Articolo tratto dal numero di novembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati!
In un contesto condizionato dall’incertezza economica, l’accelerazione digitale e tecnologica rappresenta una via essenziale di crescita e visione strategica per le aziende di tutto il mondo, sempre più attente alle opportunità offerte dall’online e dalle novità della pubblicità digitale. Settore che sta conquistando quote di mercato, garantendo un vantaggio competitivo sostanziale alle aziende. Non è un caso se, in momenti passati di instabilità, le imprese che hanno continuato a investire in pubblicità online hanno aumentato le vendite, a scapito di quelle che hanno invece deciso di ridurre il budget. Tendenza che, sommata al numero esiguo di player con cui competere, sta aumentando la consapevolezza su una dinamica del settore: una spesa rilevante e costante in digital advertising si traduce in un miglioramento in termini di awareness, performance aziendali e vantaggio competitivo. Sia in fase di crisi che in fase di sviluppo, come racconta Ilaria Zampori, general manager Italia e Spagna di Quantcast.
Come sta reagendo il mercato pubblicitario all’attuale momento di incertezza economica?
Durante i periodi di fragilità finanziaria, di solito i budget destinati al marketing sono i primi a essere tagliati. Lo dimostra il fatto che la risposta immediata di molti chief marketing officer potrebbe essere quella di moderare gli investimenti sulle attività storicamente difficili da dimostrare, come il brand marketing. Si dà invece priorità alle campagne per incrementare e consolidare le performance. Durante la crisi del 2008, per esempio, l’industria pubblicitaria ha subito globalmente una contrazione tra il 13% e il 27%, a seconda dei diversi studi.
Qual è la strategia che i brand devono intraprendere perché il loro messaggio sia comunque recepito in un momento storico così difficile?
Di sicuro devono continuare a investire per mantenere la propria posizione e assicurarsi di essere presenti sul mercato. L’obiettivo, quindi, deve essere quello di rimanere comunque tra i brand cosiddetti top of mind, in modo da uscire più forti di come sono entrati nelle crisi.
Ci sono dei vantaggi se si decide di mantenere invariato – o addirittura di aumentare – il budget indirizzato al marketing?
Assolutamente sì. Perché diminuire le spese destinate all’advertising online è un errore grossolano, soprattutto in condizioni di incertezza nelle quali si riscontra una diminuzione della competizione, che implica una maggiore visibilità per chi continua a investire. Ed è sempre più evidente che i risultati delle campagne di performance marketing sono strettamente legati anche alle attività pianificate in tutte le fasi del funnel, dalla consideration all’awareness. I tagli effettuati in quest’ultimo ambito potrebbero causare effetti duraturi, ma, soprattutto, indesiderati per qualsiasi cmo. È stato inoltre dimostrato che un investimento continuo e costante in brand advertising si traduce in un miglioramento dell’awareness, delle performance e del vantaggio competitivo, nei mercati in crisi e in quelli in crescita.
Come possono fare i marketer che hanno ridotto le spese da dedicare alla pubblicità a fornire la corretta visibilità ai propri prodotti e servizi? Quanto conta la tecnologia in questo senso?
La tecnologia è un alleato in questo contesto. Abbiamo notato che i recenti progressi tecnologici riescono a dimostrare più facilmente e velocemente gli impatti degli investimenti in brand advertising. Grazie a questo strumento, dunque, i marketer non dovranno più considerare tale spesa come una voce non giustificabile da tagliare, ma piuttosto come una leva da utilizzare strategicamente per superare la tempesta economica e guidare il business. In questo modo, perde rilevanza la giustificazione più usata in tempi di recessione per motivare i tagli in brand advertising, ovvero la difficoltà di dimostrare il ritorno in termini di roi. Oggi l’innovazione tecnologica ha reso il brand advertising un elemento misurabile e ha permesso al contempo ai marketer di comprendere quale attività sta avendo un impatto diretto sul roi.
L’eliminazione dei cookie di terze parti, nell’attuale contesto di recessione, potrà influenzare il settore della pubblicità online?
L’assetto attuale, per il nostro settore di riferimento, non solo è ricco di contraddizioni, ma è anche imprevedibile: la scarsità di talenti, l’inflazione, il potere di spesa dei consumatori e una più ampia valutazione dei dati sono chiari segnali che ci permettono di comprendere che non stiamo affrontando tempi ordinari e che non si tratta di una recessione ‘normale’. In Quantcast, per esempio, lo studio del mondo cookieless è stato da subito il focus del nostro lavoro. Crediamo nella privacy dell’utente, ma, al contempo, siamo consapevoli dell’importanza di raggiungere il consumatore con un messaggio pertinente e profilato.
E in termini di dati e prospettive?
Già oggi oltre il 50% dell’audience online non è tracciabile tramite i cookie di terze parti. Questa situazione ha provocato una reazione da parte dei player dell’ecosistema pubblicitario, per trovare valide soluzioni a lungo termine. In aggiunta, il rinvio al 2024 dell’eliminazione dei cookie di terze parti, annunciato di recente da Chrome, ha fornito più tempo ai diversi attori per testare le alternative offerte dal mercato. La pubblicità è abituata a confrontarsi con trasformazioni radicali che inducono a evoluzioni strutturali, che possono essere gestite e superate solo grazie al costante investimento in ricerca e sviluppo tecnologico.
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