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Il sonnellino migliora salute e produttività. E le aziende si attrezzano per far dormire al lavoro

James Maas, un ex professore della Cornell University, gli ha trovato un nome accattivante: power nap. Una ventina di minuti di sonno per rigenerarsi prima di tornare al lavoro. Il pisolino, insomma. Quasi un tabù nel mondo dei Tom Ford e dei Donald Trump, che attribuiscono il loro successo alle notti da tre o quattro ore di sonno. Per gli scienziati, invece, uno strumento per migliorare non solo la salute, ma anche la produttività.

Alcuni ricercatori dello University College di Londra (Ucl) e dell’Università della Repubblica uruguaiana hanno riscontrato che i pisolini potrebbero rallentare la perdita di volume cerebrale. I vantaggi sarebbero equivalenti a 2,6-6,5 anni di invecchiamento in meno.

La ricerca

Lo studio, pubblicato sulla rivista Sleep Health, è stato condotto su 35.080 partecipanti di Uk Biobank, un’enorme ricerca avviata nel 2006 su mezzo milione di britannici per verificare il contributo della predisposizione genetica e di fattori ambientali allo sviluppo di malattie. In particolare, gli scienziati dello Ucl e dell’università uruguaiana volevano verificare se una combinazione di varianti genetiche, già associate all’abitudine di fare un sonnellino durante il giorno, potesse essere collegata al volume del cervello, alle capacità cognitive e ad altri aspetti della salute cerebrale.

Gli stessi autori invitano a leggere i loro risultati con prudenza. La riduzione del volume del cervello, ammettono, è connessa a tanti altri fattori. Lo studio, poi, riguarda solo “europei bianchi”. Non è chiaro quale sia la durata dei sonnellini associati a questi benefici, e nemmeno se i vantaggi riguardino anche chi non ha una predisposizione genetica dormire durante il giorno. “Servono ulteriori studi su questo argomento”, hanno ammesso i ricercatori.

Il sonno fa bene al Pil

La ricerca anglo-uruguaiana, però, è solo l’ultima tra le tante che attestano l’importanza del sonno. Non solo per la salute o la capacità di apprendimento, ma anche per l’economia. Secondo un’analisi condotta nel 2016 dal think tank statunitense Rand Corporation, la mancanza di sonno costa alle economie più avanzate fino al 3% del Pil. Negli anni ’90 la Nasa ha riscontrato che un sonnellino di 26 minuti incrementa le prestazioni dei piloti del 34% e la loro prontezza del 54%.

“Siamo persone private del sonno necessario, cosa che aumenta le probabilità di incidenti sul lavoro, abbassa la creatività e la concentrazione e fa salire l’irritabilità”, ha dichiarato al Guardian Sara Mednick, docente del dipartimento di scienze cognitive della University of California, Irvine. “Le aziende che forniranno uno spazio per riposare ridurranno i costi dovuti al tempo perso e agli errori commessi per la fatica. Inoltre questo cambiamento permetterà ai dirigenti di rendersi conto dei problemi causati dalla cultura del lavoro 24 ore al giorno, sette giorni su sette”.

Le capsule di Google, le stanze del riposino di Nike

Molte grandi società si sono mosse anni fa. La Nike, per esempio, mette a disposizione dei dipendenti stanze in cui possono dormire o meditare. Lo stesso fanno Uber, nel suo quartier generale di San Francisco, e il gigante americano dei gelati Ben & Jerry’s. Da quasi un decennio Google ha introdotto nei suoi uffici i nap pod: panche inclinate dotate di una capsula che copre la parte superiore del corpo. Li ha acquistati, a circa 13mila dollari l’uno, da MetroNaps, un’azienda newyorkese che ha tra i suoi clienti anche Facebook, Cisco e Samsung. “Lavoriamo con tutte le compagnie interessate ad attrarre e tenersi i dipendenti di qualità”, dichiarava nel 2017 al Financial Times Christopher Lindholst, amministratore delegato di MetroNaps. “Tra i nostri clienti ci sono anche aziende più tradizionali. Per esempio, società di consulenza come PwC e Kpmg, o studi legali come White & Case. Chiunque voglia competere per attrarre talenti”.

Non tutti amano i nap pod. Un ex dipendente di Google, intervistato da Bloomberg, li ha definiti “una barzelletta, una panca strana con un cono sopra la tua testa. Si dorme molto meglio in un furgone”. Una dirigente di PwC in Svizzera, in un’intervista al FT, ha rivendicato invece la politica della società per il benessere sul luogo di lavoro, che ha incluso incontri con esperti “per parlare di buone e cattive abitudini, dell’importanza di prendersi pause regolari e di come un pisolino possa fare miracoli”.

Un programma, prosegue l’articolo, nato anche per allontanare il tabù del sonno sul posto di lavoro. Uno stigma tutto occidentale. In Giappone, per esempio, è normale addormentarsi in pubblico o in ufficio. Si chiama inemuri – letteralmente, “dormire mentre si è presenti” – e non è un segno di pigrizia o disattenzione. Al contrario, è la prova che si è dato tutto.

Pisolini famosi

Tra le maggiori sostenitrici del sonnellino sul lavoro c’è Arianna Huffington, fondatrice dell’Huffington Post. “Viste le ultime scoperte scientifiche sull’efficacia del pisolino e il chiaro legame tra l’avere dipendenti ben riposati e la loro produttività, è ora che le aziende abbraccino il sonno sul posto di lavoro”, ha dichiarato Huffington al Guardian alcuni anni fa. “Purtroppo esiste ancora il mito per cui dormire è sintomo di debolezza e pigrizia, quando i benefici dei pisolini sulle prestazioni erano noti a tanti leader della storia”.

John Fitzgerald Kennedy pranzava a letto e si addormentava subito dopo, anche per un paio d’ore. Winston Churchill teneva un letto in Parlamento e sosteneva che “la natura non ha destinato l’uomo a lavorare dalle otto del mattino a mezzanotte senza il ristoro di quel benedetto oblio che, anche se dura solo 20 minuti, è sufficiente a rinnovare tutte le forze vitali”. Per Bill Clinton, 15 minuti di sonno durante il giorno “fanno tutta la differenza del mondo”. Thomas Edison si vantava di dormire poco e di avere liberato l’umanità dal fardello del sonno con la lampadina, salvo poi fare pisolini in segreto. Aristotele diceva di trovare le idee migliori nel dormiveglia, Beethoven mentre sonnecchiava in carrozza. Leonardo da Vinci aveva abolito il sonno notturno e si concedeva solo sonnellini da 15-20 minuti ogni quattro ore. Salvador Dalí aveva inventato i micro-riposi: si metteva comodo, chiudeva gli occhi, ma teneva una chiave tra le dita; non appena si addormentava, la chiave cadeva e il rumore metallico lo svegliava. Albert Einstein faceva qualcosa di simile: secondo alcune versioni con un cucchiaino, secondo altre con una matita.

In gran parte del mondo dell’impresa, però, regna ancora l’atteggiamento che il ricercatore di Harvard Charles Czeisler ha definito sleep machismo: il machismo del sonno. “La cultura lavorativa e sociale contemporanea”, scriveva Czeisler nel 2006, “glorifica la mancanza di sonno nello stesso modo in cui un tempo si celebravano coloro che reggevano l’alcol”.

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