Forbes Italia ha dedicato la copertina a Silvio Berlusconi del numero di maggio del 2018 sui billionaires italiani. Di seguito l’intervista rilasciata all’epoca dall’ex premier morto a 86 anni.
Chi è l’uomo più ricco d’Italia? Provate a chiederlo a un anziano o a un ragazzo, a un operaio o a un imprenditore, a una casalinga o a un’attrice, vi risponderanno tutti allo stesso modo: “Silvio Berlusconi”. Risposta sbagliata. L’uomo più ricco d’Italia è Giovanni Ferrero (classifica Forbes). Ma l’immaginario collettivo non ha dubbi: nessuno inItalia (una volta era Giovanni Agnelli, l’Avvocato) rappresenta il successo e la ricchezza come il Dottore, il Cavaliere, il Presidente, insomma Berlusconi, anzi semplicemente Silvio.
Però il giudizio sull’uomo è controverso: la sua storia è segnata dai processi subiti (una quantità infinita), dall’iscrizione alla loggia P2, dalle sue scelte politiche (con la cavalcata inarrestabile del 1994 e la sua decadenza dal Senato nel 2013), dalla sua passione per le donne, ma anche dai successi con il Milan, dalle sue intuizioni immobiliari come i quartieri modello di Milano 2 e Milano 3, dalla costruzione del gruppo televisivo Mediaset.
E poi dalle sue due mogli (Carla Dall’Oglio e Miriam Bartolini in arte Veronica Lario), dai suoi cinque figli (Pier Silvio, Marina, Barbara, Eleonora e Luigi) dalle sue barzellette, dalle sue ville, dalla capacità di unire e di dividere. Di certo non si può dire che non abbia contribuito in modo determinante alla crescita economica dell’Italia. Per raccontarlo non bastano ancora tutti i libri che sono stati scritti. E allora noi ci siamo limitati a sottoporgli due domande. Ci ha risposto così.
Quale è stata la realizzazione più bella della sua vita di imprenditore, quella che ricorda sempre volentieri?
È difficile sceglierne una, perché la mia vita di imprenditore è stata una serie di sfide difficili, secondo molti addirittura impossibili, che sono riuscito a vincere e che ricordo quindi con soddisfazione. Ogni volta i miei nemici, ed anche alcuni amici che si preoccupavano per me in perfetta buona fede, si aspettavano il mio fallimento, e ogni volta gli uni e gli altri sono stati smentiti. Questo è avvenuto quando ho costruito Milano 2 e Milano 3, vere e proprie città giardino che ancora oggi sono prese a modello da architetti di tutto il mondo, e che in quell’epoca – parlo degli anni ’70-’80 – rappresentavano una vera e propria rivoluzione del modo di pensare l’edilizia residenziale. Si è ripetuto quando ho affrontato la sfida della televisione commerciale, che i più grandi editori all’epoca avevano tentato e subito abbandonato, contrapponendomi al monopolio Rai e trasformando profondamente l’offerta televisiva in Italia e in Europa. Molti erano scettici anche quando acquistai il Milan, una gloriosa società sull’orlo del fallimento, per la quale facevo il tifo fin da bambino e annunciai che l’avrei trasformata nella squadra più forte del mondo. Ancor oggi sono la persona al mondo che ha vinto più titoli come presidente di una squadra di calcio. Infine la politica. Anch’essa la considero – almeno in parte – come un’avventura imprenditoriale, perché è con lo spirito dell’imprenditore che mi sono dedicato alla cosa pubblica. Da imprenditore prestato alla politica sono riuscito per esempio a dare una casa sicura e confortevole in meno di cinque mesi a migliaia di abruzzesi rimasti senza tetto per il tragico terremoto dell’Aquila. Da imprenditore ho realizzato la rete dei collegamenti ferroviari ad alta velocità, che hanno avvicinato fra loro le maggiori città italiane. Sono questi – insieme al grande traguardo politico del vertice di Pratica di Mare, nel quale su mia iniziativa Stati Uniti e Russia sottoscrissero l’accordo che poneva fine a cinquant’anni di guerra fredda – i risultati dei miei governi di cui sono più orgoglioso. Risultati, come si vede, da imprenditore.
C’è qualcosa che non ha ancora fatto e che sente di voler fare?
Come imprenditore non ho rimpianti: sono riuscito a realizzare quello che volevo. Come leader politico ne ho solo uno, molto grande: non essere mai riuscito a convincere il 51% degli italiani a darmi la loro fiducia. Se l’avessi avuta, allora sì che avrei potuto realizzare quella rivoluzione liberale, che sarebbe stata fondamentale per l’Italia e quindi per le imprese italiane, per chi le guida e per chi ci lavora. Però l’esperienza insegna – e i dati delle ultime elezioni confermano – che questo è un traguardo impossibile, per chiunque. Gli italiani preferiscono votare in modo frammentato, piuttosto che trovare chi rappresenta una sintesi. Non credo sia un bene per il Paese, ma è la realtà e in democrazia è giusto che sia il popolo sovrano a decidere.
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