Musk. La costruzione dello stabilimento, come spiegava il Ft in un articolo di qualche settimana fa, presenta molti rischi, perché il processo di raffinazione del litio è complesso e molto lontano dalle attività tradizionali dell’azienda. Potrebbe essere indispensabile, però, per raggiungere l’obiettivo dei 20 milioni di auto elettriche vendute fissato per il 2030.
Il collo di bottiglia
La società di ricerca E Source ha calcolato che la scarsità di materie prime farà aumentare il costo di produzione dei veicoli elettrici del 22% tra il 2023 e il 2026. “Manca il litio e mancherà sempre di più”, ha detto il vicepresidente della divisione batterie di E Source. “E senza estrarre litio, non si possono fare le batterie”. Mentre negli stessi giorni Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, ha previsto che una carenza di batterie colpirà l’industria automobilistica entro il 2025 e potrà diventare il nuovo collo di bottiglia che frenerà l’adozione di massa dei veicoli elettrici.
In primavera Tesla ha fatto sapere di avere accordi con 12 aziende per la fornitura di materie prime per le batterie. Il litio viene dalle cinesi Ganfeng e Yahua e dalle americane Livent e Albemarle. Glencore – che non estrae litio, ma ha iniziato a commerciarlo – fornisce cobalto non solo a Tesla, ma anche a Bmw, a General Motors e a produttori di batterie come Samsung Sdi e Sk Innovation.
La grande corsa al litio
Già nel 2018 Gavin Montgomery, direttore per il mercato dei metalli di Wood Mackenzie, diceva alla testata specializzata Mining Journal: “Sempre più spesso vediamo case automobilistiche che negoziano per la fornitura [di litio, nichel e cobalto] direttamente con le compagnie minerarie”. Montgomery pronosticava anche che alcuni grandi produttori di auto avrebbero “tirato fuori il libretto degli assegni e comprato quote di miniere o nuovi progetti minerari per assicurarsi forniture future”.
La prima a farlo è stata la cinese Great Wall Motor Company, che nel 2017 ha comprato una quota del produttore di litio australiano Pilbara Minerals. A gennaio 2018 Toyota Tsusho, ramo del gruppo Toyota, ha acquistato il 15% di Orocobre (oggi Allkem), un’altra società australiana del litio. Poi, dopo tre anni di vuoto, dall’inizio del 2021 operazioni del genere sono diventate la norma. A luglio la società di ricerca Fitch Solutions segnalava 21 investimenti in un anno e mezzo, compiuti da aziende come Bmw, Gm, Tesla, Stellantis, Renault, Toyota e Ford. 16 sono legati al litio, che nel 2030 vedrà l’80% della domanda arrivare dall’industria automobilistica.
Il tentativo di Tesla di entrare in Glencore, però, resta unico. Le case automobilistiche, come spiega il Ft, investono in genere in compagnie minerarie in fase iniziale. Nessuna aveva provato a comprare una quota di una società delle dimensioni di Glencore, che nel 2021 ha fatturato il quadruplo di Tesla e più di tutte le case automobilistiche tranne Toyota e Volkswagen.
La contraddizione
Due fattori, dice il Ft, hanno frenato le trattative tra Tesla e Glencore: Musk non era convinto di entrare come socio di minoranza e temeva che il business dell’estrazione di carbone, tra i principali del gruppo svizzero, fosse incompatibile con gli obiettivi ambientali della sua azienda.
Anche lo studio di Fitch Solutions sottolinea che possedere quote di compagnie minerarie è in contraddizione con gli obiettivi di sostenibilità e decarbonizzazione dichiarati dalle case automobilistiche. L’industria del nichel, per esempio, consuma enormi quantità di energia e l’accesso ai metalli sottoterra può provocare deforestazione. Per ottenere una tonnellata di litio, poi, occorrono due milioni di litri d’acqua. L’estrazione può lasciare senza acqua le regioni più aride o inquinarla con composti chimici e metalli. Gli ambientalisti hanno contestato diversi progetti in Argentina, Cile, Australia, Germania e Portogallo. Quest’anno, con il sostegno di Novak Djokovic, hanno spinto il governo serbo a cancellare un contratto da 2,4 miliardi con la multinazionale anglo-australiana Rio Tinto.
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