Mark Zuckerberg
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Mark Zuckerberg racconta a Forbes le sue due grandi scommesse (e cosa significa prendere pugni in faccia)

Questo articolo è apparso su Forbes.com

Vicino ai 40 anni, Mark Zuckerberg, l’uomo simbolo dei social media, sta vivendo il suo ‘momento Bill Gates’: si sta addolcendo (un po’), sta maturando (un po’ di più) e sta rivoluzionando la sua società con una sicurezza sbalorditiva. È una grande scommessa sul futuro della vita umana di tutti i giorni e sulla sua eredità.

Seduto in una sala riunioni dalle pareti di vetro soprannominata ‘L’acquario’, Mark Zuckerberg fa una sorta di analisi costi/benefici sull’argomento che quest’anno ha fatto parlare di lui più di tutti: le arti marziali miste (Mma). Oggi si concentra sul confronto tra i colpi alla testa e quelli al corpo. “Essere colpiti in faccia non fa poi così male”, dichiara. “Causa solamente danni al cervello”.

L’incontro in una gabbia con Elon Musk, che ovviamente non avrà mai luogo (“ho dato per scontato che non ci sarà”), ha riportato Zuckerberg allo spirito dei tempi nel modo più stupido. Ma ha anche favorito uno scopo commerciale. Per gran parte della sua carriera, Zuckerberg ha pregiudicato i suoi successi monumentali, trascinandosi in una palude di passi falsi e scandali che hanno compromesso la sua credibilità. Perciò l’idea del combattimento con Musk era succulenta. Era un’occasione per fare l’eroe contro il cattivo e petulante amministratore delegato di Tesla, per dimostrare che l’ex ‘amministratore delegato poppante’ di Facebook si è trasformato nel sovrano di Meta. “Quello che determina il destino non è un concorrente”, dichiara. “È il modo in cui si fanno le cose”.

I tre Mark

Questa riflessione è perfettamente in linea con i tempi. Zuckerberg compirà 40 anni a maggio. Ha un patrimonio stimato in 106 miliardi di dollari, un ramo dell’azienda dedicato alla filantropia e un impegno a trasformare una delle società più importanti al mondo, di cui detiene il controllo quasi totale. Per molti versi, sta vivendo il suo momento alla Bill Gates. Come Zuckerberg, Gates ha abbandonato Harvard per costruire una società tecnologica che ha fatto la storia. Anche lui era il nerd con la faccia da ragazzo prodigio. E sempre come Zuckerberg, ha creato fan, nemici e questioni antitrust lungo il suo cammino brusco e implacabile verso la vetta.

Poi, a 40 anni, Gates ha ribaltato il copione. Ha trasformato la sua immagine da monopolista impenitente a benefattore globale, e la sua società e la sua reputazione ne hanno tratto vantaggio. E quindi, come potrebbe configurarsi la realtà per Zuckerberg? Un suo amico e coetaneo, il fondatore di Spotify Daniel Ek, descrive un arco narrativo che ci porta al presente.

C’è “il Mark di The Social Network”, dice Ek (un riferimento al film del 2010 che lo ritraeva come un genio arrogante e doppiogiochista). E poi c’è “il Mark di Cambridge Analytica o ‘il Mark malvagio’”, accennando allo scandalo della raccolta dei dati. Il che ci porta al Mark di oggi. “La sua immagine pubblica è molto più autentica”, afferma Ek, che sottolinea come i tre Mark riflettano la percezione del pubblico, non la sua opinione. “Ha imparato molto in questi anni ed è animato da un nuovo entusiasmo. Ha capito che deve comportarsi in modo responsabile, perché ha questa piattaforma enorme. Ma c’è ancora un po’ del vecchio Mark, che scommette sulle cose anche se tutti gli dicono ‘non funzionerà mai’”.

Ek si riferisce in particolare a quello che probabilmente sarà un investimento da 100 miliardi di dollari in un mondo virtuale fantastico ma ancora non collaudato, chiamato metaverso. Una scommessa che potrebbe non dare i suoi frutti prima di sette anni, se mai li darà.

Il padrone assoluto di Facebook

Zuckerberg ha sposato una “visione del mondo basata sulle arti marziali”, sia a livello personale che per quanto riguarda Meta. Si tratta di rispetto, scopo, disciplina e molti altri cliché da manuale di gestione. Ma alla fine, questo terzo Zuckerberg, più maturo, si appoggerà a un altro principio delle Mma: la consapevolezza di sé. “Quando partecipi a una competizione, non stai combattendo contro un’altra persona, ma contro te stesso”, dichiara. “Stai solo cercando di essere una versione migliore di te”.

Zuckerberg ha un margine di manovra straordinario nel perseguire questa re-invenzione. Dal punto di vista professionale, nessuno può dirgli cosa fare. Facebook ha una doppia struttura azionaria che gli conferisce un controllo inattaccabile. Attualmente possiede il 99% delle azioni di Categoria B con diritto di voto e il 61% del potere di voto complessivo, il che lo rende non licenziabile e in gran parte esente dall’obbligo di rendicontazione. “È possibile riunire tutti gli altri soci titolari di azioni ordinarie per votare contro Mark?”, si chiede il suo amico e cofondatore di Facebook Dustin Moskovitz. “No, non è possibile”.

“Volete cambiarmi? Beh, non potete”

Questa è stata la strategia iniziale del Mark di Social Network, suggerita dal cofondatore di Napster ed ex presidente di Facebook Sean Parker, ed esemplificata dai primi biglietti da visita di Zuckerberg, che recitavano: “Sono l’amministratore delegato, STRONZO”. Agli albori di Facebook è cresciuto il bisogno di controllare il proprio destino. Zuckerberg ricorda il momento in cui, nel 2006, Yahoo gli aveva offerto 1 miliardo di dollari per comprare Facebook, che allora aveva appena due anni. “Quando non ho voluto vendere la società, ho creduto che gli investitori pensassero: ‘Forse dovremmo formare un’altra squadra?’. Al che potevo rispondere: ‘Oh, beh, non potete’”, racconta ridendo.

Zuckerberg vede chiaramente ciò come una sua caratteristica, non come un difetto. “Ci sono molte società al mondo che dispongono di grandi capitali, ma che non hanno una struttura di leadership o un consiglio di amministrazione che consenta loro di fare grandi scommesse sul futuro”, afferma. “Noi siamo una società controllata dal fondatore”. Questo ha senza dubbio aiutato Facebook a fare diverse acquisizioni che un tempo erano considerate audaci, ma che ora sono viste con rispetto (WhatsApp), curiosità (Oculus) o stupore (Instagram, uno dei migliori acquisti compiuti da una società in questo secolo).

L’era del ‘Mark malvagio’

Tuttavia questi successi, con la quotazione in borsa di Facebook, che nel 2012 ha raggiunto una capitalizzazione di mercato di quasi 82 miliardi di dollari, hanno condotto anche alla fase del ‘Mark malvagio’, che può essere riassunta in una parola: arroganza. A metà degli anni ’10 di questo secolo, Zuckerberg ha attraversato il Midwest per un giro di incontri con pescatori, agricoltori e pompieri. Nel frattempo a Menlo Park, in California, la sua società, che collega il mondo meglio di qualsiasi altra, veniva utilizzata per l’attacco alla democrazia su più vasta scala che si sia mai visto.

È stata una cosa seria: nel 2014, l’algoritmo di Facebook ha dato risonanza agli appelli alla violenza di matrice etnica in Myanmar, contribuendo a incitare al genocidio contro la minoranza Rohingya. Nel 2016 Cambridge Analytica, consulente della campagna elettorale di Donald Trump, ha utilizzato impropriamente i dati raccolti da Facebook per costruire profili di elettori in vista delle elezioni presidenziali. Nello stesso anno la Russia ha sostanzialmente trasformato Facebook in uno strumento antidemocratico. Nel 2021 la whistleblower Frances Haugen ha rivelato che la dirigenza di Facebook era a conoscenza dei danni che i suoi prodotti potevano causare, ma ha dato priorità agli utili e alla crescita, senza curarsene.

“L’eredità di Mark Zuckerberg sarà rappresentata dal ruolo chiave che la sua società ha svolto nel tentativo di minare la democrazia”, dichiara il venture capitalist Roger McNamee, uno dei primi investitori di Facebook (ed ex investitore di Forbes), diventato un critico dichiarato. “Senza Facebook, il mondo intero sarebbe completamente diverso e di gran lunga migliore. Per qualcuno che aveva così tante opportunità di fare del bene, questa è una tragedia”.

Il patrimonio di Mark Zuckerberg

A questo proposito, Zuckerberg – che aveva inizialmente liquidato le preoccupazioni sulle interferenze nelle elezioni del 2016 da parte di Facebook come un’“idea folle”, anche se tutto ciò stava accadendo sotto il suo naso – dichiara: “Alcuni governi continueranno a cercare di condurre campagne come questa. Penso che i nostri team siano diventati molto più sofisticati nell’affrontare il problema”.

Probabilmente non otterremo altro. Il controllo dei voti non lo obbliga a nulla che vada al di là delle scuse. “Non abbiamo adottato una visione abbastanza allargata della nostra responsabilità, e questo è stato un grosso errore”, ha dichiarato nel 2018 in un’udienza del Congresso, scusandosi per lo scandalo di Cambridge Analytica. “È stato un mio errore e mi dispiace. Ho fondato Facebook, lo gestisco e sono responsabile di ciò che accade qui”.

Ma la responsabilità e l’obbligo di rendere conto sono due cose diverse. Soprattutto quando le grandi società di gestione patrimoniale che lo finanziano, tra cui Vanguard, BlackRock e Fidelity, si accorgono che, nonostante gli inciampi, Meta ha conseguito risultati eccellenti per gli azionisti. Negli ultimi tre anni, le azioni di Meta sono rimaste al di sotto dell’indice S&P 500 di quasi 16 punti percentuali, ma hanno sovraperformato rispetto all’indice di 31 e 367 punti percentuali, rispettivamente, su cinque e dieci anni.

Le dittature benevole possono, in teoria, produrre grandezza. “Non ci sono molti posti al mondo in cui è possibile fare il tipo di scommesse a lungo termine che abbiamo fatto noi”, dichiara Zuckerberg. Ma senza auto-consapevolezza, questa benevolenza assomiglia di più al Mark ‘malvagio’ a cui si riferiva Ek, soprattutto se il regno dell’amministratore delegato dovesse superare il mezzo secolo. “Penso che gestirò Meta per molto tempo”, afferma Zuckerberg.

Il punto di svolta

È difficile stabilire il punto di maturazione di qualcuno, ma, guardando a Zuckerberg e al terzo Mark, bisogna considerare il settembre 2021. Le azioni di Facebook avevano raggiunto i massimi storici. La società valeva ormai quasi 1.100 miliardi di dollari e Zuckerberg stesso aveva un patrimonio di circa 136 miliardi. La corsa metaverso procedeva a passo spedito. Il mese successivo annunciò la decisione di cambiare il nome di Facebook in Meta Platforms, scommettendo sul fatto che il metaverso sarebbe diventato il futuro dell’informatica: una grande scommessa guidata dal fondatore.

Poi è arrivata la resa dei conti. Nei 14 mesi successivi, le azioni di Meta sono crollate del 75%, mentre il fatturato annuale è diminuito per la prima volta, con un calo del 41% dell’utile netto nel 2022. Il patrimonio di Zuckerberg è precipitato a 33 miliardi di dollari. L’aggiornamento della privacy introdotto da Apple nel 2021 per il suo sistema operativo per dispositivi mobili, iOS, che ha reso più difficile per le società tecnologiche tracciare gli utenti attraverso le app, ha giocato un ruolo importante. Un altro responsabile è stato la concorrenza di TikTok.

Un nuovo corso

Lo scorso anno, quindi, Zuckerberg ha fatto qualcosa di diverso. Nessun passo avanti. Nessuna scusa tardiva e di circostanza. Ha invece cambiato rotta. Dopo aver portato in quattro anni la sua forza lavoro da 33.600 a 87mila persone, a novembre ha annunciato il licenziamento di oltre 11mila dipendenti, il 13% della società, per poi aggiungerne altri diecimila a marzo.

“L’anno scorso abbiamo preso decisioni molto difficili”, ha dichiarato. “Ovviamente non è quello che avremmo voluto fare. Abbiamo cercato di impostare il funzionamento della società secondo due obiettivi. Uno è stato quello di metterci in condizione di operare in modo più efficiente e di realizzare più velocemente prodotti migliori. L’altro è stato quello di assicurarci le risorse finanziarie necessarie per superare gli ostacoli, per poter continuare a investire nella visione a lungo termine, che per la maggior parte è costituita da IA e metaverso”.

La scommessa sul metaverso

La visione non è cambiata, anche se il metaverso è già stato etichettato da alcuni come un fallimento e Zuckerberg ha dichiarato pubblicamente che ci vorrà un decennio prima che possa fruttare denaro. Meta ha già accumulato circa 40 miliardi di dollari di perdite di esercizio dalla sua scommessa sull’idea di un universo virtuale alternativo guidato dal suo ramo Reality Labs, ma Zuckerberg rimane convinto di questo progetto.

È un’impresa ardua: secondo un documento interno citato dal Wall Street Journal a febbraio, Horizon Worlds – un’app gratuita di realtà virtuale per le cuffie Quest Vr, che avrebbe dovuto inaugurare un’era di esperienze immersive e teleconferenze in realtà virtuale – sembra non aver raggiunto l’obiettivo di 500mila utenti attivi mensili nel 2022, ma si sarebbe fermato a meno di 200mila. Anche Zuckerberg ammette che Horizon Worlds non è efficiente come dovrebbe. “Una cosa è dire: ‘Ok, questa è un’esperienza impressionante’”, dichiara. “Un’altra è dire: ‘Voglio fare un’altra riunione come questa ogni settimana’”.

“Se fossi io a decidere, probabilmente farei un investimento diverso in Reality Labs, per esempio”, aggiunge Susan Li, direttore finanziario di Meta. Li sottolinea che la sua osservazione non coglierà di sorpresa Zuckerberg, che incoraggia questo tipo di dibattito. E mentre lui accoglieva le critiche e correggeva la rotta, i mercati hanno risposto. Il valore delle azioni di Meta è più che triplicato dal minimo storico di fine 2022, anche grazie al riacquisto di titoli per circa 38 miliardi di dollari dall’inizio dello scorso anno.

Dove va Meta

Il consenso degli analisti prevede un aumento del 14% del fatturato quest’anno, fino a quasi 133 miliardi di dollari, e un balzo del 50% dell’utile netto a 34 miliardi di dollari, vicino ai massimi di due anni fa. Il conseguente rialzo delle azioni ha reso Zuckerberg una delle dieci persone più ricche del pianeta.

Per lui, il metaverso fa parte di una visione a lungo termine che comprende non solo la realtà virtuale e quella aumentata, ma anche l’intelligenza artificiale. Come Gates, che in un’intervista rilasciata a febbraio a Forbes ha definito i recenti progressi dell’IA “importanti quanto il pc o internet”, Zuckerberg vede la diffusione dell’IA come un evento rivoluzionario. E come molti altri colossi della tecnologia, Meta ha anche costruito un grande modello linguistico su cui addestrare l’IA che definirà il suo futuro. Denominato Llama 2, questo modello è open-source e sarà integrato in vari prodotti Meta.

“L’intelligenza artificiale si diffonderà ovunque”, dichiara Zuckerberg, delineando un nuovo mondo ormai familiare, che inizia con gli assistenti intelligenti e termina con gli ologrammi dei nostri colleghi nelle riunioni di lavoro. Zuckerberg prevede anche che l’IA possa alimentare i “personaggi” che vivono sulle varie piattaforme di Meta. “Avranno profili Instagram e Facebook”, spiega. “E si potrà parlare con loro su WhatsApp, Messenger e Instagram, e nella realtà virtuale saranno rappresentati da avatar”.

“Una storia di fallimenti”

Zuckerberg riconosce che l’intelligenza artificiale è un’altra costosa scommessa orientata al futuro. Ma è l’unico azionista di Meta che conta, e ha molta pazienza. “Ci vorrà ancora un bel po’ di tempo per arrivare agli occhiali per la realtà aumentata. Ed è a questo che è destinata una grossa fetta del budget dei Reality Labs. Quindi, quando la gente dice: “Per che cosa state spendendo tutti questi soldi?”, la risposta è: “Stiamo cercando di far stare un supercomputer in un paio di occhiali”.

Se Meta dovesse riuscire a farlo per prima in modo convincente, potrebbe definire un nuovo mercato. In caso contrario, si tratterà di un costoso e rapido fallimento, come molti altri del passato: il telefono di Facebook, il dispositivo di videochiamata Portals, ora abbandonato, e la criptovaluta Libra, un pasticcio.

La nostra esperienza è fatta di fallimenti, continui fallimenti, mentre facciamo di continuo cose che pensiamo possano piacere alla gente”, racconta Andrew ‘Boz’ Bosworth, chief technology officer di Meta. “E se la gente non le ama, ci chiediamo: ‘Perché non piace?’. Ci poniamo questa domanda in modo rigoroso. E poi ripetiamo e ripetiamo e ripetiamo, finché non troviamo il prodotto adatto al mercato. È una cosa in cui siamo molto bravi”.

Il nuovo Mark Zuckerberg

Se i primi due Mark si basano sulla percezione del pubblico, il terzo si è reso conto di come Gates abbia trasformato la sua immagine grazie alle grandi opere pubbliche su cui ha iniziato a concentrarsi a 40 anni. Zuckerberg, all’epoca appena 26enne, è stato uno dei firmatari originali del Giving Pledge, la campagna promossa da Gates e Warren Buffett che chiede ai miliardari di impegnarsi a destinare almeno metà del loro patrimonio alla beneficenza. “Bill è convinto che se si vuole fare bene l’attività benefica, se vuoi riuscire a farla bene da vecchio, prima devi fare pratica”, dichiara Zuckerberg.

Nel 2015, poco prima della nascita della figlia, Zuckerberg e la moglie, Priscilla Chan, scrissero alla bambina una lettera in cui si impegnavano a destinare il 99% delle azioni di Facebook alla loro missione filantropica, in seguito denominata Chan Zuckerberg Initiative (Czi). Oggi quelle azioni valgono circa 103 miliardi di dollari (a cui vanno aggiunti i 4,2 miliardi che hanno già donato). Se i due si impegneranno, e non c’è motivo di credere che non lo faranno, la Czi diventerà una delle più grandi iniziative filantropiche del mondo, seconda solo a quella di Gates e della sua ex moglie, Melinda French Gates, e forse anche più grande, a seconda dei risultati futuri di Meta.

Chan descrive la Czi come “un’opportunità incredibile”. È stata costituita in modo non tradizionale, come una società a responsabilità limitata che, oltre a donare soldi, investe in società a scopo di lucro in linea con i suoi obiettivi. Inoltre, finanzia attività di advocacy. La configurazione della società implica che Zuckerberg e Chan non ottengono agevolazioni fiscali immediate, né sono tenuti a rendere note le attività. Ma quando trasferiscono i beni dalla società alla fondazione di beneficenza della Czi, che ha asset per 7 miliardi di dollari secondo l’ultima dichiarazione dei redditi, la coppia ottiene una detrazione fiscale, nonché l’obbligo di divulgazione.

La Chan Zuckerberg Initiative

L’audace obiettivo della Czi è quello di aiutare la scienza a curare, gestire e prevenire tutte le malattie entro la fine del secolo. L’aver puntato così in alto è lodevole, ma la realtà nel campo della somministrazione delle cure è complessa. Chan non si lascia scoraggiare. “È gratificante lavorare su problemi che la gente ritiene impossibili da risolvere”, dice.

A tal fine, Czi intende costruire uno dei più grandi centri di calcolo basati sull’IA al mondo per la ricerca no profit nel campo delle scienze della vita, cercando di modellare in modo più completo diverse cellule umane per comprendere come si comportano quando sono sane e quando sono malate. Il Chan Zuckerberg Institute for Advanced Biological Imaging, che ha sede a Redwood City, in California, sta già sviluppando nuove modalità per visualizzare le cellule in alta risoluzione e favorire una più precoce individuazione delle malattie.

Questo approccio ha cambiato il modo di operare di Zuckerberg. Mentre le società finanziate dalla Czi studiano le patologie, il terzo Mark ha iniziato a dedicare la propria vita anche al benessere per aumentare la sua produttività, facendo esercizio fisico quasi ogni giorno e dormendo otto ore a notte. Con il jiujitsu e le Mma si dedica al combattimento, ma in modo rispettoso e ponderato. E riconosce chiaramente che i suoi peccati dell’ultimo decennio potrebbero essere cancellati se riuscisse a raggiungere anche solo una frazione di ciò che la CZI ha giurato di fare. “Anche se dovesse funzionare solo un terzo delle cose su cui abbiamo scommesso”, afferma, “credo che questo basterebbe a creare moltissimo valore nel mondo”.

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