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Cresce l’ansia tra i lavoratori: uno su tre teme il licenziamento

Con la crisi legata alla pandemia, nel 2020 si è deciso per il blocco dei licenziamenti, al fine di preservare i posti di lavoro in un periodo di difficoltà economica per il paese.

Nel 2021, la fine del divieto ha portato i lavoratori a temere di perdere di nuovo il proprio posto di lavoro. Oggi, un dipendente su tre (34%) non si sente al sicuro e teme che una nuova crisi economica possano portare la propria azienda a licenziamenti.

Lo rivela il sondaggio People at Work 2023 dell’Adp Research Institute, che ha coinvolto oltre 32mila lavoratori in 17 paesi (2mila solo in Italia). Il report ha esplorato gli atteggiamenti dei dipendenti nei confronti del mondo del lavoro attuale e ciò che si aspettano e sperano da un’occupazione futura.

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Gli uomini sono i più preoccupati

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i timori sono più alti tra gli uomini (38%) rispetto alle donne (30%). I sentimenti di precarietà sono più alti nella fascia 35-44 anni (37%), seguita dalla generazione Z (36%) e da quella che va dai 24 ai 34 (34%).

I timori calano se si considerano le più alte della popolazione: dai 45 ai 54 anni la percentuale scende al 33%, mentre solo il 26% degli over 55 è preoccupato per il proprio posto di lavoro. Analizzando i diversi settori, i più insicuri risultano essere gli operatori del real estate (42%), seguiti dai settori edilizia (40%) e It e telecomunicazioni (41%).

L’intelligenza artificiale come minaccia per i lavoratori

Complessivamente, sei lavoratori su dieci (60%) pensano che nessuna professione sarà immune dall’attuale incertezza economica, mentre il 13% crede che l’uso dell’Ia diventerà la norma nel proprio settore nei prossimi cinque anni, riducendo così le attività manuali. In una situazione di questo tipo, diventa fondamentale il ruolo delle aziende, che dovrebbero rassicurare i lavoratori spiegando loro le prospettive di carriera.

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“I tempi sono difficili, è normale che i lavoratori si sentano preoccupati per il proprio lavoro, temendo la perdita del proprio posto per motivi economici ma anche con l’introduzione dell’Ia, che presumibilmente potrebbe sostituire alcune mansioni. Le aziende dovrebbero fare di più per rassicurare i propri dipendenti, mostrando loro che gli sforzi sono riconosciuti e che le prospettive di carriera sono effettive”, rivela Marcela Uribe, general manager Adp Southern Europe.

“Non è necessariamente vero che i tagli di posti di lavoro in un’azienda significhino che altri seguiranno l’esempio o che l’automazione, l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico siano cose di cui aver paura. Potrebbero infatti rendere il lavoro delle persone più facile o più soddisfacente in futuro. Vale la pena che i datori di lavoro parlino con i lavoratori ora, per affrontare le idee sbagliate e fugare preoccupazioni inutili”.

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L’importanza di costruire una cultura del lavoro inclusiva e coinvolgente

Secondo dati Inps, nel 2022 c’è stato un aumento dei licenziamenti di natura economica del 41% sull’anno. Sul dato incide il blocco dei licenziamenti, per via dalle normative del 2020 a fronte della pandemia. Se confrontato invece al dato 2019, nel 2022 ci sono stati circa 127mila licenziamenti in meno (-25%).

In questo contesto, c’è chi ha preso in considerazione la possibilità di cambiare settore negli ultimi 12 mesi (24%), chi ha pensato di avviare un’attività in proprio (15%), chi invece di andare in pensione anticipata (un over 55 su 5 – 20%). Per Uribe, la chiave sta nel confronto diretto con i lavoratori, al fine di costruire una cultura del lavoro inclusiva e coinvolgente.

“Facendo sentire il personale più a suo agio e al sicuro, sottolineando quali prospettive di formazione e avanzamento di carriera potrebbero essere offerte, i dipendenti si sentiranno maggiormente in grado di concentrarsi su fare un buon lavoro senza preoccuparsi del futuro”, dice Uribe.

“E se i datori di lavoro possono fare tutto questo assicurandosi di offrire una retribuzione equa e una cultura del posto di lavoro inclusiva e coinvolgente, è probabile che i lavoratori si sentano molto più positivi nei confronti dell’azienda per cui lavorano”.

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